Classe 1972, Pietro D’Agostino è nato a Taormina dove ha frequentato l’accademia culinaria. Dopo numerose esperienze all’estero e in Italia, nel 2003 apre il suo ristorante, La Capinera, dove esprime tutte le ricchezze della cucina siciliana con una creatività intelligente e innovativa.
Nel 2008 riceve la stella Michelin, entra nei JRE e in Charming Italian Chef.
Annovera numerose esperienze di ambasciatore della cucina siciliana nel mondo, scegliendo personalmente tutte le forniture degli ingredienti che finiscono sulla tavola.
Nel 2017 lancia due nuovi progetti: un innovativo contenitore gastronomico nel cuore di Taormina, Kistè, con una formula easy gourmet e una cucina essenziale, e la sua prima linea di prodotti, disponibili con il marchio Io Pietro D’Agostino, da lui direttamente selezionati.
Chef D’Agostino, iniziamo la conversazione parlando di “Creatività. Memoria e Territorio” (Trenta Editore), un volume che racchiude, attraverso una serie di ricette, l’amore e il rispetto profondo per la sua Sicilia.
Tutto parte dalla mia Sicilia, vera musa ispiratrice a La Capinera. Celebrare il territorio, in un capitolo dedicato nei suoi rimandi non solo geografici, ma anche culturali e storici, è stato per me un volere restituire alla mia terra quanto essa sia riuscita a dare alla mia cucina. Ma non vuole essere solo un pensiero romantico o evocativo, c’è molta attualità in questo concetto. C’è la ricerca della materia prima, c’è il rapporto con i produttori, c’è la collaborazione a una nuova narrazione dei luoghi, con una nuova visione di sviluppo e una strategia organica che vede collegati il turismo all’enogastronomia e all’agroalimentare di eccellenza.
La memoria, altro capitolo, è ciò da cui partiamo. Costituisce il nostro DNA e pertanto custodisce un nostro patrimonio genetico, ma che allo stesso tempo è portato a una naturale evoluzione perché la contaminazione con l’ambiente che muta, uno stile di vita che si forgia ai tempi e alle nuove tendenze, è anch’esso invitabile. Pertanto, custodire le tradizioni significa porre le basi certe su cui costruire un pensiero nuovo.
È proprio qui, che entra in gioco la creatività che, come ho scritto nel libro, significa essenzialmente riscoprire la materia prima, valorizzandola in ogni fase, dalla produzione alla conservazione fino alla loro trasformazione finale, attraverso un metodo di cottura ideale che ne conservi gusto e proprietà. La creatività fa binomio con cucina consapevole e sostenibile, minimizzando gli sprechi. Ho imparato poi a lavorare fra i fornelli per una cucina di trasformazione, quella che negli anni ’80 sovrapponeva i sapori, anziché denudarli nella loro semplicità.
Dove è possibile acquistare il libro?
Su Amazon e nelle librerie Mondatori.
Attraverso quali piatti viene reinterpretata la tradizione gastronomica siciliana a La Capinera? Quando e come è nato questo ristorante?
Personalmente, non amo le eccessive elaborazioni. Prediligo gli ingredienti riconoscibili all’occhio e al palato. Attraverso i miei piatti, mi piace parlare con molta schiettezza ai clienti. Lo faccio con i colori, con le fragranze, con i sapori di una terra che regala secoli di storia e culture diverse, fonte inesauribile di ispirazione e creatività. Come ho detto, l’essenzialità della cucina e metodi di cottura caratterizzano i miei piatti sia di carne che di pesce. Anche se nella mia cucina il pesce è senza dubbio il protagonista indiscusso.
Nel libro c’è un capitolo che si apre proprio con un piatto “non cucinato”, il mio crudo di mare e con cui affronto la riconoscibilità del mio lavoro. Ed è qui il racconto “liquido” di una cucina essenziale e per questo esaltante che si esprime attraverso piatti della tradizione marinara, ma ricuciti sul gusto di una gastronomia contemporanea.
La Capinera nasce diciotto anni fa, nel 2003, quando sono rientrato a Taormina. Per tredici anni ho girato il mondo. Ho lavorato negli alberghi di mezza Europa, sulle navi da crociera, ho cucinato per magnati e coronati. Sono stato costante, umile, non dimenticando mai che il mio posto fosse dietro ai fornelli.
Ed è stato a 31 anni che ho capito che era giunto il momento di fare ritorno. La mia valigia era piena di tanta esperienza e la voglia di avviare un mio progetto, con le mille paure e difficoltà di chi si appresta a mettersi in proprio e fare impresa, che significa non occuparsi solo di cucina. E così, ho aperto il mio ristorante, davanti al mare di Spisone e l’ho chiamato La Capinera, proprio come l’uccellino dal canto melodioso, tipico dell’area mediterranea, vivace, ma anche di indole timida che torna nel suo habitat dopo lunghe migrazioni. È un po’ come me, che ho deciso di tornare nella mia Taormina, dopo tredici anni di assenza.
Oggi ne sono passati più di sedici e non mi sono mai pentito di quella scelta. Contento di rappresentare un punto di riferimento per il mio territorio, fregiato anche del titolo di ambasciatore siciliano del gusto, con una Stella Michelin da dodici anni cucita addosso.
Ci racconta i due progetti “Kistè” e “Io Pietro D’Agostino”?
Kistè è l’ultima mia creatura nata nel cuore di Taormina. Si tratta di un contenitore gastronomico per una cucina d’autore, ricercata ma senza troppi fronzoli, con una formula easy gourmet. Il nome Kistè è un omaggio alle origini greche della città, oggi crocevia di mode e tendenze internazionali, ma è soprattutto ispirato alla presenza all’interno dei locali, in Via Santa Maria De’ Greci, di due enormi cisterne di epoca romana intercomunicanti e ispezionabili. Kistè, un luogo suggestivo, una casa privata della famiglia Cipolla del Quattrocento, dichiarata monumento nazionale per il suo interesse storico e artistico, raro esempio di stile tardo Rinascimento siciliano, dove ogni dettaglio è stato curato per un’accoglienza semplice ed elegante. I piatti sono un’esplosione dei sensi, punto di contatto tra innovazione e storia, tra mare e terra, tra colore vivido e candido bianco. Un menù studiato, contenuto, creato per raccontare, con poco, un universo intero: la Sicilia.
Io Pietro D’Agostino è una selezione dei migliori sapori siciliani, che io stesso utilizzo in cucina. L’idea è quella di gustare i sapori dentro il locale e portarli a casa, se si vuole. con uno spirito che abbraccia ricercatezza e semplicità. La proposta di prodotti con l’etichetta che porta il mio nome è formata da un olio Nocellara dell’Etna, un vino, un passito di Pantelleria doc, i mieli di Zafferana etnea (Melata d’agrumi, sulla selvatica e ficodindia) e una pasta, mezzo pacchero, realizzata con grani siciliani.
Da ambasciatore della cucina siciliana nel mondo, quali sono gli ingredienti a cui non rinuncerebbe mai?
Nei miei piatti ci sono alcuni ingredienti che non possono mancare mai: il pesce azzurro dello Jonio, per cominciare, che è un toccasana per la salute. Non c’è una ricetta in particolare. Tutte hanno un comune denominatore: saper seguire il ritmo delle stagioni e la mappa delle materie prime coltivate, prodotte, realizzate con cura e rispetto. La cucina è ricca di prodotti fragranti, sapori che stanno in un delizioso equilibrio tra terra e mare, ricca di spezie e profumi particolari.
La sua biografia ricorda che all’età di 21 anni cucinò per la regina Elisabetta e i reali inglesi. Quali sensazioni provò in quelle occasioni?
Beh, avevo 19 anni. Ero appena partito per Londra ed ero entrato a far parte della brigata dell’Hyde Park Hotel. L’albergo era il posto preferito della Regina Elisabetta, era solita venire all’ora del tè. Attorniata da un centinaio di addetti alla sicurezza, era spesso in compagnia della regina Madre. Io, giovanissimo, sbirciavo da lontano. Resterà un’esperienza incredibile.
Nel 2008 ha ricevuto la stella Michelin, è entrato nei JRE e in Charming Italian Chef. A un giovane collega che ambisce a simili traguardi, quale messaggio sente di voler trasmettere?
Oggi gli chef godono dell’attenzione del grande pubblico. I fortunatissimi format televisivi hanno portato il piacere del cucinar bene e sano in ogni casa e molti ragazzi immaginano un proprio futuro lavorativo come chef. Siamo diventati esempi da seguire. Ma attenzione, c’è rischio di ingenerare il pensiero che il nostro lavoro sia solo intrattenimento e immagine. Fare lo chef implica oltre alla tanta passione, soprattutto impegno, dedizione, disciplina, tanto più che ora gli standard qualitativi si sono alzati tantissimo. Per questo, penso che non dobbiamo mai dimenticare che il nostro luogo resta sempre la cucina. Sento addosso la responsabilità di contribuire a diffondere il valore del ‘mangiar sano e buono’
In cosa consiste la sua attività di consulenze?
Lavoro essenzialmente con le aziende che hanno bisogno di avviare una Start-up. In pochi mesi di attività, condensa 30 anni di esperienza. Dalla preparazione del menu alla pianificazione sala, alla formazione della brigata in cucina.
Come immagina il futuro di Pietro D’Agostino e de La Capinera?
I futuri progetti continueremo a incardinarli attorno ai tre assi: sostenibilità, ambiente e salute. Fare scelte etiche in cucina significa non solo porre attenzione alla provenienza dell’ingrediente, alla stagionalità, ma anche al modo in cui ogni prodotto viene successivamente trasformato. Territorio, materie prime, non spreco e centralità dell’uomo. È dunque un paradigma attorno al quale alcuni degli interpreti più illuminati dell’alta ristorazione si stanno già muovendo.
Sono passati quindici anni dall’apertura della mia Capinera, e continuo a immaginare di valicare nuove frontiere. Sono tante le mete ancora inesplorate, si nutrono di emozioni, si incasellano ai passi già compiuti e a quelli che verranno, prendono forma piano piano. Non hai mai la certezza di quale sarà la prossima tappa, ma solo la consapevolezza che non esiste un punto di arrivo, in un meraviglioso divenire.