In continuo divenire il prestigioso locale della zona collinare Vomerese, da bistrot – premium bar a ristorante fine-dining, con una eccellente carta dei vini e selezione autoriale di cocktail e distillati.
La raffigurazione di Don Carlo di Borbone, tronfio ed indomito nella battaglia di Gaeta contro gli Austriaci, che funge da viatico, su di una porta scorrevole, in uno stupefacente viaggio nella Napoli che si fece storia, quella della reale identità Borbonica, scevra dall’oleografia e da strumentali rievocazioni ideologico-politiche.
Questo il nucleo fondante dell’idea che Luca Iannuzzi, patron illuminato – anche titolare dell’exclusive beach club Nabilah nella zona flegrea – ha implementato, con coerenza e grande rigore estetico, nel suo locale napoletano Archivio Storico, sin dall’anno della fondazione, il 2013, rendendo ogni visita simile ad una vera e propria iniziazione.
L’ingresso per la verità parrebbe trarre in inganno, una minuscola porticina ubicata in un palazzo dell’elegante quartiere residenziale del Vomero, a pochi passi dalla Villa Flordiana e dall’elegante Certosa di San Martino, contigua allo splendido belvedere dal quale di domina la città. Se il passato non incombesse con tale forza rievocativa, potremmo trovarci in un club a la page di Manhattan, con la scala a condurci in una serie di sale successive sottoposte, in cui le luci soffuse disvelano le sfumature di colore del materiale tufaceo, dal quale sono state ricavate.
Cinque sale, che sono una vera e propria teoria progressiva di tableaux vivants dell’identità napoletana del Settecento, ognuna essendo titolata e dedicata ai cinque Re Borbone delle Due Sicilie – Carlo, Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II – con tavoli in legno massello, suppellettili d’epoca dal gusto art deco, soffitti alti in spazi che probabilmente erano degli antichi cellai dell’edificio.
L’ingresso successivo finisce per rappresentare una vera e propria epifania, una sala dal gusto modernista, che rivela dei grossi debiti stilistici con l’estetica del maestro del design internazionale Philippe Starck: è il luogo dedicato all’arte della miscelazione, un incombente cocktail desk regno del talentuoso Bar Manager Salvatore D’Anna, passione e creatività al servizio di una spiccata estroversione e capacità comunicativa.
Bella ed evocativa la carta dei cocktail, divisi in settore tematici fra “classici contemporanei”, “immancabili”, ed “archivio lab”, di grande pregio la selezione di gin artigianali – oltre venti – distillati e rum, molti dei quali provenienti dal prestigioso catalogo Velier di Ruruki Gargano.
È lo stesso Salvatore D’Anna a spiegare come si sia entrati in una nuova fase evolutiva dei gusti della clientela negli ultimi dieci anni, transitata da preferenze per i “signature cocktail” più beveroni, prevalentemente long-drinks, a prodotti da miscelazione “tailor-made”, ossia ritagliati individualmente sulle preferenze del singolo fruitore. Ancor meglio se contemperanti l’utilizzo di ingredienti antichi tornati in auge, come i vermouth e le erbe aromatiche, come sottacere le botaniche per i gin.
Doveroso menzionare, nella selezione della crew prescelta da Iannuzzi, l’executive chef Alberto Giocondi, rientrato in squadra alla direzione della cucina, dopo circa due anni trascorsi a fare esperienza e formazione fuori dal capoluogo, con una rinnovata proposta gastronomica, ed il direttore di sala Pasquale Compagnone, anche colonna portante del Nabilah.
Muniti idealmente di passaporto borbonico e contagiati da tale spirito di squadra, ci accomodiamo in sala per l’estesa degustazione, insieme al Maestro di cerimonie, socio e responsabile della comunicazione del locale Francesco Cappuccio, notando l’incisiva presenza, nell’afflusso della clientela, di stranieri, in particolare di cultura anglosassone ed americana, segno della continuità e fidelizzazione con la gestione del club flegreo.
Passando al menù degustazione, si inizia dalla tartare di manzo – selezione Bifulco – riso rosso e sedano rapa, in abbinamento il Greco Di Tufo D.O.P. 2019 Torrefavale di Cantina Dell’Angelo, dalle note saline e minerali al palato.
Si prosegue con l’uovo cotto a sessantacinque gradi, spuma di patate, cavolo viola e tartufo di Acqualagna, sorregge con grande classe il pairing il Fiano I.G.P. “Oi Nì” di Tenuta Scuotto, dalla grande complessità aromatica ed olfattiva, che culmina in un sorso lungo e sapido.
È il turno dei “vermicielli coi ricci non ricci” – spaghetto di Gragnano, aglio e olio mantecato con uova di tonno – eterodosso l’abbinamento proposto con la Falanghina del Sannio Brut D.O.C. Frenesia 2020 dell’azienda Rossovermiglio, sentori di fiori bianchi e frutta fresca, acidità fine ed equilibrata.
Si conclude, infine, con “a genuves”, caramelle di pasta fresca ripiene di genovese, cremoso di carote al Martini Dry e gel di vino, con l’eleganza e sontuosità dell’Etna Rosso D.O.C. 2017 “Sul Vulcano” della Maison Donnafugata, blend di vitigni autoctoni per una trama tannica, persistente e profonda.
Insomma, una cucina, quella dello chef Giocondi, in perenne equilibrio, attenta a dosare le influenze spagnole – dal menù bistrot, ora tuttavia parzialmente abbandonato – con quelle francesi, per i piatti più elaborati: chiara è comunque la radice marcatamente territoriale, sotto l’egida prestigiosa della stella Michelin Pasquale Palamaro, una elegante rivisitazione dei piatti dell’epoca borbonica declinati in una versione squisitamente contemporanea.