Bollicine, 100% romagnole e la creazione di un marchio condiviso ‘Novebolle’, nato all’interno del Consorzio Tutela Vini di Romagna (oltre 100 cantine socie). Una nuova etichetta, Bolé nata dall’inedita collaborazione fra i due colossi del vino di Romagna, i gruppi cooperativi Caviro e Terre Cevico, che diventa il primo testimonial di Novebolle e della nuova Doc.
Al centro del progetto la valorizzazione dei vitigni tradizionali, cominciando dal Trebbiano di Romagna, nell’ottica della rivalutazione del vitigno maggiormente diffuso sul territorio che conta ben 14.700 ettari di impianti (29,9% della superficie regionale), e con l’occhio attento ai trend dei mercati nazionali e internazionali.
Abbiamo intervistato: Nicole Poggi, capo progetto e marchio Bolé
Qual è la storia di Bolè?
Quella di Bolé è una storia di coraggio, sinergia e visione, che va’ oltre il vino e parla di creazione e condivisione di un nuovo linguaggio e di nuovi modi fare le cose utilizzando le bollicine come argomento principe. Dietro la bottiglia, una iper selezione che ha come bacino quasi venti mila famiglie di coltivatori e due aziende produttrici concorrenti, che sognano una storia differente da quelle scritte sul territorio fino ad oggi e si mettono in opera per generare valore attraverso la filiera.
Bolè è nato un anno fa e, come primo Novebolle Romagna DOC Spumante, punta il proprio sguardo, innovativo ed energetico, su mondi paralleli, con un approccio che unisce il vino a musica, design, viaggio, cucina. Linguaggi che si intersecano e si contaminano.
Perché per evolvere occorre creare nuovi modi di stare insieme, di generare valore, di riflettere sul vero significato di terra, di vino, di convivialità.
Attraverso Bolé guardiamo a nuovi orizzonti, ai curiosi, agli esploratori, ai tenaci, ai grintosi che si impegnano per creare qualcosa di grande. Una nuova storia, collettiva e visionaria.
Quando e perché avete deciso di innovare il mondo degli spumanti?
Un anno e mezzo fa è partito il pensiero, riflettendo sul potenziale inespresso della Romagna, allo stesso tempo sul valore della filiera e sulla storia della spumantizzazione.
Il progetto della nuova tipologia di Romagna DOC Spumante nasce in ambito Consorzio Tutela Vini di Romagna, e trova condivisione da parte del gruppo dirigente di Caviro e Terre Cevico nella convinzione che il peso specifico della cooperazione, in Romagna, debba essere messo al servizio della crescita della viticoltura e del territorio, nella difesa e nella valorizzazione dei vitigni autoctoni.
Dopo una presentazione interna alle rispettive aziende, si è subito giunti alla convinzione che un percorso prima di tutto etico verso il territorio e valoriale per ridistribuire forza in tutta la filiera fosse necessario, ripensando in maniera più ampia il sistema delle DOC e prendendo come esempio casi nazionali e internazionali di successo, che sono riusciti a riportare alta la reputazione di un vitigno, di un sistema e, in ultimo ma forse più importante, di un territorio.
A inizi ‘900 la Romagna era una culla di produzione di spumanti, come tra Villa Torlonia, casa natale di Giovanni Pascoli, e il faentino.
Infatti, per la morfologia e vocazione del territorio, insieme alle caratteristiche dei due vitigni più importanti come il Sangiovese e il Trebbiano, la Romagna può dar vita a fragranze sfidanti la spumantizzazione ad alto livello, anche se questa caratteristica è sempre rimasta inespressa.
Guardando al territorio con uno sguardo diverso si è finalmente capito questo potenziale, arrivando cosi alla creazione di un marchio collettivo – Novebolle – registrato dentro il Consorzio Vini di Romagna che regola e nomina d’ora in poi tutti gli spumanti DOC romagnoli.
Qual è la tecnologia utilizzata e come funziona il processo produttivo della vostri azienda?
Bolé è frutto di una iperselezione attuata tra i venti mila soci delle due aziende Caviro e Terre Cevico. Proprio per esprimere il potenziale del trebbiano spumantizzato e allo stesso tempo dare valore alla filiera, il processo parte dal vigneto, insieme agli agronomi che, facendo una zonazione dei soci e selezionando le uve, le esposizioni e i luoghi più vocati, hanno creato un nuovo e sfidante modus operandi in continua evoluzione per arrivare al risultato di cui oggi possiamo andare fieri.
I vigneti da cui nasce Bolè sono concentrati nella zona del Ravennate fino a Faenza e lungo la dorsale collinare. La vendemmia è anticipata proprio per preservare l’equilibrio tra acidità, profumi e struttura e la produzione è regolamentata da un protocollo condiviso. La release del Bolé 2018 presenta uno Charmat lungo 60/90gg enfatizzando persistenza e preservando il perlage, rendendolo così un vino perfetto per il tutto pasto e per la mescita al calice.
Siete un’azienda molto innovativa anche nella gestione della comunicazione, quali iniziative avete messo in campo?
Crediamo che la comunicazione sia parte dai valori fondanti del marchio e dalla sua identità. Essendo Bolé un percorso virtuoso per raccontare una nuova storia di territorio e di processo, occorre mettere in campo un nuovo modo anche per comunicare il suo perché e trovare il giusto linguaggio, fresco, immediato, genuino, per arrivare al ristoratore e al consumatore.
Lo storytelling è quindi gestito per rendere protagonisti della narrazione proprio i destinatari, cercando allo stesso tempo di far interagire il vino con il design, i colori, le immagini, l’esperienza. Essendoci dietro un team con esperienze multimediali, il focus del percorso parte dal contenuto, che sia tramite una campagna di illustrazioni, un progetto dedicato su Spotify, un gioco interattivo sul sito per far scoprire il visionario che c’è in ognuno di noi, o un evento diffuso per far scoprire i luoghi e le persone che contribuiscono a rendere speciale il territorio.
Bolé è frutto di un fil rouge tra stile, coerenza, linguaggi, storie tutte raccontate sfruttando gli strumenti che la comunicazione, in primis digitale, mette a disposizione. Quest’anno l’azienda si è dedicata a due campagne in particolare: BoléVibes, una playlist su Spotify, con selezioni musicali che vengono dai luoghi più cool al mondo, mettendo in risalto gruppi emergenti e suoni di tendenza, e BoléBites, un racconto attraverso i locali simbolo dell’accoglienza romagnola, in cui ognuno attraverso un bite, un morso, un sorso o una ricetta traduce il suo stile e viene raccontato dallo sguardo di Bolé. Complice di queste iniziative l’illustratore di quest’anno, Giacomo Bagnara, che collabora con il NY Times e Slack, e con il suo tratto tagliente e pulito dà forza e contemporaneità al visual.
Qual è il vostro business model e quali sono i mercati a cui vi rivolgete?
Come prodotto del territorio siamo voluti partire dal territorio, cercando di raccontare il più possibile visione e valori, spiegando agli operatori romagnoli il perché di una bollicina nuova che parli di mare, collina, convivialità, passione e di tutto quello che rende unici proprio noi romagnoli.
La sinergia tra due aziende che rimangono competitor sui mercati principali ma che si uniscono per distribuire valore alla base in un territorio di provenienza comune, la capacità di rompere gli schemi di una comunicazione “wine”, troppo spesso incentrata su pochi e ripetuti argomenti, con messaggi nuovi, freschi e, soprattutto, veri e, non ultimo, la conformazione del team di persone che lavora al progetto in una fusione di idee, esperienze e competenze diverse sono la chiave di un successo, a tratti inaspettato, che firma il primo anno di Bolè.
Come è stato accolto il Vostro prodotto sul mercato? Ad oggi quali sono i vostri numeri?
Una delle soddisfazioni più importanti, dopo una iniziale fase di studio da parte del mercato che, come per qualsiasi prodotto, guarda alle novità con cautela, è stato il rovesciamento del paradigma oggi più comune in ambito commerciale.
La capacità di essere riconosciuti come marchio, frutto del nostro impegno in comunicazione, eventi e presenza, ha fatto in modo che la domanda di prodotto, guidata da driver come social, collaborazioni e passaparola, sia tra gli operatori che tra consumatori finali, arrivasse man mano crescente.
Questo è un bel caso da raccontare quando ci si trova a parlare di impresa e di come tutte le funzioni, dal commerciale all’amministrazione, dal marketing alla produzione, possano esprimere al meglio il proprio potenziale solamente operando in connessione l’una con l’altra, in una osmosi di competenze che puntano ad un unico obiettivo condiviso.
Prossimi step?
Come ogni viaggio avventuroso, abbiamo qualche idea sulle prossime tappe ma crediamo sia prematuro tracciare linee con l’inchiostro su questa grande mappa ancora da completare che è il futuro di Bolè.
Siamo partiti da un Martinotti lungo e ci siamo impegnati per arrivare ad un prodotto che ne fosse un ottimo esempio. Questo è il driver dei prossimi passi Bolè, fissare un obiettivo, anche se semplice all’apparenza, e cercare di raggiungerlo nel migliore dei modi, con uno sguardo sempre virtuoso e fuori da schemi comuni.
Per chiudere, senza però svelare quello che ancora per noi è solo un sogno, posso dire che ogni “pezzo” della Romagna ha colori e profumi che lo contraddistingue e, in futuro, potrebbe essere bello racchiudere ogni paesaggio in una sua bottiglia dedicata, magari assieme a chi, ogni giorno, quel pezzo di Romagna lo vive, lo coltiva e, soprattutto, lo ama. Come lo amiamo noi.
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Nicole Poggi, capo progetto e marchio Bolé.
Globetrotter, winelover, ama la strategia aziendale e l’identità di marca e il modo in cui le si traduce sui mercati internazionali. Costruisce e condivide l’esperienza e il valore di Bolé con uno sguardo virtuoso alla filiera e a nuovi linguaggi.