Cultura dell’accoglienza e rispetto filologico dei piatti popolari da Buatta, ristorante partenopeo a conduzione familiare del Vomero.
Gustare i piatti del retaggio culinario partenopeo in un’iconica trattoria, divenuta, in circa dieci anni, vero e proprio riferimento per i cultori del cibo genuino, in un quartiere residenziale di Napoli, il Vomero, tradizionalmente votato alla ristorazione d’accomodamento.
Questa la “mission” aziendale di Angela Gargiulo, adiuvata dalla propria figlia Maria Giulia Paesano all’accoglienza – ora tuttavia devoluta alla gestione della contigua “Champagneria Popolare” del medesimo asset, di cui abbiamo diffusamente parlato – con un’interessante carta dei vini, di circa cinquanta referenze, curata dal delegato A.I.S. Napoli Tommaso Luongo.
Aperta, come dicevamo, nel 2002, “Buatta – Trattoria di conversazione” dice tanto anche nell’elemento nominale, a voler implicitamente evocare l’icasticità e la creatività di una lingua, il napoletano – guai a definirlo riduttivamente dialetto – che trova la propria sublimazione e corrispondenza nell’offerta gastronomica, perfettamente calibrata sulle esigenze della clientela, in una declinazione sanamente “popolare”, anche nei prezzi e nel mood dal quale è informato.
L’atmosfera bohemienne della Via Filippo Cifariello ove è ubicata, una caratteristica arteria pedonale sita ad un dipresso dalla centrale Piazza Vanvitelli, trova perfetta rispondenza negli arredi del locale, multiforme e creativo. Dominato, al riguardo, da una serie di opere d’arte e di design alle pareti – ibridazione fra differenti stili, scelti personalmente dalla titolare – oltre che da un caratteristico camino, che fa bella mostra di sé all’ingresso, circondato da delle teche con l’esposizione di una teoria di referenze enologiche, con un pizzico di campanilismo esclusivamente di provenienza regionale, come dicevamo.
Apertura tutti i giorni, sia a pranzo che a cena, a voler rimarcare la tipicità dell’offerta, i piatti “di sostanza” fanno bella mostra di sé, senza velleitarismi e tentazioni referenziali, partendo da una serie di antipasti che vanno incontro alle esigenze di una clientela composita, eppure straordinariamente esigente e fidelizzata.
Doveroso menzionare, preliminarmente, la degustazione degli appetizer, nutrita la frittura mista di crocchè, fiori di zucca e pizzette – che abbiamo degustato “on-the-go” alla Champagneria Popolare in altra occasione – abbiamo optato per le verdure miste, con parmigiana di melenzane, cavolo stufato, verza affogata, panzanella, peperoni imbottiti, funghi al limone, zucca arrostita e zucchine “alla pullastiello”, servite tutte in delle caratteristiche terrine di terracotta, davvero gustose e dalla consistenza croccante.
Punto forte e largamente prescelti dalla clientela abituale, i primi, in bella evidenza tre/quattro “signature dishes”, fra i quali gli spaghetti con alici, limone e pecorino, gli spaghetti con soffritto, la pasta mista con ceci e baccalà, e la genovese con gli ziti spezzati. Prescelta quest’ultima, dalla cottura perfetta, ottenuta con una cottura di circa quarantott’ore, carne esclusivamente di manzo con l’impiego di pasta artigianale trafilata al bronzo, essiccata a bassa temperatura, “Le Gemme del Vesuvio”, splendida la ramatura e la dolcezza della cipolla ramata di Montoro, presidio slow-food.
Seguono i secondi, impossibile soprassedere sulla braciola al ragout secondo la tradizione, le alici in tortiera, la scaloppina di maialino nero irpino e la mozzarella in carrozza. Assaggiamo, ad onta di tale succulenta proposta, il baccalà di Somma Vesuviana, sia nella versione “lesso, con datterini, olive di Gaeta e cipolla di Tropea”, che fritto, davvero dalla panatura croccante, perfettamente dissalato e sapido.
Si conclude con il binomio di due imponenti dessert, provenienti dal vicino laboratorio “Angelina”, dove gustare dolci e torte rigorosamente “home-made”, preparati dalla medesima mano dell’omonima proprietaria: la cheese-cake al caramello e noci, e le straordinarie graffette fritte, con patate.
Fra i vini assaggiati dalla cantina, l’eleganza del Capri D.O.C. Scala Fenicia 2017, la stoffa e l’incisività dello Janare Cantari “Aglianico Riserva 2014 D.O.C. dell’azienda del Sannio “La Guardiense”, ed infine la potenza espressiva del Falerno del Massico D.O.C. Tacito dell’azienda Nugnes, annata 2018.