L’azienda vitivinicola La Sibilla rappresenta un vero e proprio paradigma territoriale di eccellenza, all’insegna della tradizione e della viticoltura eroica.

Una prolusione di carattere mitologico si palesa necessaria, per comprendere la straordinaria complessità di un territorio, e di un’azienda che ne rappresenta una delle molteplici identità, vocata all’accoglienza.

Il titolo di Sibilla Cumana era proprio della somma sacerdotessa, che svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago D’Averno, in una caverna che ne rappresentava l’antro, e ove provvedeva a trascrivere i suoi vaticini in esametri su foglie di palma, poi dispersi al vento a seguito delle numerose correnti esistenti – da qui l’etimologia del termine “sibillini”.

Di foglie di palma, durante la visita nella sede dell’omonima azienda vitivinicola – alla presenza dell’impagabile titolare ed enologo Vincenzo – non ne ho notate, ma, se è vero che la metafora ed i rimandi di significato rappresentano una componente ineludibile del mito, allora ai tempi attuali la vite potrebbe rappresentarne la componente magica, pianta numinosa e retaggio da preservare.

Vincenzo Di Meo è il giovane e talentuoso enologo, nonché responsabile commerciale dell’azienda, che incontriamo in una soleggiata mattinata di un autunno ormai inoltrato, la sua è una famiglia di agricoltori e viticoltori ormai alla quinta generazione, veri e proprio interpreti delle caratteristiche pedoclimatiche di un territorio.

Dodici ettari coltivati, su terreni argillosi e sabbiosi di origine vulcanica, a rappresentare la cantina di tornasole di un prezioso patrimonio di vigne a piede franco – sino a ottantacinque gli anni d’anzianità – allevate a spalliera secondo i principi della lotta integrata, senza l’utilizzo di concimi chimici, con lieviti esclusivamente indigeni ed un utilizzo minimo di solforosa, privi di qualsiasi alterazione chimica.

Sbalorditiva la visita nei vigneti, il Golfo di Napoli incombe sulla linea dell’orizzonte, ad offrire come imprimatur un clima mite e temperato, vera e propria panacea per la salubrità delle piante. Inframezzati da pendenze e dislivelli elevati – discrimine una strada asfaltata che rappresenta tutt’ora una via di fuga per la popolazione in caso di rischio sismico – eterodossa ed unica è la presenza di calidarium e pozzetti termali nelle vigne, a rimarcare la presenza di falde acquifere sotterranee, che caratterizzano il terreno di una grande salinità.

Gamma aziendale prettamente incentrata sui vitigni autoctoni di Falanghina e Piedirosso, in svariati cru, con il valore aggiunto di un bianco macerato, ed il meritevole impegno volto alla riscoperta e valorizzazione di vitigni autoctoni semi-estinti, come a’ livella, a’surcella e a’ marsigliese, obiettivo finale quello della freschezza e facilità di beva, sorretta da raffinate note salmastre al palato.

Numerosi i riconoscimenti ottenuti, fra riviste e manifestazioni di settore, doveroso menzionare quelle nella guida dell’AIS “Vitae”, nei Vini Buoni d’Italia, Slow Wine, ”Doctor Wine” di Daniele Cernilli, e “Wine Hunter Award” in Merano, con un grande rilievo offerto alle potenzialità di invecchiamento, in bottiglie che sfidano il tempo, custodite in una splendida cantina in tufo, catalogate per referenze ed annate.

la sibilla - vini degustati

Passando alla degustazione dei singoli prodotti, si parte dai vitigni bianchi, da menzionare anzitutto, fra quelli tradizionali, la Falanghina Campi Flegrei D.O.C. 2020, con un sorso fresco e salino, dal riverbero sulfureo, seguito dalla selezione “Falanghina Campi Flegrei D.O.C. CruNa del Lago”, di cui degustiamo la 2021, e la straordinaria annata 2011. Trattasi di una vite di poco più di un ettaro, ad un’altitudine di circa trenta metri sul livello del mare, dal colore giallo paglierino, note olfattive affumicate e di idrocarburi – soprattutto nell’annata 2011 – sorrette da un sorso iodato e reciso. Infine, il bianco macerato, il Domus Giulii I.G.T. 2012, proveniente da un antico vigneto collocato a ridosso dei resti dell’antica villa di Cesare Augusto sulla collina flegrea, con note di cera d’api, profumi terziari, datteri e fichi secchi.

Interessante, passando ai rossi, il Piedirosso Campi Flegrei D.O.C. 2020, dal colore rosso rubino, dai tipici sentori di pepe, geranio, ciliegia e macchia mediterranea, ed infine due dei top di gamma, il Piedirosso Campi Flegrei D.O.C. Vigna Madre 2019, di grande corpo e raffinatezza, con elegante note di sottobosco, tannini eleganti e vellutati, seguito dal Marsiliano I.G.T. 2012, blend dei vitigni autoctoni summenzionati, connotato da note di tabacco, mentolate ed eucalipto, ed un raro impiego aziendale dell’uso della botte in fase di affinamento, prescelta la rovere.

In informale pairing, i piatti della signora Restituta, madre di Vincenzo, nell’asset proprietario, con pancetta e salumi artigianali, pizza di grano, salsicce di maiale paesano al ragout, a corredo della straordinaria ospitalità e passione che muove la famiglia Di Meo nella gestione della propria azienda.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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