Ci sono alcuni nomi nel mondo enologico che, per potere evocativo e continuità di gestione, finiscono per rappresentare un vero e proprio paradigma identitario di qualità: è il caso di Ciro Picariello, vigneron di Summonte, località a pochi chilometri da Avellino e seicentocinquanta metri sul livello del mare, che in una manciata d’anni ha contributo a rinnovare l’immagine del Fiano, svincolandolo progressivamente dallo stigma di prodotto di largo consumo e facilità di beva.

Indubbiamente, da questo punto di vista, Picariello può considerarsi a tutti gli effetti un vero e proprio antesignano della zona, essendo l’areale di Summonte non propriamente vocato alla viticoltura, almeno sino all’avvento del proprio operato: il 2004 l’anno di nascita della cantina, con l’utilizzo di vigneti di proprietà della famiglia della moglie, ed il discrimen è stato palese sin dai primordi, evitando di operare come semplice conferitore, avocando su di sé la gestione dell’intero ciclo produttivo – basti pensare che anche il proprio prodotto da rifermentazione in bottiglia, ovverosia il “Brut Contadino”, per inciso il primo pet-nat dell’Irpinia, consta di una lavorazione totalmente autoctona.

Incontriamo Ciro in una calda mattinata di fine estate, anche se per la verità veniamo accolti, all’ingresso della tenuta, dall’affabile ed appassionata coniuge Rita, che con i due figli Bruno ed Emma contribuisce in maniera significativa alla gestione aziendale: il declivio dei vigneti è adiacente il corpo principale dell’abitazione-cantina, il clima della giornata non tradisce lo standard stagionale di Summonte, con una leggere brezza a conferire salubrità e freschezza all’aria, tersa come solo in Irpinia può apparire.

I progetti in itinere, ci viene spiegato con piglio dinamico ed affiatato che solo la sinergia familiare può conferire, sono tanti,  in primis quello del completamento di una nuova cantina con relativo ampliamento dello spazio degustazione – e piccola cucina per “finger food” annessa – a cui verrà affiancata una vera e propria struttura turistica ricettizia, con quattro mini-suite, prospicienti i nuovi vigneti: last but not least, l’acquisizione di nuovi appezzamenti,  miranti all’elaborazione, e messa in commercio, di un ambizioso Taurasi, chissà magari preceduto da un Campi Taurasini.

Dunque, tornando alla struttura aziendale e metodologia produttiva, circa otto ettari complessivi a disposizione, di cui cinque coltivati a Fiano, curate personalmente dagli stessi componenti il nucleo familiare, la raccolta è rigorosamente a mano, con delle rese estremamente basse, terreni argillosi e sabbiosi, caratterizzati anche dalla presenza di arenarie: di sicuro un’anima “bianchista”, con dei vini di grande personalità e finezza espressiva, una straordinaria spalla acida che consente capacità di invecchiamento pressoché illimitate, appunto conferendo nuova veste al Fiano e Greco, senza voler tralasciare uno straordinario cru aziendale, il “Ciro 906”, ed un Aglianico di buona espressività, “Zì Filicella”.

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Soggiogati da tale viatico, ci apprestiamo alla degustazione nel giardino del tenimento, iniziando con le note aromatiche e floreali del “BruEmm 2019”, Falanghina 2019, grande ortodossia e freschezza, dedicata sin dal nome prescelto ai propri figli Bruno ed Emma, seguita dal Fiano di Avellino D.O.C.G. – e dall’Irpinia Fiano D.O.C., entrambi del 2018, note olfattive di fiori gialli e frutta bianca, grande mineralità e persistenza di sorso: la chiusura di gran classe è dedicata al cru aziendale da particella vocata – vigneti ubicati, per contrappunto, proprio di fronte al giardino ove ci troviamo – “Ciro 906” del 2014, colore giallo paglierino carico per un prodotto dalla grande complessità materica, naso intenso con macchia mediterranea in grande evidenza, davvero memorabile e longevo.

Concludendo, non so se, per tempra caratteriale e propensione individuale, a Picariello piaccia la definizione di “Istituzione dell’Irpinia”, di sicuro tracce del suo operato si rinvengono sempre più di sovente in realtà contigue – e non – alla sua: un nume tutelare lo è divenuto con assoluta certezza, ed il commiato, per questa visita estiva del 2020, è riservato alla sua bollicina da metodo ancestrale “Brut Contadino l’educato”, profumi di crosta di pane e perlage fine, nessuna sboccatura per uno spumante che riflette la personalità di chi lo ha concepito, schietta ed emozionante.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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