Quando si nomina Sulmona, non si può non pensare al dolce simbolo di questa città situata nel cuore dell’Abruzzo: il confetto. Esiste infatti una secolare tradizione legata alla produzione di confetti, resi celebri da famiglie artigiane che li hanno lavorati, molte delle quali continuano egregiamente a farlo. Su tutte spicca la famiglia Pelino che da più di duecento anni scrive la storia di questo prodotto gastronomico, riuscendo a raggiungere con successo un pubblico sempre più ampio, composto persino da dinastie reali oltre che da pontefici affezionati.
Abbiamo intervistato il Prof. Mario Pelino, amministratore dell’azienda e discendente di settima generazione.
Prof. Pelino, in 237 anni di storia la Sua azienda ha vissuto e superato guerre mondiali, rivoluzioni, epidemie. L’emergenza da coronavirus è stata l’ultima drammatica sfida che ha messo in ginocchio la società e l’economia mondiale. Come vi siete organizzati nei mesi scorsi e il vostro settore oggi che danno registra?
Il nostro codice Ateco ci ha consentito di lavorare e perciò siamo stati operativi. Certo, il negozio storico aziendale non ha aperto come imposto dalla legge, però siamo rimasti attivi all’interno perché ci sono state vendite online, l’unico canale che si è mosso. Molti hanno chiamato telefonicamente. Altri, di più rispetto agli anni scorsi, hanno utilizzato sia il nostro sito sia quello di rivenditori che usano i nostri confetti. Siccome c’è stata anche la possibilità di attivare la cassa integrazione, lo abbiamo fatto per quasi tutti i nostri collaboratori, soltanto due sono rimasti in produzione. Di ordini online ne abbiamo ricevuti una quindicina ogni giorno. Quando il periodo di chiusura completa si è allentato, gli ordini online sono un po’ aumentati, però non si può pensare di essere ritornati ai tempi dell’anno scorso. Riguardo al danno economico della pandemia sul nostro settore, senza dubbio è durissimo perché i matrimoni sono quasi tutti stati spostati all’anno prossimo. Lo stesso discorso vale per le altre cerimonie, tranne le lauree anche se pochi laureati recentemente hanno festeggiato. Parliamo del 95% di differenza di fatturato tra aprile 2019 e aprile 2020. I mesi di maggior lavoro per il nostro settore, soprattutto legato alle cerimonie e al turismo, sono marzo, aprile, maggio e anche giugno. Un settore distrutto nel momento in cui non vengono concessi assembramenti e festeggiamenti.
Quale o quali sono stati i punti di forza che hanno permesso ai suoi antenati di avviare un percorso imprenditoriale così lungo e quanto lo stesso territorio ha giovato all’affermazione dei Confetti Pelino?
A Sulmona, già nel Settecento-Ottocento, ci furono parecchie aziende confettiere, piccoli nuclei di pasticcieri che facevano confetti. I nostri antenati nacquero in questo tessuto. Questi nuclei si formarono in condizioni socio-economche particolari. Qui c’erano molte mandorle e nocciolette e poi queste erano zone molte ricche in un passato non tanto lontano perché avveniva il fenomeno della transumanza. Quindi il benessere dato dall’economia pastorale e la presenza della materia prima hanno fatto sì che da secoli sia nata questa tradizione. Il nostro è un prodotto di alta gamma e soprattutto che ha conservato quelle caratteristiche artigianali che si basano su ricette antiche che abbiamo rispettato proprio per portare avanti questa tradizione storica. La nostra crescita è stata relativamente lenta ma costante. In questi anni a essere cresciuto è stato soprattutto il mercato estero.
Senza dubbio chi si rivolge a Pelino lo fa perché è alla ricerca di confetti di alto valore qualitativo che soddisfino anche le esigenze alimentari. Quali tipologie di confetti vendete maggiormente?
Quelli che vendiamo di più sono i confetti classici. Le persone che ci chiamano cercano confetti di alta gamma, classici, alla mandorla d’avola. I calibri 37-38-40 sono quelli che vendiamo di più. Anche il cioccolato oggi attira tanto così come il pistacchio, però il confetto principe in tutte le confettate è sempre il confetto classico alla mandorla d’avola, sottile, tenero, con poco zucchero.
Inoltre, siamo stati i primi a iniziare la produzione dei confetti senza glutine. Nella ricetta sulmonese risalente al 1820-30 si specificava che la caratteristica del confetto era di essere senza farina né “fioretto” o amido. Siccome le nostre origini aziendali risalgono a quel periodo, è ovvio che i nostri antenati recepirono questa ricetta e di generazione in generazione la si è mantenuta. Così, quando sono nate le incompatibilità alimentari, noi eravamo già pronti, senza stare a fare troppi artifici. Ci tengo inoltre a sottolineare che le nostre scatole, sul retro, sono facilmente intelligibili. Si può leggere zucchero, mandorla, nocciola, gomma arabica, aroma, vanellina.
Ad apprezzare i vostri confetti sono anche i nobili, Corona inglese e non solo, per i loro eventi di incredibile sfarzo nei quali il made in italy ha modo di sfoggiare le sue eccellenze. L’ultimo matrimonio reale a cui avete partecipato?
L’ultimo in ordine di tempo è stato dei reali del Qatar, Aisha e Fahat. Dopo essere venuti proprio a Sulmona, ad agosto del 2018 “parcheggiarono” lo yacht a Capri. Fummo ricevuti in una bellissima sala di ricevimento dello yacht e lì presentammo i nostri prodotti, colori. In prossimità del matrimonio, mi recai in Qatar con due collaboratrici. Confesso che raccontare cosa successe è limitativo, uno dovrebbe esserci stato per capire. Tra l’altro io non potetti neanche restare al matrimonio perché la cerimonia era soltanto per donne, 850 signore vestite e ingioiellate come mi raccontarono poi le mie collaboratrici. C’era una struttura di 4000/5000 metri quadrati creata dal nulla in mezzo alla sabbia con aria condizionata. E il 90% di ciò che fu offerto veniva dall’Italia! C’era il pasticciere Sal De Riso, venuto con i limoni di Sorrento per preparare i dolci sul posto. La nostra merce era stata già spedita e quando arrivammo allestimmo questi buffet della confettata, cesti con fiori e confetti. Ormai il matrimonio made in Italy è arrivato ad altissimo livello, non è soltanto un fatto di prodotti, ma di stile, di immagine, di qualità, di fascino. Lo straniero che vuole il meglio per festeggiare il proprio matrimonio o lo fa in località italiane oppure, se lo fa nel Paese di origine, siamo comunque noi aziende italiane che andiamo lì a offrire la nostra qualità di prodotti e di stile, frutto di secoli di perfezionamento. Questo è un enorme patrimonio che abbiamo e dobbiamo sostenere.
Risale alla fine degli anni ’80 del secolo scorso la realizzazione, all’interno del vostro stabilimento produttivo, del Museo dell’arte e della tecnologia confettiera. Perché siete arrivati a fondare questo spazio che espone macchine antiche, attrezzature e vari cimeli?
Quest’anno il museo compie 32 anni, è nato per necessità perché in famiglia non buttiamo nulla. Avevamo una massa enorme di materiali e documentazione in soffitte e magazzini. All’inizio degli anni ottanta acquisimmo uno stabile che si trovava quasi adiacente alla fabbrica e lì, ci dividiamo il merito mio zio e io, decidemmo di farci un museo, sorto per l’esigenza di raccogliere tutta la nostra storia, quadri, diplomi, macchinari antichi. Piano piano è andato crescendo. Poi nel venticinquennale abbiamo realizzato un filmato nel quale emerge un aspetto fondamentale, ovvero noi siamo legati al territorio e il territorio è legato a noi, si tratta di un binomio imprescindibile e inscindibile. Oggi i prodotti si qualificano anche per il posto in cui sono nati e in cui sono radicati, come si farebbe a delocalizzare una fabbrica di confetti di Sulmona? Qui c’è il radicamento del nostro confetto. È il territorio stesso che qualifica in termini qualitativi il prodotto nostro, un territorio di ambiente quasi ancora selvaggio dove c’è una tutela della natura con i parchi nazionali e poi c’è anche una tradizione enogastronomica che si è mantenuta quasi inalterata con i secoli. L’Abruzzo è stata per tanto tempo una regione isolata, negli anni cinquanta-sessanta la gente manco sapeva dove si trovasse! Poi dopo con la costruzioni di autostrade, c’è stato l’afflusso da parte di cittadini delle altre regioni però, intanto, tutte le tradizioni abruzzesi si erano mantenute senza perdersi perché sono rimaste chiuse in questo ambiente montano, aspro, mal collegato.
Nel corso della sua storia, la Confetti Pelino è stata insignita di alte onoreficenze nazionali ed estere. Immaginiamo che scegliere non sia facile, eppure ce n’è una che Lei conserva particolarmente nel cuore?
Forse il “Mercurio d’Oro”, un premio degli anni sessanta. Custodiamo fotografie di Andreotti che consegnò il riconoscimento a mio padre e a mio zio, Alfonso e Olindo. Poi altre onoreficenze, però simboliche, sono quelle dei Papi che sono proprio affezionati a noi e anche in questo caso ci sono fotografie che ci ritraggono in Vaticano. I pontefici ci hanno sempre onorato della loro attenzione, come Benedetto XVI che è venuto a Sulmona nel 2010, gli hanno offerto i nostri confetti e da allora ne chiedeva costantemente. Lui è noto per essere molto goloso, prendeva gli assortiti, i classici alla mandorla, al cioccolato. Anche Giovanni Paolo II veniva spesso in fuga in Abruzzo perché se ne andava sulle nostre montagne e consumava i nostri confetti. Come dicevo, sono premi simbolici, però a testimonianza di un’attenzione verso il nostro territorio e i nostri prodotti, intesi come Pelino ma anche come prodotti abruzzesi. Mi considero felice, fortunato di vivere gli ultimi anni della mia vita nel posto in cui sono nato dopo aver viaggiato molto all’estero per lavoro.
Come sarà a Suo parere il futuro dell’azienda Pelino?
Il futuro è nelle mani della prossima generazione Pelino, sarà l’ottava. Sono sempre ottimista, anche ora che sto per compiere settant’anni. Ottimismo abbinato alla modestia che contraddistingue la nostra famiglia e che è l’ingrediente fondamentale per andare avanti.