Danilo Di Vuolo è stato uno dei più appassionati esponenti dell’alta cucina campana con il ristorante Maxi presso l’Hotel Capo la Gala di Vico Equense (Napoli). Cresciuto tra i suoni ed i profumi della cucina dei nonni, il tono sognante con cui ne descrive prodotti tradisce l’amore viscerale per la sua terra prima dell’eleganza mediterranea dei suoi piatti. La sua ultima sfida: portare la sua idea di cucina direttamente a casa dei clienti come Personal Chef.
Come si è avvicinato alla cucina?
Sin da piccolo ho respirato il profumo dei piatti poveri della tradizione napoletana a casa dei miei nonni. Ricordo la gioia di quando si mangiavano frittelle, pizze fritte e paste infornate; la diffidenza che si trasforma in curiosità mentre provo piatti dai sapori complessi come il baccalà, la tortiera di alici e le ventricelle di stocco. Proprio questa curiosità mi ha spinto ad esplorare il mondo dietro le persone che elaboravano i piatti secondo quello che mi sembrava un rituale da tramandare di generazione in generazione.
Quali esperienze di alta cucina ha effettuato e come hanno contribuito alla sua formazione? Dopo i primi anni di scuola alberghiera ed i primi lavoretti con gli chef della penisola amalfitana, i grandi viaggi mi hanno spinto a voler modernizzare mia cucina senza perdere di vista quelle che sono le sue origini. La contaminazione delle erbe e l’uso di nuove spezie erano sempre finalizzate all’esaltazione della materia prima, che resta la fondazione sui vengono creati e costruiti nuovi piatti.
Qual è la sua idea di cucina? Come si è evoluta dal Quattro Passi al Maxi? Alla guida di un grande resort, la sfida consisteva nel comunicare ai clienti la mie esperienze e la mia identità attraverso la cucina. Alla guida del Maxi ho capito che per riuscirci è importante avere un team che condivide e crede nel progetto. Da quel momento, in qualsiasi esperienza lavorativa porto con me la consapevolezza che la coesione e la compattezza della squadra valgono almeno quanto la loro esperienza professionale.
Perché ha lasciato l’alta cucina per dedicarsi alla professione di Personal Chef? Il lavoro di Personal Chef mi dava possibilità di far conoscere l’aspetto più viscerale delle mie creazioni, aggiungendo una dimensione “dialettica” all’esperienza gastronomica. La serata rappresenta un momento di apertura alle riflessioni dettate dalla mia cucina, in un ambiente con meno barriere di un ristorante di alta cucina.
Quali insegnamenti che ignorava nel ruolo di Executive Chef le ha portato l’esperienza da Personal Chef? Ho imparato a non dare nulla per scontato e a mantenere un equilibrio tra il diffondere e l’apprendere. Entra in gioco anche la capacità di intuire le esigenze del cliente per saperlo emozionare con un piatto relativamente semplice ma che tocca le corde emotive di un ricordo.
Quali aggiustamenti ha dovuto effettuare in questo cambio? Come Personal Chef sono entrato nelle case di persone con abitudini e culture diverse: la pulizia assoluta e una interpretazione “diretta” del piatto sono indispensabili per la soddisfazione dei clienti. Ho anche lavorato ad un approccio che non riducesse l’esperienza a quella di avere un cuoco a domicilio per una sera, ma aprisse invece le porte ad un confronto e ad uno scambio di conoscenza.
In che modo, secondo lei, la pandemia ha influenzato la domanda per un Personal chef?
Questa figura è scomparsa durante la fase acuta della pandemia in quanto gli spostamenti erano vietati. Non appena le restrizioni si sono alleggerite, c’è stata una riscoperta del ruolo dal momento che le persone si sentivano più tranquille offrendosi un’esperienza gastronomica a domicilio anziché frequentando ristoranti stracolmi, con controlli spesso inadeguati.
A quale prodotto della sua terra è maggiormente legato?
Mi sento fortunato a provenire da un posto dove le persone si sporcano le mani per tirare fuori prodotti meravigliosi, frutto del sole e del mare che bacia questo lembo di terra. Se proprio ne devo elencare qualcuno i pomodori di Sorrento, la pasta di Gragnano, l’olio d’oliva, le alici salate di Cetara e la mozzarella di bufala.
Quali ristoranti le piace frequentare nella sua città? Non c’è un ristorante in particolare, i posti a cui sono affezionato sono quelli dove l’accoglienza e la convivialità trasformano uno spaghetto al pomodoro fresco nel miglior caviale. Siamo fortunati ad avere luoghi capaci di offrire queste sensazioni sia sul mare che in collina. Parlando di “posti del cuore”, ho sicuramente un debole per la Gelateria Gabriele dei fratelli Cuomo a Vico Equense, perfetta per chiudere la serata in dolcezza!