Il Ristorante Don Alfonso 1890 è lo specchio di una filosofia che innova rispettando la cultura e le tradizioni alimentari millenarie della Penisola Sorrentina e della Costiera Amalfitana.
Innovare, stare al passo con i tempi, è fondamentale, attorno a questo inscindibile legame si sviluppa l’attività del Don Alfonso 1890 che mantiene un’identità ben precisa, legata alla storia ed alla terra.
Lo chef Ernesto Iaccarino porta avanti l’arte culinaria tramandatagli ormai da generazioni. Una cucina, fatta di orto, pesce, carne e valorizzazione del territorio.
Lo abbiamo intervistato:
Ernesto sei l’ultimo anello di una dinastia che cucina dal 1890, cosa si prova ad avere questo “fardello”?
In realtà io non ho mai sentito la responsabilità come un fardello, anzi, poiché sono entrato in cucina dopo una laurea in economia e commercio posso dire che sono entrato con una consapevolezza, ovvero quella di aver fatto una scelta libera quando potevo fare altro. Poi io mi diverto molto a fare questo mestiere per cui non penso mai nè al peso nè alla responsabilità. Penso solo a divertirmi giocando con gli ingredienti.
Dopo la laurea in Economia e commercio alla Bocconi sei passato ai fornelli, un bel salto, come hai vissuto quest’esperienza?
In effetti non è che vivevo su Marte mentre mi laureavo, ho lavorato tutti i weekend nell’azienda di famiglia, da quando avevo dieci anni. Per me l’impegno grosso è stata l’Università. Immaginate un ragazzo che nasce in Costiera sorrentina, il mese di Luglio, invece di andare al mare ero legato sui libri dodici ore per prendere trenta all’Università. Quello è stato un periodo durissimo della mia vita. Tutto il resto era naturale, avere a che fare con i clienti e lo stare in cucina, non mi pesava affatto. E’ dal 1890 che facciamo questo mestiere come famiglia quindi lo vivi, lo respiri sin da bambino e ci lavori sin da subito. Per cui il salto oggettivamente per me non è stato questo, ma andare all’Università e prendere una laurea col massimo dei voti.
La famiglia è il fulcro della vostra forza, ma lavorare in famiglia non è anche difficile?
Come in ogni famiglia non hai barriere, se pensi ad una cosa la dici anche se i ruoli sono diversi e quindi questo potrebbe creare attriti più forti. Penso di avere due genitori intelligenti che ti fanno pure sbagliare e che ti lasciano libero di farlo, facendoti crescere più velocemente. I miei sin da piccino mi hanno spinto ad essere molto indipendente, da quando avevo dieci anni, giravo da solo pure all’estero, mi mandavano da amici a conoscere il mondo. Tutto ciò dipende dalla famiglia e, ripeto, se hai dei genitori intelligenti tutto è più facile.
Quali insegnamenti hai avuto dai tuoi genitori Livia ed Alfonso?
Mi sono laureato molto presto alla Federico II, Università pubblica e non alla Bocconi, e già a diciotto anni pensavo di dovermi mantenere da solo, pure con l’Università. Livia e Alfonso sono stati degli esempi, non c’è miglior insegnamento che l’esempio, per cui loro, con la loro tenacia, con la loro testardaggine e visione mi hanno dato tantissimo. Anche la capacità di lavorare sin da bambino mi è stata trasmessa e quindi per me lavorare è un piacere. Vedo gente per cui il lavoro è uno stress, per me è divertimento, è una cosa che fa parte delmio DNA.
Sicuramente mi hanno deviato, perché quando nasci inizi a crescere e a mangiare in un certo modo, diventa un’esigenza primordiale quella di mangiare bene usando grandi materie prime. Il primo grosso insegnamento è che la materia prima in cucina è veramente la cosa più importante. La seconda cosa che sicuramente trasmettono due persone come Livia e Alfonso è la passione, però non una passione obbligata, ma una passione che diventa contagiosa. Livia ed Alfonso hanno fatto il loro percorso, noi abbiamo fatto il nostro e poi alla fine le strade si sono incrociate e incontrate naturalmente.
Sei stato presidente dei JRE, hai detto: “la cucina d’autore oggi deve essere identitaria, ma aperta a 360 gradi a quello che succede nel mondo”, cosa intendevi?
La cucina d’autore deve essere identitaria ma aperta a 360 gradi a quello che succede nel mondo, in realtà intendo che bisogna partire dal patrimonio culturale che una cucina ha. Noi abbiamo un’Italia divisa in regioni e ogni regione ha le sue peculiarità e le sue tradizioni. Penso che bisogna partire da qui perché se hai un passato e una storia, ciò ti aiuta a comprendere anche meglio quello che è il futuro.
Sono fermamente convinto che abbiamo un patrimonio da tutelare, perché rappresenta un qualcosa che si è accumulato nei secoli. E’ una stratificazione secolare di ricette che poi oggi rappresentano le nostre tradizioni, ma dobbiamo anche essere aperti a 360 gradi a quello che succede nel mondo perché la cucina è da sempre evoluzione. Basta pensare al pomodoro che non esisteva in Europa prima della scoperta delle Americhe ed era una pianta ornamentale, quando arrivò in Europa agli inizi. Qualche pazzo ha iniziato ad usarlo in cucina ed è diventato oggi la base della nostra tradizione. Per cui la cucina è da sempre evoluzione, identitaria, ma evoluzione anche sulle tecniche. Oggi tutti cuciniamo in modo diverso rispetto a 50 anni fa. Abbiamo la possibilità di avere gli abbattitori, abbiamo la possibiltà di controllare al grado le cotture, abbiamo la possibilità di conservare le materie prime in modo molto diverso rispetto a 50 anni fa, per cui le cotture sono molto più brevi e cerchi di far sentire la materia prima straordinaria che uno poi riesce a trovare. L’evoluzione è tutto in cucina, mentre il rispetto delle tradizioni fa sì che viene fuori una cucina che racconta un territorio, una regione, una storia. E questo rappresenta la tua identità, la tua cifra stilistica ed è ciò che ti rende diverso dal resto del mondo.
Nel vostro sito campeggia questa frase di Eduardo De Filippo”Solo dopo aver studiato, approfondito e rispettato la tradizione, si ha il diritto di metterla da parte, sempre però con la consapevolezza che le siamo debitori, per lo meno, d’aver contribuito a chiarirci le idee. Naturalmente, se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma ma, se ci serviamo della tradizione come d’un trampolino, è ovvio che salteremo assai più in alto”, cosa intendete?
Questa frase di Eduardo De Filippo rispecchia a pieno quella che è la nostra idea di cucina: mantenere un’identità perché è frutto di secoli di lavoro,ma l’evoluzione è un aspetto naturale della cucina, e di solito una grande innovazione in cucina rischia di diventare una tradizione di quella terra, di quel luogo o di quel ristorante. La frase di Eduardo ci rappresenta a pieno e per questo motivo abbiamo deciso di metterla sul nostro menù.
Molti si domandano perché non la 3 stella michelin, tu che risposta ti dai?
Sono veramente molto sereno, perché dopo anni di attività, col ristorante sempre pieno tutte le sere, con la lista d’attesa dal Martedì alla Domenica, non te la fai questa domanda. Quello che cerco di fare tutti i giorni è dare il meglio di me alla ricerca del piatto perfetto ed è questo per cui mi sveglio la mattina.
Don Alfonso non è solo ristorante ma anche hotel, corsi di cucina, azienda agricola e consulenza, come fate a fare tutto bene?
Il Don Alfonso è tante cose, è azienda agricola in primis perché partiamo dalla terra. E’ albergo perché ci siamo resi conto che le persone hanno bisogno di avere un momento di relax anche dopo cena e quindi se non vogliono prendersi il disturbo di guidare una macchina dopo essere stati due o tre ore a cena dovevamo offrigli un servizio. E in più poiché noi amiamo veramente il cibo ci siamo detti che qui al Don Alfonso la colazione deve diventare un must assoluto. Solo per le colazioni, per 8 suite, abbiamo due ragazzi in cucina che fanno solo questo. I plumcake, le brioche, i cornetti e le marmellate.
Le consulenze le facciamo dal 2000. Quest’anno abbiamo compiuto 11 anni di Cina. Siamo anche presenti in Nuova Zelanda e Toronto. Siamo quasi come una multinazionale ma rimaniamo col cuore di un artigiano e rimaniamo persone che sanno che oltre un certo numero i ristoranti non si possono gestire bene. Oggi siamo a quota 6 e questo è il limite massimo. In realtà, soprattutto sulle consulenze, bisogna fare una piccola riflessione. Poter fare le consulenze significa poter avere gli uomini, gli uomini li devi costruire, c’è un lavoro di 10 o 20 anni dietro a certe persone che poi ci rappresentano in giro per il mondo. Noi abbiamo investito molto sul personale, sulla capacità dei ragazzi, su quelli bravi, mettendoli al centro di un progetto di vita, di cultura gastronomica. il Don Alfonso ha un suo stile che ha come base la dieta mediterranea, è uno dei ristoranti che probabilmente in Italia ha lasciato un’impronta importante perché ha interpretato da sempre la cucina mediterranea e ha costruito una cifra stilistica che rappresenta un unicum.