Donato De Leonardis nasce nel 1990 in Basilicata. Nel 2009, si trasferisce a Colorno per frequentare l’Alma, prestigiosa Scuola Internazionale di Cucina Italiana dove perfeziona le sue capacità tecniche e conoscitive. È l’inizio di percorso professionale che lo porta a lavorare una volta terminati gli studi, in Alpago, piccola comunità montana nel bel mezzo delle Dolomiti Bellunesi tra il Cansiglio e il lago Santa Croce nel Ristorante Stellato “San Lorenzo”.
Dopo questa importante esperienza si trasferisce in Campania a Sant’Agata sui due golfi nella penisola Sorrentina per lavorare al Don Alfonso 1890, due stelle Michelin punto fermo della ristorazione mediterranea nel Sud Italia e nel mondo. Dopo aver riassaporato l’aria del sud si trasferisce poi a Milano al ristorante Trussardi alla Scala, sotto la guida dello chef Andrea Berton, prima, per poi entrare a far parte della brigata dello chef Carlo Cracco.
Nel 2012, arriva alla corte di Gualtiero Marchesi considerato il fondatore della “Nuova Cucina Italiana dove trascorre 5 anni fondamentali per la scalata della sua carriera sino a diventare Sous Chef nel 2014 e, nel 2015 a soli 25 anni chef di cucina. Nel 2018 torna a Lavello, per portare in alto la ristorazione Lucana intraprendendo con tutto il suo bagaglio il lussuoso progetto targato San Barbato Resort Spa and Golf ***** Lusso. Obiettivo pienamente raggiunto con il conseguimento della stella Michelin per il 2021.
Ciao Donato, ci racconti come ti sei avvicinato alla cucina
È una passione che coltivo fin da bambino, quando durante le festività, nel periodo della raccolta dell’uva o della molitura delle olive, non vedevo l’ora di assaggiare ciò che la mamma e le nonne preparavano, usando i prodotti della terra, della nostra terra, pietanze contadine che mai potranno andar via dalla mia mente. Mio nonno non tornava mai a mani vuote dal suo orto. D’estate era un rito appendere i pomodori per averne la scorta d’inverno o quando di rientro dalla caccia, ci sedeva avanti al camino per prepararci le bruschette con i suoi pomodorini e spesso un po’ di lardo.
Hai avuto diverse esperienze come prima di approdare al Don Alfonso 1890 San Barbato, come il mitico Don Alfonso 1890, da Cracco a Il Foyer Teatro alla Scala, cosa ti hanno lasciato?
Sicuramente il rispetto per chi ci permette di poter fare questo tipo di cucina. Agricoltori allevatori, pescatori, senza il loro contributo diventa impossibile garantire la QUALITÀ. Nel corso degli anni ho capito una cosa importante, nel nostro lavoro è gratificante la condivisione. Per me è fondamentale gioire per i traguardi raggiunti e affrontare eventuali problemi insieme con la propria brigata. Diventare come parte integrante di una grande famiglia.
Sei uno dei quattro under 30 ad aver ottenuto la stella dalla Guida Michelin 2021, che emozione hai provato?
Dopo tanti anni di duro lavoro, mancanze, sacrifici e intere giornate passate in cucina sono felice di ciò che sono, della persona che sono diventato. Sono soddisfatto di come la mia famiglia abbia contribuito a rendermi una persona migliore crescendo nella modestia e nella semplicità. Vivo rispettando quei valori che io stesso mi impegnerò a trasmettere ai miei figli. I sacrifici ripagano sempre.
Ci racconti la tua filosofia in cucina?
I miei piatti nascono dalla continua ricerca di tutto ciò che il nostro territorio ci mette a disposizione, con la costante tendenza a prediligere coloro che preservano le lavorazioni e la qualità non a favore di metodi intensivi ed industriali, rivolgendo costante attenzione a ciò che nel tempo ho avuto modo di vedere e toccare con mano nel corso delle esperienze vissute. Materia prima di estrema qualità, tecnica e un pizzico di estro. Pochi elementi ma trattati con il giusto rispetto, per dare loro il valore che meritano
Sappiamo che avete selezionato con cura i vostri fornitori, quindi vi proponete di valorizzarli, in che modo?
Esaltando nel migliore dei modi ciò che loro con passione cercano di affidarci. Non li chiamerei solo prodotti o materia prima ma capolavori. Frutto della loro vita vissuta per quel lavoro.
Nel menù autunnale hai cercato di valorizzare anche la cacciagione locale, ci racconti come?
Dandogli il valore che gli si dava una volta, anni addietro era sinonimo di povertà non tutti potevano permettersi di mangiare la carne, la caccia è sempre stata molto presente sul nostro territorio, non solo per passione spesso per necessità..
Al San Barbato presentate 3 menu degustazione, ci puoi dire qualcosa in più?
Se avessi seguito il mio istinto ne avrei messo solo uno, che avrebbe racchiuso l’insieme di conoscenza ed esperienze acquisite durante il mio percorso di vita e di lavoro. Ma visto che siamo ancora in un territorio giovane non sempre predisposto ad affacciarsi a questo tipo di esperienza gastronomica si è pensato a 3 menù differenti, questo per renderne più semplice la comprensione.
Qual è il piatto della tradizione lucana al quale sei più legato e perché?
Baccalà patate e peperoni Cruschi. Piatto apparentemente semplice ma che nasconde tante difficoltà. Ad oggi come quello della nonna. Mai mangiato eseguito in maniera perfetta altrove.
Sei ancora giovanissimo, qual è il tuo sogno nel cassetto?
In primis mantenere e confermare la stella Michelin, continuando a lavorare sodo. Il mio impegno è rivolto al costante miglioramento alla crescita professionale con il desiderio comune di ottenere ulteriori riconoscimenti