Federica Marcaccini, bartender romana appassionata di ristorazione sin dall’adolescenza, finisce quasi per caso dietro il bancone e capisce che il suo mondo è quello della miscelazione. Dopo qualche anno passato a lavorare in vari locali, entra a far parte dello staff del Blackmarket Hall dove si perfeziona come bartender e avrà la sua prima esperienza come bar manager. Adesso si sta preparando per una nuova esperienza all’estero.
Ciao Federica, ci racconti come ti sei avvicinata al mondo della mixology?
Sono sempre stata affascinata dal mondo della ristorazione. Durante gli ultimi anni del liceo, quando una mia amica mi ha proposto di lavorare come cameriera in un locale, non ho esitato. All’inizio, mi sono sentita fuori luogo, goffa, non avevo nessun tipo di preparazione, ma ho perseverato cercando di imparare il più possibile da chi avevo intorno. Successivamente ho avuto l’occasione di salire dietro al bancone e da quel momento in poi non sono più scesa. È stato un amore a prima vista. Ho sentito un forte senso di appartenenza e ho realizzato che volevo che diventasse parte integrante della mia vita. Così mi sono iscritta a dei corsi di formazione e ho iniziato a studiare anche per conto mio, con l’obiettivo di conoscere il più possibile non solo il mondo della miscelazione, ma quello della ristorazione in generale: è un settore in continua evoluzione.
Ci racconti le tue esperienze passate e cosa ti hanno lasciato?
L’aver lavorato in diversi tipi di locale mi ha permesso di conoscere sfumature diverse di questo mestiere. Ho imparato le basi della miscelazione, come approcciarsi ai clienti, come si lavora in un team. Tutto ciò mi ha permesso di crescere umanamente e professionalmente. Ma la cosa più importante è stata capire che bisogna essere i primi a credere nelle proprie capacità e a saper sfruttare al meglio le occasioni che si presentano.
Sei stata diversi anni lavori al Black Market hall, cosa ti ha lasciato?
Il Blackmarket è stato dapprima la mia scuola e poi è diventato la mia seconda casa. Ho iniziato come barback al Blackmarket 101 con moltissima curiosità: volevo capire cosa significasse trovarsi in un cocktail bar che, in quel periodo, iniziava ad avvicinarsi ad una miscelazione più complessa. Ricordo che sono stata in prova per tre mesi ed era previsto che lavorassi tre volte alla settimana ma, alla fine, ero quasi sempre lì. Per una strana coincidenza io e il Blackmarket siamo cresciuti insieme: da barback sono passata a bartender nel momento in cui era stato deciso di investire di più sul bar e di cambiare le proposte dei drink, una cosa che mi ha permesso di migliorare a livello tecnico. Successivamente da bartender mi hanno promosso a head bartender con l’apertura del Blackmarket Hall, lasciandomi poi, negli anni successivi, la gestione completa del bar. La nuova location è un ex ristorante quindi, avendo a disposizione una cucina attrezzata, con qualche anno di pratica alle spalle, ero felicissima di dare più spazio alla creatività. Ho avuto la fortuna di avere dei colleghi e dei capi meravigliosi, un team di persone talentuose e la maggior parte delle cose che so, come ho impostato il mio modo di lavorare, sono frutto degli anni trascorsi con a loro e non smetterò mai di ringraziarli.
Cosa pensi del bartending di oggi e come pensi cambierà nell’immediato futuro?
Dagli ultimi anni il mondo del bar ha subito un notevole cambiamento nel modo in cui si costruiscono e si concepiscono i drink. Ci siamo avvicinati molto alla cucina, soprattutto quella modernista, e di conseguenza si sono ampliati i mezzi e le fonti che possiamo usare. Inoltre vi è un approccio più scientifico: l’importante non è solo creare buon drink, ma conoscere come gli ingredienti che utilizziamo interagiscono tra di loro per ottenere poi un determinato tipo di flavour. A causa del Covid, con l’impossibilità di poter tenere i locali aperti, molti hanno riproposto i drink in bottiglia con formule delivery e take away. In generale credo che questo sarà un importante periodo di transizione.
Quale tecnica di miscelazione preferisci?
Sicuramente la tecnica shake and strain è quella che mi affascina di più se sono davanti al bancone, come cliente, ed è considerata il tratto distintivo di un bartender. Ma quando sono dietro il bar non c’è una tecnica che preferisco, credo che tutto dipenda molto da cosa sto preparando, dai prodotti, dagli ingredienti che voglio usare e soprattutto dal risultato che voglio ottenere.
Ma quanto spazio ha la creatività?
In generale la creatività non ha limiti e per un bartender è essenziale ma credo che debba essere ben alimentata e guidata. I drink che ho creato all’inizio della mia carriera sono completamente diversi da quelli nati ultimamente, penso si noti che vi è più consapevolezza di quello che sto facendo, prima ero un po’ più indisciplinata. L’importante per me è saper unire insieme creatività e conoscenza.
E il distillato che preferisci miscelare e qual è il cocktail che preferisci bere e quello che preferisci realizzare?
Sono sempre stata appassionata di agave ma ultimamente non esco mai da un locale se non concludo la serata con un buon Gibson: wet e con due cipolline. Mi piace miscelare tutti i distillati ma il Tommy’s Margarita è il drink che preferisco preparare, sarà che rimane il cocktail a cui sono più affezionata.
A tuo parere, cosa non può mancare in un bar, a livello di servizio, di attenzione?
Sembrerà ovvio dirlo ma non deve mancare l’attenzione verso il cliente. Dall’accoglienza al momento in cui se ne andrà, il nostro cliente deve vivere un’esperienza indimenticabile. Un bartender gentile e che sappia ascoltare, un servizio pulito, un ottimo drink, tutto questo crea l’atmosfera giusta.
Un consiglio alle ragazze che vogliono avvicinarsi al mondo della mixology?
Da un po’ di anni il bartender non è più pensato come un mestiere per soli uomini, non ci sono più dei limiti. Conosco molte donne nel mondo della miscelazione che sono considerate delle figure importanti del settore e lo sono diventate con studio, molta passione e motivazione, come qualsiasi bartender, uomo o donna che sia. È questo il consiglio che darei a chiunque voglia fare questo mestiere: essere determinati e, in più, umili.
Ora stai per iniziare una nuova avventura a Singapore, ci racconti qualcosa in più?
Al momento è un’idea che sto cercando di far diventare qualcosa di più concreto. È da un po’ di tempo che sento l’esigenza di puntare lo sguardo altrove e penso che Singapore sia una delle città ideali per migliorarsi nel nostro settore. Purtroppo ho iniziato a muovermi per il trasferimento prima della pandemia e alcuni spostamenti non sono ancora possibili ma non mi arrendo. Per il 2021, con un po’ di fortuna, sarò lì.
Progetti per il futuro?
Ho un paio di progetti in mente. Al momento posso dire che Singapore non sarà l’unica meta. Vorrei viaggiare per un po’ prima di stabilirmi definitivamente in un luogo e poi chissà… sono scaramantica, preferisco non anticipare niente!