L’effetto di straniamento professato da Brecht per scrivere di un’azienda come Feudo Cavaliere non può essere messo in atto. In poche parole quella fredda e nuda cronaca di una degustazione per Margherita Platania – patron dell’azienda – non s’ha da fare in questo articolo.

E la ragione è presto detta: prima ancora delle sue vigne, della cantina o della degustazione, c’è lei: una forza della natura coinvolgente. Così tanto che la penna del degustatore non può non tenerne conto.

Nata da una famiglia di origini nobiliari, Margherita non è riuscita a resistere al richiamo della sua incontrovertibile vocazione: fare vino. Ostinazione e consapevolezza i tratti somatici di questa donna che sin da subito ha preso in mano le redini della pittoresca tenuta di Feudo Cavaliere, situata nell’omonima contrada, a Santa Maria di Licodia, dove i 14 ettari di vigneti girano tutti intorno a questo antico possedimento benedettino acquisito dalla sua famiglia nel lontano 1880.

Ma a incuriosire è soprattutto la storia dei diversi “passaggi di proprietà” del feudo in questione, originariamente dell’ordine monastico. L’appena proclamata Unità d’Italia e le prime, timide, figure di concordato fra Stato e Chiesa, avevano, infatti, determinato l’abrogazione degli ordini monastici e con essi la cessione dei loro beni ai podestà. Uno scandalo, allora, quando vox populi esclamò che il Feudo Cavaliere fosse in realtà ancora di un benedettino: Blasco Uzeda che riuscì ad acquisirlo per il tramite di un prestanome. Fu così subito messo all’asta per arrivare, tra vicissitudini varie, alla famiglia Platania. Ma di Blasco se ne parla ancora e a lui Margherita dedica un vino prodotto solo nelle migliori annate.

Ebbene, qui, a 30 km da Catania, ma dove a Muntagna sfiora quasi quota 1000 metri sul livello del mare, “non si è mai smesso di fare vino, dal 1800. Le viti, in questa terra scura, grigia, a tratti rossa, hanno sempre messo radici”. E oggi, a distanza di secoli, come l’uomo, così la vigna si è adattata all’ambiente circostante.

Ma a colpire di questo versante sud ovest dell’Etna è, soprattutto,l’ambiente circostante, più selvaggio rispetto a quello dei suoi fratelli. Tra paesaggi autentici, quelle antiche colate di lava hanno, infatti, lasciato spazio ai boschi di ginestra che circondano ivigneti di Carricante e di Nerello Mascalese esposti in bella vista sugli antichi terrazzamenti in pietra lavica. Qui tutto pare “in ritardo” rispetto al resto del continente etneo, con una ventilazione costante e un sole così benevolo che la vendemmia può avvenire anche a novembre, regalando uve sempre in perfetta maturazione.

E se i vigneti – in un’eccezione generale del territorio potrebbero essere definiti “semplicemente” un anfiteatro scavallato da muretti a secco, quelli di Feudo Cavaliere paiono addirittura un tempio fiorito – una sorta di luogo di culto di Demetra, Dea della natura. E vien da sorridere se, pensando ai tecnicismi, si parla, poi, di densità di impianto con distanze di almeno un metro tra una vigna centenaria ad alberello ed un’altra anche bicentenaria, eppure, tutte perfettamente e minuziosamente, in sesto.

Il ciclo produttivo che orienta la coltivazione pare, invece, riassunto nelle parole di Margherita: “È tutto vivo in questo vigneto. Coccinelle, salvia, rosmarino. Sono piante felici queste vigne! Non posso farle stare senza nulla, hanno bisogno del loro ambiente. Come noi stiamo bene al mare o in montagna perché loro non devono stare bene?” E sarà forse questo il segreto della longevità di queste viti? Che pur sfiorando e oltrepassando i secoli continuano ad essere riproduttive. 

Una certa analogia poi, tra il lavoro in vigna e quello in cantina pare rimandare, invece, agli ultimi anni di lavoro di Cezanne. La Sainte-Victorie quella montagna a sud della Francia che ossessionò l’artista per oltre vent’anni alla ricerca perfetta tra percezione, rappresentazione e conoscenza effettiva del territorio. Assomiglia infatti alla minuzia continua che Margherita Platania cerca nei suoi vini, alla ricerca di un calice che sia la sintesi perfetta della sua terra e del suo anno. Eppure Margherita riesce in questa impresa eccezionale, in una cantina che spicca per assoluta semplicità, con affinamenti diversi, tra acciaio e rovere francese a seconda di ciò che intende esprimere, ma con un principio cardine: “basta fare bene in vigna ed ecco che la cantina consegna anno dopo anno vini di una qualità innata della stessa materia prima”. D’altronde, a ben pensare, è di quella che si dovrebbe discutere, non di quella di un vino. Ben presto spiegato il perché allora i vini di Feudo Cavaliere non sono (solo) vini buoni, vibranti al palato, eccetera, eccetera, ma questi vini sono riconoscibili, marchiati in un timbro territoriale impresso in ogni goccia e sono profondi così tanto da marchiare anche il degustatore.

Sorprende, poi, di quest’azienda anche lo scorrere del tempo, festina lente, “affrettati con calma” un ossimoro greco che potrebbe essere il motto dei vini di Feudo Cavaliere. Le etichette Millemetri – vini di punta dell’azienda – paiono, infatti, non subire le pressioni del mercato, e così in commercio attualmente le annate sono ferme alla 2014 per il rosso, 2016 per il bianco e 2017 per il rosato.

Etna Bianco 2018

Pietra focaia e erbe selvatiche fanno da apripista ad un sorso agrumato, dal piglio irriverente e dalla verticalità spiccata e in equilibrio con l’intera materia. A chiudere in una lunga e persistente scia sapida.

Millemetri Etna Bianco Doc 2016

Naso fumé, grafite e sentori vegetali fanno di questo bouquet il preludio ad un sorso appagante, dove la densità della materia viaggia su una dorsale di freschezza e sapidità quasi iodata, con un finale di notevole equilibrio.

Millemetri Etna Bianco Doc 2012

Così come De Andrè narrava che Marinella “scivolò nel fiume a primavera e il vento [..] la vide così bella” così questo caliceprofuma dei fiori di quella stagione, di girasole e camomilla. Tra sentori vegetali e erbe appena colte tutti racchiusi in un vaso di Eolo così leggiadro, ma così impregnante che il sorso pare portare la bevuta “dal fiume [….] sopra una stella”.

Millemetri Etna Rosso Doc 2013

Tra aghi di pino e frutti rossi che ritornano vivi anche in retronasale, una trama fitta e fine del tannino asseconda la portentosità di un sorso che si fa vitale e profondo al pari.

Millemetri Etna Rosato Doc 2016

Quell’elegante trasparenza, di un riflesso rosso scarico, richiama esattamente il suo olfatto, che fine e longilineo diventa un amalgama di piccoli frutti rossi, di ibisco e di sottili erbe bagnate. La persistenza gustativa, che si modula su una sottile trama tannica, vale a rendere ogni sorso coinvolgente. Nella difficile ricerca di un buon rosato la mia “fermata Etna” è da Feudo Cavaliere.

Millemetri Etna Rosso Doc 2014

A ben pensarci, però, l’effetto di straniamento professato da Brecht non si oppone a questa degustazione. Perché se il fine ultimo dell’artista era di non far coincidere le emozioni del personaggio con quelle dello spettatore, ma di portare ad un’emozione di carattere superiore, raggiungibile solo con l’intervento della ragione, allora Il giudizio su questo vino, carnoso e ricco di frutto e ceneri al pari, di un’eleganza sopraffine al palato, può dirsi pienamente consapevole, perché, questo vino è oggettivamente buono.

Titti Casiello

Assunta Casiello

Persa negli effluvi nobili del vino da quando la maggiore età glielo ha consentito, curiosa di tutto ciò che è nuovo e che si può e si deve conoscere nella vita. Classe '84, ha speso gli ultimi anni...

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