Dopo il successo riscontrato con il Valentine, con la stessa eleganza e classe, lo chef Gian Michele Galliano ha deciso di aprire un nuovo locale nel monregalese giungendo fino a Vicoforte (CN), a pochi passi dalla celeberrima Basilica del Santuario.
Nel 2016 è nato così Euthalia Ristorante.

Chef Galliano, quando e come nasce Euthalia Ristorante? Perché la scelta del nome “Euthalia”?
Euhalia nasce come idea all’inizio del 2016, dopo 3 anni circa dalla chiusura del ristorante Valentine. La parola greca Euthalia significa fiore che sboccia ed ho usato questo nome come una metafora di me stesso, ovvero la mia rinascita lavorativa ed emotiva.

Euthalia porta in tavola una cucina “kaiseki di montagna”. Siamo curiosi di conoscere come lo stile kaiseki venga applicato ai prodotti del territorio.
Il mio stile di servizio è stato concepito studiando, analizzando ed andando personalmente in Giappone a vedere come è il kaiseki. L’esperienza più bella ed intensa della mia vita. In seguito l’applicazione alla mia cucina montana ha dato splendidi risultati, iniziando a lavorare con maggior concentrazione sulla quotidianità del prodotto, inteso come raccolta di elementi spontanei, ricerca di piccoli contadini produttori e raccoglitori che mi forniscono costantemente la materia prima che viene lavorata in piccole quantità e venduta nell’immediato.

Qual è la reazione del pubblico a questa “passeggiata nel bosco” che si può vivere venendo nel suo ristorante?
Ciò che maggiormente mi preoccupava al momento del cambio di stile del ristorante era il pensiero del pubblico, come e se avrebbero accettato questo radicale cambiamento. Invece è stata una sorpresa! Dalla riapertura post ferie fino a prima del Covid infatti, ho avuto un incremento di lavoro notevole ed una risposta estremamente positiva del pubblico, con ritorni a volte a distanza di 2 o 3 giorni.

Psicologicamente e creativamente come ha affrontato la chiusura imposta dall’emergenza epidemiologica? Oggi, la sala del ristorante è stata riorganizzata al meglio per garantire sicurezza ai suoi dipendenti e alla clientela?
Il Covid ha colpito maggiormente la parte finanziaria-psicologica rispetto a quella creativa, infatti se da una parte c’è stata la preoccupazione sul futuro dell’attività, sul quando e sul se avrei potuto riaprire, dall’altra ho avuto molto tempo per elaborare, studiare, creare. Una novità che sto mettendo a punto proprio in questi giorni è l’abbinamento, oltre a quello delle degustazioni di vini, anche di un percorso degustazione di 4 calici di cocktail totalmente analcolici usando sempre i prodotti montani, elaborati da zero o partendo da drink ufficiali IBA e conosciuti in tutto il mondo, ma resi analcolici. Così anche chi, per svariati motivi, è impossibilitato ad assumere alcool può godersi una pasto senza limitarsi alla semplice acqua. Il locale è stato completamente adattato seguendo le normative previste per legge, diminuendo il numero dei coperti, sanificando i locali, fornendo igienizzante e tovagliette per mani alla clientela e mascherine/guanti al personale di sala e di cucina.

Sappiamo che alla riapertura c’è stato un cambiamento dei menù con la proposta di tre percorsi degustazione. Ce ne può parlare?
La stile kaiseki mi ha portato, aggiungerei finalmente, a fare ciò che volevo da molto tempo, abolire la carta ed impostare il percorso su 3 menù degustazione progressivi per numero di portate, così da proporre all’ospite il meglio che quel giorno la natura e l’uomo possono offrire. Si tratta di menù composti da 4, 6 e 8 piatti con prodotti che possono essere di facile reperibilità durante una stagione accompagnati da altri che invece sono molto più rari ed esistono per brevi periodi andando così a formare dei percorsi di 11, 13 e 16 piatti.

Come mai la scelta di eliminare definitivamente la tovaglia? In passato, invece, era consentito alla clientela decidere se stenderla o meno sui tavoli.
Ho optato per l’assenza della tovaglia, in modo da mettere l’ospite a diretto contatto con l’elemento naturale del legno per una immersione totale nella natura. E’ cambiata anche una parte delle decorazioni del locale, andando a ricreare zone che ricordano le pareti delle baite ed inserendo elementi antichi come campanelle delle caprette, gioghi di mucche etc insieme ad una musica di sottofondo che prevede musica classica suonata ad arpa in un bosco, con il sottofondo dell’ambiente come il cinguettio degli uccellini. In passato, quando la clientela poteva scegliere, la differenza era evidente. Una clientela più matura normalmente sceglieva il tovagliato contro la gioventù, attratta maggiormente del tavolo di legno.

Nella sua concezione di cucina e in questa sintonia con la natura e le sue metamorfosi, quanto è importante saper bilanciare tecnica e istinto?
Ci sono sempre discussioni, spesso molto accese, tra cuochi che prediligono la tecnica ed altri l’istinto. Personalmente vedo la tecnica come un rafforzativo del cuore. La cucina è arte, che colpisce molti sensi, non solo il gusto e, come tutte le forme di arte, l’emozione che andiamo a creare colpisce il cuore più che la mente. Molto spesso cuochi troppo tecnici propongono piatti coreograficamente eccezionali, accostamenti inattesi ed estremamente studiati, con la conseguenza di mangiare un piatto con la mente e non con il cuore. Quando invece un cuoco prova emozione nella creazione del piatto ci troviamo a mangiare qualcosa che ad ogni boccone fa dire “spero non finisca mai!”. Se vogliamo dare un valore numerico alla cosa, potrei dire che io sono al 90% cuore e 10% tecnica. Voglio che la tecnica mi aiuti ad emozionare e non che mi crei dipendenza da essa.

Sogni nel cassetto da realizzare nel prossimo futuro?
Tantissimi!!! Scherzi a parte, il mio sogno più grande, che sto provando da anni a raggiungere, è la stella Michelin e spero di poterla un giorno ottenere.

Pietro Bruno

Pietro Bruno

Classe 1994, laureato in “Media, comunicazione digitale e giornalismo” presso la Sapienza Università di Roma. Nel 2017 ho pubblicato il mio primo saggio “È il tempo della radio in TV” (Guida),...

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