Non deve essere stato semplice per Giuseppe Ratto, maitre chocolatier e pasticciere d’autore di Frattamaggiore, provincia Nord di Napoli, fuoriuscire dall’ingombrante cono d’ombra del dinamico padre Antonio, che nel 1974 aprì il locale originario, nella medesima cittadina avita: è lecito dire che sotto l’egida del genitore, lo chef Giuseppe ha compiuto una vera e propria iniziazione, sin da quando, compiuta la maggiore età, ha approfondito e rifinito la propria vocazione e passione familiare con lunghi periodi di apprendistato all’estero, soprattutto in Belgio e nella Repubblica Dominicana, vere e proprie patrie d’elezione del più fine cioccolato del mondo.
Poi è venuto l’insegnamento nell’accademia del Gambero Rosso nella propria disciplina, dal 2010 sino alla problematica prosecuzione attuale a causa della nota emergenza sanitaria, numerosi stage e manifestazioni di settore, affiancato anche a maestri internazionali come Iginio Massari, e praticamente l’avocazione della gestione completa della pasticceria familiare: lo andiamo a trovare in una soleggiata mattinata autunnale, e fa capolino, dalla porta dell’adiacente laboratorio, l’ultrasettantenne padre, tutt’ora incisivo e collaborativo, immediatamente seguito da una zaffata di intriganti aromi, dalle nuances dolci e zuccherine ma anche incredibilmente vegetali.
Espressione gioviale, sorriso tondo e regolare in un viso affilato, un tono affabulatorio e cortese che mette a proprio agio l’interlocutore, lo chef Ratto racconta il difficile periodo del lockdown, trascorso nella propria abitazione, fra dolci creazioni in là da venire, croissant e sfogliate del mattino, sfornate quotidianamente per i bimbi ed i privilegiati condomini dello stabile, nel rispetto della normativa cogente durante l’intero periodo: atto in qualche modo “eversivo”, in quanto contrastante l’isolamento individuale al quale aveva costretto la pandemia, e nel contempo indicativo della propria filosofia di produzione, tesa a ricercare un equilibrio fra modernità e tradizione, nella ricerca.
Perfettamente rispondente a tale logica, è l’elegante bancone d’ingresso, in un locale tutto sommato che riecheggia stilemi d’arredamento da caffè d’epoca, nel quale fanno capolino le straordinarie praline al cioccolato Varhona, disponibili in eleganti confezioni assortite: assaggiamo quelle, fra gli oltre venti gusti disponibili, di un rilucente blu cobalto, con sale di maldon e mandorle, ancora dedicata alla – da taluni di recente vituperata – festività di Halloween, con zucca, cannella ed amaretto, ed infine, eco mai sopita del fascino esotico avvertito, con cuore rosso di lampone e vaniglia di Tahiti.
A fare da contraltare a tale meraviglie cromatiche e gustative, il frigorifero delle straordinarie torte, e dolci al cucchiaio, molte delle quali messi a punto dopo anni di ricerca, tesi a trovare il contrappunto fra dolcezza, acidità e morbidezza, come esigono le regole della pasticceria moderna, della quale lo chef Ratto è accanito seguace: precedute dagli evocativi nomi, molte dei quali muliebri poiché dedicati a donne importanti nella vita dello chef, degustiamo, tra le molte giornaliere, la “cassata Manola”, con ricotta siciliana, bisquit al pistacchio e cioccolato, i “profiteroles Maria Antonietta”, con bignè, amarena, e croccante chantilly, ed infine la mousse alla nocciola di Giffoni e Yuzu e la cheesecake ai frutti di bosco.
Colpisce, di tali creazioni, l’arditezza nella ricerca di nuovi sapori, in cui chiaramente non mancano i dolci regionali tradizionali – imperdibile la deliziosa e le sfogliatelle con ricotta di pecora siciliana – quelli mignon, la pasticceria, come dicevamo, da “mattino” con croissant e brioches ottenuti rigorosamente con l’impiego di lievito madre e burro agrimontana, e infine le monoporzioni, sovente riservate a ristoranti e locali con i quali lo chef collabora: finale riservato al c.d. “torrone dei morti”, in cui non appaia iconoclasta la scelta di inserire, accanto a nocciole e cioccolato, ad esempio vegetali come carciofi e frutta candita, pomodorini glassati, segno indicativo di una creatività senza confini e limiti, da coniugare all’impegnativa attività didattica nella quale è pervicacemente devoluto.