I due fratelli Alfredo e Mario Alinei insieme all’amica Martina Barucco hanno deciso di aprire Grand Tour, un cocktail bar diverso dal solito, un luogo dove poter trascorrere una serata, un appuntamento di lavoro o un post office per rilassarsi immergendosi in un vero e proprio viaggio sensoriale.

Come nasce l’idea di Grand Tour – cocktail boutique?

Grand Tour si ispira a quella che era una lunga missione nell’Europa continentale intrapresa dai ricchi dell’aristocrazia europea a partire dal XVII secolo e destinato a perfezionare il loro sapere con partenza e arrivo in una medesima città. Aveva una durata non definita e di solito aveva come destinazione l’Italia. Durante il Grand Tour, i giovani imparavano a conoscere la politica, la cultura, l’arte e le antichità dei paesi europei. Passavano il loro tempo facendo giri turistici, studiando e facendo acquisti. Ma proprio in questo  viaggio facevano dei percorsi enogastronomici. Questo è quello che vogliamo far provare anche ai nostri clienti, cioè un itinerario, guidato dalla mixology, di odori, sapori dei migliori distillati italiani e stranieri.

Perché questo viaggio attraverso i drink?

Siamo amanti del bere bene, con l’obbiettivo che ci ha sempre contraddistinto di poter soddisfare il palato con prodotti di qualità. Crediamo che la mixology possa trasmettere, così come il food, un percorso di esperienze sensoriali molto interessanti e che il pubblico sta iniziando a percepire e amare.

Qual è la vostra clientela?

Noi siamo aperti da fine dicembre, poi a marzo  si è aggiunta la chiusura forzata per il Covid-19, ma posso dirti che variamo da ragazzi giovani tra i 25/30 anni, ma con il tempo anche persone più adulte si stanno avvicinando al locale grazie alla elevata qualità dei prodotti. Ci piace, anche grazie all’esperienza del nostro capo barman Joele d’Angelo, di poter insegnare e dare spunti a chi non è proprio un conoscitore del variegato e grande mondo degli alcolici.

Come si sta evolvendo il mondo della mixology a Napoli?

Siamo partiti sicuramente in ritardo rispetto a città come Milano e Roma, ma iniziamo a vedere un certo interesse per il buon bere, la clientela inizia a interessarsi a capire e conoscere cosa beve. Noi cerchiamo di proporre una drink list che cerca di soddisfare anche gusti un po’ anche più articolati. Inoltre cerchiamo anche prodotti più ricercati e meno commerciali, come per esempio dei Gin con botaniche italiane che rendono unico un distillato che ricordo viene prodotto con il ginepro e tutti i grandi produttori internazionali lo importano dall’Italia. Una volta c’era la vodka come distillato centrale nei loro drink, ora questo modo inizia a essere un po’ in disuso.

Joele D’Angelo (ndr capo barman del locale), come nasce la tua passione per la mixology?

Ho iniziato ad avvicinarmi a questo mondo durante il periodo universitario, per accompagnare gli studi lavorando e così ho seguito il mio primo corso, con il passare del tempo mi sono sempre più appassionato approfondendo con altri corsi e master class. Inoltre in questi anni ho anche insegnato in una scuola napoletana, la Bartenders.

Joele, qual è il distillato che preferisci mixare?

Amo particolarmente il rum sia per un mio gusto personale ma anche da presentare al pubblico miscelato con frutta e citrici. Ritengo la mixology un’arte, una cultura che ha ancora tanto da insegnarmi. Sto vedendo sempre un crescente interesse per la mixology e per il buon bere che sino a qualche anno fa era un po’ assente, per esempio la gente inizia a fare attenzione a particolari come il ghiaccio. Noi italiani ci stiamo avvicinando a questo tipo di cultura un po’ in ritardo anche se poi a pensarci bene siamo pionieri per molti distillati come il vermouth che è un vino aromatizzato creato nel 1786 a Torino. È riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano ed è un ingrediente primario di numerosi cocktail che anche io presento. Pensate che i grandi cocktail classici americani utilizzano come base questo nostro prodotto tipico.

Riprendo quello che hai detto prima, quanto è importante il ghiaccio in un cocktail?

Il ghiaccio è l’ingrediente più importante all’interno di un drink, se pensiamo a uno spirito come il gin che per il 60% del prodotto è fatto di acqua, l’acqua rappresenta l’ingrediente attraverso il quale noi beviamo l’alcol, per cui nei drink mescolati o shakerati, sono diluiti con acqua e ghiaccio. Quindi l’acqua incide con il sapore del drink, noi abbiamo fatto la scelta, per motivi organizzativi, di comprare del ghiaccio alimentare.

Qual è la tecnica che preferisci utilizzare?

Sono amante della tecnica Tiki e Tropicale che è una cultura del bar che nasce in America dopo gli anni 30, una miscelazione ricca di RUM, ghiaccio tritato e molta frutta esotica, è una miscelazione inventata per andare incontro al modo di bere degli americani dell’epoca.

 

A oggi quali sono i best seller di Grand Tour?

Abbiamo inserito un drink che si chiama Gin Cup che sta riscuotendo un notevole successo, è una rivisitazione del Gordon’s Cup, un drink di Sasha Petraske che è inserito anche nel suo libro Regarding cocktails, noi non utilizziamo il Gordon’s ma ovviamente usiamo gin, succo di lime, cetriolo, sale e pepe.

Organizzate anche eventi/master class?

Sicuramente questo sarà un elemento che vogliamo spingere nei prossimi mesi anche con l’organizzazione di master class, infatti stiamo organizzando diverse master class, una di queste  con la Brand Ambassador del Fernet Branca, Valentina Bertello, ed abbiamo, da subito, riscontato un grandissimo interesse. Durante queste lezioni, principalmente agli addetti ai lavori,  verranno spiegati i segreti della miscelazione di vari distillati.

Luigi Cristiani

Luigi Cristiani

Laureato in Economia, ha poi conseguito un MBA presso lo Stoà. Lavora in Enel Green Power dove si occupa di pianificazione e controllo . Dal 2010 scrive su diversi blog di economia e finanza (Il Denaro,...

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