Una famiglia da sempre tradizionalmente votata (e vocata) all’accoglienza, i Ferrara, un luogo, la Costa d’Amalfi, vera e propria perla affacciata sul mar Tirreno, teoria di piccoli paesi, che si susseguono, incastonati nella roccia consunta come fossili pregiati: ancora, un simbolo, il Faro di Capo D’Orso, nel comune di Maiori, retaggio antico di una vocazione marittima mai abbandonata dalle popolazioni autoctone.
Questi sono gli elementi, sincretici e insieme straordinariamente armonici, che fanno da viatico alla nostra visita al ristorante “Il Faro di Capo D’Orso”, all’interno dell’omonimo relais, gestito per l’appunto dalla famiglia Ferrara, che si avvale della direzione del maitre-sommelier Bonny Ferrara, e che vede come executive chef il giovane Francesco Sodano: il verde della maioliche dipinte a mano rifulge nell’elegante sala, pochi coperti per massimizzare ed ottimizzare la cura maniacale nel servizio di sala, di fronte la vista spettacolare di Amalfi, Atrani, Ravello e Capri si compone in una simmetria senza tempo e senza fine, la stella Michelin è giunta come imprimatur sulla gestione, senza cedimenti né compromessi di sorta nel trend attuale.
L’accoglienza di Bonny – unitamente all’inseparabile Antonio Cannoniero – è, come al solito, informale e senza fronzoli, sarebbe stato facile montarsi la testa dopo i riconoscimenti come maitre dell’anno per il quotidiano “Il Mattino” dell’anno 2019, l’encomio come ‘miglior servizio di sala del Gambero Rosso’, oltre ad essere stato annoverato, l’anno scorso, nella lista dei migliori 35 giovani sommelier italiani dalla medesima prestigiosa rivista eno-gastronomica: prosegue incessante, nonostante i recenti obiettivi costringimenti dettati dal “lockdown” e dall’emergenza sanitaria Covid, il lavoro di sperimentazione e stravolgimento “ragionato” dei canoni di una cucina regionale e locale che a volte appare eccessivamente ancorata a stilemi “oleografici” e preparazioni di maniera, probabilmente replicative di una cucina domestica, senza tuttavia garantirne la qualità di materie prime.
Dalla variegata carta, con possibilità di scelta fra quattro menù degustazione, di cui uno vegetariano ed uno gluten free, oltre al percorso “contaminazioni” con otto portate che, unitamente a quello denominato “essenze” prescelto, esprime al meglio la filosofia dello chef, con portate progressivamente concepite per esaltare una fusione di culture, gusti e sensazioni: inziando dagli amous-bouche, davvero sapidi, equilibrati e da mangiare rigorosamente con le mani, fra gli ingredienti di assoluta eccellenza caviale di aringa, acciuga di Cetara, cracker al grano arso, spuma di ricotta di capra affumicata, pairing impeccabile e di prestigio con Piero Coppo “Riserva del Fondatore 1996”, una bollicina di assoluta struttura con sentori complessi di nocciola tostata e zafferano.
I signature dishes sono pochi ma notabili, la variazione dei piatti è frequente per garantire la stagionalità degli ingredienti, con ovvia predilezione per il pescato locale, come nell’estrazione di seppia di Capo D’Orso e nello stupendo impiattamento (sorretto dal gusto) del “granchio fra Varanasi e Hong Kong” – granchio, cozze, ricci di mare e curry giallo – in abbinamento un Collio Bianco “Zuani Vigne 2017”, da uve Friulano, Chardonnay, Pinot Grigio e Sauvignon: si prosegue con l’eccezionale “porro, cenere, mostarda ed aglio nero”, pura avanguardia dello chef Sodano, e del primo “a capo d’orso c’è un totano” con eliche di Gerardo di Nola, conserva di peperoni arrosto, salumi e quinto quarto di totano, a cui è stata abbinata, fuoriuscendo dai confini nazionali, uno “Chassagne Montrachet” del 2003 del Domaine Amiot Guy et Fils, straordinarie capacità di invecchiamento per un vino sorretto da una spalla acida imponente.
Eterodossi ed emozionanti, rovesciando la linea espositiva della degustazione, i due pairing successivi, a dimostrazione che la capacità di osare va sempre premiata, con il taglio bordolese “Giorgio I” di Fattoria La Massa del 2009, taglio bordolese per una IGT di Toscana, in abbinamento una palamita affumicata con carboncello in crusca di riso, ed infine il prestigioso riesling Auslese “Jo.Jos.Prum” del 1999 in abbinamento sui dessert, culminanti con l’iconico “shave the chef (Sodano)”, con disco di cioccolato temperato, spuma di menta ed eucalipto, a riprodurre il corredo di packaging della schiuma da barba Proraso, evocandola nei sentori.
Insomma, volendo sintetizzare, un’offerta eno-gastronomica di assoluto rilievo quella del “Faro di Capo d’orso”, ad opinione dello scrivente divenuto un vero e proprio must regionale – nonché stella Michelin tendente all’avanguardia – capace di coniugare, nella tecnica dello chef Sodano, grande controllo delle acidità, spinte fermentative e tensione gustativa, con rigore nel servizio di sala del maitre-sommelier Ferrara, fautore di abbinamenti mai scontati di classici dell’enologia nazionale ed internazionale.
CARO CARLO…
SONO PARECCHIO COLPITO DAL TUO ARTICOLO, CHE IN GRAN PARTE NON CONDIVIDO…
OPINIONI DIVERSE? FORSE! CONTEZZA DELLA STORIA? SICURO!
DA BRAVO GIORNALISTA TU MIRI AL PRESENTE, MA NON AL VALORE SIMBOLICO ED ANCESTRALE CHE CI STA DENTRO… DA BRAVO GIORNALISTA TU RACCONTI, MA NON “CAPISCI”…
LA FAMIGLIA FERRARA ADOTTA IL COGNOME NEL 1180… RINOMATISSIMA FAMIGLIA DI MEDICI EBREI CON TRADIZIONI INIZIATE SEDICI SECOLI PRIMA… DALLE LINEE DINASTICHE DELLA TRIBU DI GIUDA RISULTA CHE SIAMO IMPARENTATI COI TOLOMEI DI EGITTO E COI MEDICI DI FIRENZE…
A SALERNO FONDIAMO NEL NONO SECOLO LA SCUOLA MEDICA SALERNITANA, E CONTINUIAMO A GESTIRLA IN MONOPOLIO QUANDO SI ESTINGUONO LE DINASTIE DEGLI ALTRI TRE CO-FONDATORI… A CAPO DELLA SCUOLA MEDICA, E DOPO SESSANTA ANNI DI SERVIZIO ALLA CORTE ALTAVILLIANA, GIOVANNI OTTIENE IL FEUDO DI GRAGNANO E SI FA CHIAMARE FERRARIO…
UN MEDICO DI OTTANTA ANNI, CON OTTANTA ANNI DI ESPERIENZA, SECONDO LE LOGICHE DINASTICHE DI APPRENDIMENTO DELL’ EPOCA, E CON SESSANTA ANNI DI DIREZIONE SANITARIA ALLE SPALLE… SCRIVE UN’ OPERA SUL MODO DI USARE LA PASTA COME FARMACO CONTRO LE MALATTIE NON SOLO GASTROINTESTINALI DELL’ EPOCA… CON FARINA INTEGRALE, UN ALTRO TIPO DI TRAFILATURA RISPETTO A QUELLO USATO OGGI, E CONDIMENTI BIO A KILOMETRO ZERO, OVVIO CHE IL SISTEMA FERRARIO FACESSE VERAMENTE GUARIRE LA GENTE!
PENSARE AL CASTELLO DI GRAGNANO TRASFORMATO IN UN SANATORIO PUBBLICO GRATUITO, CON I GIARDINI TRASFORMATI IN SEMINATIVO E LE STANZE IN CORSIE NON RISULTA DIFFICILE…
OVVIO, DUNQUE, CHE TUTTA LA PARTE ALIMENTARE VENISSE PERSONALIZZATA IN BASE A GUSTI E SINTOMI…
E ANCORA OGGI LA CUCINA RESTA UNA TRADIZIONE SPICCATAMENTE MASCHILE IN QUASI TUTTI I RAMI DEL CASATO!
ORTODOSSIA? ETERODOSSIA? MA SIAMO AL CENTRO DEL MEDITERRANEO! TERRE DI DIALOGO E CONFRONTO! LA “CUCINA”, QUELLA VERA E DI ALTISSIMO LIVELLO, “DEVE” ESSERE SPERIMENTAZIONE! SERVE A POCO COPIARE RICETTE ANTICHE SE IL CIBO DI OGGI NON HA GLI STESSI SAPORI DI UN TEMPO…
IL REGNO DI SICILIA UNISCE LA RICOTTA DEGLI ARABI ALL’ AGRODOLCE BIZANTINO, IL DUCATO DI PUGLIA UNISCE LA PASTA A CONDIMENTI DAL SAPORE FORTE E “COPRENTE”, ED IL PRINCIPATO DI CAPUA CI OFFRE LE INNOVAZIONI DEL GRANDE BONNY!
[sono fiero di rappresentare la tradizione siciliana iniziata a marsala nel 1282, ed invio i mei affettuosissimi saluti al ramo originario che nel nono secolo ha reso “istituzionale” il rapporto tra cibo ed arte medica in campania…]
Buonasera Rosario, ed anzitutto grazie dei complimenti e dell’attenzione che mi hai riservato, leggendo e commentando il mio articolo con tale competenza e passione.
Ti debbo confidare di non conoscere la storia della famiglia Ferrara, ma da quanto apprendo dalla tua erudita dissertazione genealogica hanno nell’imprimatur genetico la cucina.
Forse, se l’avessi saputo, avrei espresso meno stupore per l’idea di cucina proposta,ma intendevo comunque rimarcare la linea innovativa ed avanguardistica che hanno, tra l’altro in un luogo di contenuto così “scenografico” come Capo D’orso che ben avrebbe giustificato qualche riposo sugli allori del panorama.
Buone week end, ti saluto, conoscere i retaggi familiari significa conoscere le tradizioni di un luogo.
Carlo