A soli 28 anni ha già un curriculum di tutto rispetto; originario dell’area agro-nolana precisamente Piazzolla di Nola, Marco inizia la sua carriera prima come pasticciere e poi nelle cucine di ristoranti da brand noti come il Quattro Passi a Nerano o Taverna Estia a Brusciano.
Tanta gavetta che accoppiata ad un talento naturale lo ha visto puntare subito in alto nella cucina internazionale: da Londra a Mykonos fino ad approdare dall’altra parte del mondo; quello a stelle e strisce americano.
Il ristorante italianissimo, ma situato nel Connecticut (Branford), di proprietà del beneventano Danilo Mongillo, non poteva avere altro nome che “Strega” in onore del liquore che ha “brandizzato” la sua città oppure, chissà, come metafora romantica dedicata alla cucina italiana nelle sue declinazioni napoletane e beneventane con cui il noto chef campano Marco Giugliano “strega” i clienti dell’omonimo locale.
Ho avuto il piacere di parlare con lui e sono emerse tante cose interessanti.
Quando e come nasce lo Chef Marco Giugliano.
Nasce prestissimo. E la passione si è amplificata negli anni al fianco di grandi maestri italiani. Ma orgogliosamente ricordo la mia prima avventura nel ristorante di famiglia NEMO, a soli 15 anni di età. Frequentavo a quel tempo L’istituto Alberghiero Maria Montessori di Somma Vesuviana e nel weekend seguivo la squadra di Nemo e iniziava a prendere forma il grande “amore” che ancora oggi provo per questa Arte.
Cosa ti ha insegnato il tuo mestiere.
Tanto, forse tutto. Il lavoro di squadra, il rispetto dei ruoli, le amicizie fraterne che mi porto da anni nel cuore, la scoperta degli ingredienti, le storie dei produttori, il rispetto per chi mi ha dato fiducia negli anni, i viaggi, la visita a nuove città con le loro tradizioni e abitudini. Potrei continuare, per questo e tanto altro, il lavoro che amo mi ha dato tutto.
Il primo piatto perfetto, quello che ricordi con maggiore soddisfazione.
Ricordo con emozione l’incontro con Antonio Fiore che scrisse su IL CORRIERE DELLA SERA di un mio piatto come il più buono che lui abbia mai assaggiato nella sua vita.
Era l’agnello biologico presentato in tre tagli diversi e tre cotture diverse, coscia, spalla e costata.
Croccante, all’insalata e un sandwich. Era buonissimo! Lo riproporrò di certo.
A cosa ti ispiri nella creazione dei tuoi piatti?
Ho avuto la fortuna di nascere in Campania, ai piedi del Vesuvio, dove i migliori ingredienti del mondo nascono prendendo tutto il sapore del suolo vulcanico e la brezze marina del Golfo di Napoli.
Nelle grandi cucine stellate ho scoperto negli anni gli ingredienti che provenivano da diverse parti del mondo, spezie e odori che ho inserito nei miei lavori unendoli alla nostra tradizione culinaria con amore e grazia.
Quali sono gli ingredienti che prediligi.
I prodotti provenienti dalle terre limitrofe al Vesuvio non possono mancare mai: bufala campana dop, pomodori del piennolo, l’orto nella sua completezza.
Cosa non deve mai mancare in un tuo piatto.
Sua maestà l’olio extravergine di oliva. Prima che il piatto venga servito, un filo d’olio lo impreziosisce. E’ come quando usi un buon profumo su te stesso prima di uscire di casa per una grande occasione.
Oggi lavori negli Stati Uniti D’America, è stata una scelta personale oppure una occasione che ti è capitata?
Vivo e lavoro precisamente in Connecticut, Branford. Ho accettato la proposta di guidare la cucina del ristorante Strega come una sfida. La tradizione della cucina italo-americana del Connecticut è molto forte e purtroppo ha perso il giusto prestigio che merita. Spesso il cliente richiede cose che non ci appartengono , luoghi comuni sbagliati, come la carbonara con panna e prosciutto oppure il pollo alla parmigiana. Quindi, scherzandoci su, cerchiamo di educare ad una cucina sana ed equilibrata che richiama più che posso la dieta mediterranea.
Abbiamo la speranza di rivederti come Capo Chef di un noto ristorante italiano?
In futuro vedremo (ride ndr).
Marco ha raccontato la storia di un giovane campano dotato di grande talento che non ha mai smesso di sognare ed ha saputo “piantare” la sue radici italiane in America non snaturando, mai, i “sapori” che lo hanno accompagnato nella sua crescita e cercando, piuttosto, di “insegnare” la magnifica arte della “dieta mediterranea” ai nostri fratelli americani.