Spenti da poco più di una settimana i riflettori continua l’eco di Vinitaly 2022 con le storie dei produttori che abbiamo incontrato a Verona e con cui abbiamo scambiato qualche chiacchiera. È stato costruttivo ascoltare i racconti, raccogliere le impressioni a caldo ma anche le riflessioni maturate a fiera finita. L’occasione è stata utile per risentire Adolfo Scuotto che avevamo lasciato impegnatissimo, insieme al padre, nel loro stand all’interno del padiglione Campania.
Ciao Adolfo. Si è appena conclusa l’esperienza di Vinitaly 2022. Cosa ha rappresentato per Tenuta Scuotto il ritorno alle grandi manifestazioni dopo i due anni di fermo?
La 54° Edizione del Vinitaly per la mia azienda, ma suppongo per tutti, rimarrà un’edizione indimenticabile. “Ripresa” o “ripartenza”, come vuoi che si dica, è la parola che ho ascoltato di più tra visitatori, buyer ed espositori. Perchè di ripartenza si è trattato. Il blackout delle fiere e grandi manifestazioni in presenza, al di là delle ripercussioni economiche, ha minato alla base uno dei concetti fondamentali del settore enoico: la convivialità. Non poter confrontarsi dinanzi ad un calice di vino, non poter intercettare negli occhi di un visitatore l’entusiasmo di una degustazione, non poter raccontare la propria storia a gruppi di persone che ascoltano entusiasti, è lesivo del fascino che tutti noi attribuiamo al vino e alle sue innumerevoli e poetiche sfumature.
Come ti è sembrata questa edizione vista dalla postazione all’interno del padiglione della Campania?
In linea con quelle che erano le mie aspettative. Eravamo tutti coscienti che c’era un grande desiderio di “esserci”, ma che il contingentamento degli ingressi, il periodo in cui si è svolto e l’instabile situazione geo-politica, avrebbero impedito ad alcune delegazioni di raggiungerci. Mancavano molti operatori professionali che, a stagione iniziata e a ridosso della Pasqua, erano impossibilitati a muoversi. Così come mancavano i buyer provenienti da USA, dalle zone interessate dal conflitto e dall’Oriente.
Ti aspettavi qualcosa di diverso?
Io nel complesso mi ritengo soddisfatto. Ho avuto la possibilità di rivedere finalmente importatori che a causa della Pandemia non incontravo da tempo. Anche perché oltre alle fiere, ho dovuto annullare molti viaggi all’estero. Ho avuto la possibilità anche d’incontrare per la prima volta nuovi importatori, quelli acquisiti grazie all’impiego di strumenti digitali alternativi alle manifestazioni in presenza. Per concludere, Vinitaly è sempre il modo più veloce e pratico per rivedere i propri agenti in Italia e presentare le nuove annate agli stessi e ai clienti.
Ritieni che la Campania abbia messo in campo tutte le forze e le abilità necessarie alla promozione del proprio territorio o si può fare di più?
La Campania ha grandi potenzialità che non riesce ancora a sfruttare appieno. Non parlo solo del Vinitaly, ma di un’azione coordinata, sistemica e continuativa che contribuisca a segnare questa manifestazione come un punto d’arrivo di tutte le attività di promozione che nel frattempo sono state messe in campo durante l’anno.
C’è bisogno di avere una visione ciclica senza soluzione di continuità. Non è giusto che finito Vinitaly si spengano i riflettori sul vino campano. Naturalmente c’è molto lavoro da fare, ma di concerto tra organismi ed istituzioni, consorzi e distretti, politica e produzione.
Questo per fare in modo che il richiamo alle nostre denominazioni non sia solo il frutto (apprezzabile) dell’azione dei singoli brand o delle singole cantine. Bisogna predisporre un imbuto promozionale (pubbliche relazioni, pubblicità, sponsorizzazioni, promozioni on field, etc.) che veda il consumatore al centro di un messaggio costante e generalista volto alla formazione e al consolidamento di un concetto: “Vini della Campania: Storia ed Unicità”.
Non a caso ho omesso la parola “qualità” in questo slogan. Un termine abusato o utilizzato da molti impropriamente, che non contribuisce all’affermazione di un brand territoriale.
Noi ci siamo visti a Verona davanti a una magnum di Oi nì mentre raccontavi l’origine del nome di questo vino che è ormai simbolo della vostra azienda.Ti va di raccontarla anche ai nostri lettori?
Assolutamente sì. Non faccio mistero con i lettori del fatto che tu abbia condiviso in quell’occasione una delle poche Magnum in circolazione di questo vino. Oi nì è un’espressione dialettale, utilizzata in verità in varie zone del sud Italia, che significa “o’ bambino”. I genitori spesso per richiamare l’attenzione dei loro figli maschi, invece di utilizzare il loro nome, usano in modo affettuoso questo vezzeggiativo. Mio padre era solito chiamarmi così da piccolo ed è stato assolutamente naturale chiamare così quello che tu stessa hai definito il simbolo della nostra azienda.
Mai nome fu più azzeccato per testimoniare il particolare rapporto filiare che si è venuto a creare tra il produttore ed il prodotto, lo stesso che lega un padre ad un figlio.
E adesso invece raccontami Oi nì.
Per parlarti di Oi nì devo inziare citando testualmente le parole di mio padre, “Voglio fare un Vino che non esiste ancora sul mercato. Non voglio fare l’ennesimo vino, più o meno buono degli altri. Voglio che sia differente, riconoscibile e riconosciuto. Voglio che si parli di lui..”. Audacia e conoscenza si sono fuse perfettamente in quello che più di 10 anni fa era solo un progetto, la “sublimazione del fiano”. Oggi invece è una concreta e riconosciuta realtà, a livello nazionale ed internazionale. Un viaggio in Alsazia, un incontro speciale, un enologo pronto a mettersi in gioco come noi, hanno acceso la miccia di quel gran fuoco della passione che accomuna un po’ tutti noi produttori di vino.
E così abbiamo cambiato le carte in tavola, abbiamo smontato assunti precostituiti su prassi agronomiche ed enologiche precedenti. Abbiamo spinto sull’epoca vendemmiale arrivando alla perfetta maturazione delle uve, sfidando le avverse condizioni meteo. Poi l’utilizzo di botti ovali da 25h per la fermentazione (suppongo prima di allora presenti forse in una o due cantine del territorio) e delle basse temperature per allungare la fermentazione con lieviti indigeni fino ai 12/13 mesi. E inoltre il prolungamento dell’affinamento in bottiglia fino ad un anno.
Potrei dire abbiamo fatto tutto ciò che in quel momento il mercato non era pronto ad accogliere. Ma noi avevamo avuto una visione e tutti gli appassionati di Oi nì, che amano definirsi “oinìlovers” oggi ci ringraziano per aver insistito e averci creduto. Ce lo dicono in tutti modi. Chiedendolo sempre di più al ristorante e/o in enoteca. Condividendo la bottiglia sui social o semplicemente scrivendoci in privato. Loro sono grati a noi per averlo prodotto, noi siamo grati a loro per la loro scelta e fedeltà.
Quale è stata la reazione del pubblico ai vini di Tenuta Scuotto?
Quello che mi gratifica di più del lavoro svolto è poter raccogliere il plauso entusiasta di chi ci beve da tempo, come di chi ci beve per la prima volta. Non meno importante è constatare l’entusiasmo di chi ci acquista (ristoratori, enotecari, sommelier, buyer) ed è soddisfatto del consenso che riscuotono i nostri vini scelti dagli avventori presso le loro strutture. Il messaggio che abbiamo voluto trasmettere, principalmente attraverso i prodotti, è stato quello di produttori di vini eleganti, dove l’elemento edonistico del vino assume un ruolo di primo piano. I nostri vini devo innanzitutto regalare piacere, indipendentemente dall’etichetta scelta. Poi, se si vuole e se è nelle corde del consumatore, possiamo raccogliere anche pareri tecnici e approfonditi, ma i “mi piace”, “è buono”, “è elegante” valgono a ripagarci di tutti i sacrifici fatti.
A parte Oi nì, con il quale ormai credo siate abituati a raccogliere consensi e riconoscimenti, quali sono stati i vostri vini più graditi a Verona?
Come dicevo già precedentemente, Vinitaly è l’occasione anche per presentare ad un pubblico più ampio le nuove proposte dell’azienda. A tal proposito, al di là di un consenso trasversale sull’intera gamma, abbiamo riscontrato un grande successo per il nuovo nato “REDO”. Il nostro Rosso da uve di aglianico che ha convinto e conquistato per aver “forse” trovato un nuovo corso anche per l’aglianico. Che sia forse l’eREDO” di Oi nì in veste rossa? Vedremo…
Sei in qualche modo un “One man show”, volto dell’azienda e abile comunicatore. Cosa ti rende così determinato?
Io penso che gli obiettivi siano la più alta forma di autodeterminazione. Anche se nel mio caso devo parlare innanzitutto di sogno condiviso con mio padre Eduardo. E come succede di solito, è proprio con i sogni che iniziano le responsabilità. Le responsabilità di vederli compiuti, realizzati in tutto il loro splendore. I sogni però richiedono pazienza, costanza. Non vanno trascurati nemmeno per un giorno. Il successo non è mai definitivo (come recita l’adagio di Winston Churchill) e ciò impone di guardare avanti senza crogiolarsi sui traguardi già raggiunti.
La vostra, a dispetto dei risultati, è un’azienda relativamente giovane. Cosa hai in mente per il futuro e come ti immagini Tenuta Scuotto tra altri 15 anni?
Nel mondo del vino, il tempo passa molto lentamente. Per un settore che ha più 2000 anni di storia all’attivo, i lustri e i decenni di storia aziendale sono sempre pochi. Il tempo non si può allungare, ma di certo lo si può “allargare”. Un contenitore all’interno del quale bisogna essere bravi a mettere tante cose buone (ma anche errori ovviamente), piuttosto che farlo scorrere inutilmente. Se penso agli inizi, ho difficoltà a collocarli in un certo periodo, perchè mi sembra che siano passati molti più anni di quelli effettivi. Quando le tue giornate non hanno un inizio nè una fine, ti sembra di partecipare ad una corsa ad ostacoli. Senza traguardo perdi la cognizione del tempo e sei solo concentrato a saltare il prossimo ostacolo. Non posso nascondere di essere anch’io sorpreso di dove sia arrivata la mia azienda in così poco tempo.
Lavoriamo in tutta Italia con una presenza importante nella ristorazione di livello. 16 paesi all’estero ci hanno già dato casa. I nostri vini sono assolutamente democratici, scelti da un pubblico eterogeneo per età (cosa non da poco per il prodotto vino) sia per livello di conoscenza e di approfondimento.
Per i prossimi 15 anni, mi aspetto qualcuno che mi dia una mano perchè l’età avanza… A parte gli scherzi, non passerà giorno che non penserò a come stupire chi ci segue, per continuare ad affermare il credo che ci vede più “creatori di uno stile” anzichè esclusivamente produttori di Vino.
Per fare ciò è assolutamente importante avere una visione d’insieme dove ogni aspetto della nostra attività (dalla parte agricola fino a quella della comunicazione) sia calato in un sistema votato alla soddisfazione del nostro cliente. Ed è proprio in tale ottica che molta attenzione nei prossimi anni sarà dedicata all’accoglienza o a quella che io amo definire “Wine Experience”. Invito già i lettori a dare una scorsa alle nostre proposte attuali di tour enogastronomici con visite in cantina e degustazioni. Arrivederci al prossimo Vinitaly ed in alto i calici!