Mimosa Milano è il suo progetto di alta cucina

Quante idee, progetti e passione dietro il nome Mimosa. Lei è Mimosa Misasi, chef napoletana che ha realizzato il suo progetto Mimosa Milano nella città della madonnina. Mimosa è un percorso, una strada nel cuore del suo sviluppo. Mimosa Misasi non pensava di fare la chef, all’inizio. È solo dopo aver completato gli studi all’Università di Bologna che si è diplomata a pieni voti presso l’ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana. Mimosa ha fatto parte delle brigate di cucina del Vun, di Peck e del Seta a Milano, e fatto diverse altre esperienze che hanno arricchito la sua professionalità. Mimosa Milano è il suo progetto di alta cucina, declinato in catering (il nucleo centrale del suo lavoro), private chef e in un laboratorio per lezioni e workshop personalizzati. 

Partiamo dalla consapevolezza: quando hai capito di essere portata per la cucina?

Non me lo chiede mai nessuno ma questa è stata una delle mie più grandi ansie. Mi sono laureata – ho studiato storia dell’arte – dopo di che ho fatto una scommessa frequentando la scuola di cucina. Dovevo vedere se ero fatta per questo mondo. Quando ho iniziato ALMA, la prestigiosa scuola di Gualtiero Marchesi a Colorno, ho avuto la mia prima occasione di mettermi in gioco. Mi sono accorta di avere manualità, studiavo tantissimo, conoscevo la parte di chimica, di fisica, di anatomia perché anche questo serve in cucina. Insomma, mi riusciva bene. Ho poi fatto uno stage al Vunda Andrea Aprea, anche lui napoletano, e riuscivo a stare al passo: questa è stata la conferma che potevo fare questo lavoro.

Da bambina avevi le mani in pasta?

Vedere cucinare mamme, nonne e zie ti dà modo di esplorare gesti e gusti che diventano casa. Fare la pasta è casa, sfornare una crostata è casa…

Con Mimosa Milano ti occupi di catering e offri un servizio di private chef: perché non un ristorante?

Ho collaborato tre anni nella ristorazione stellata e so com’è. È una vita veramente tanto sacrificata, se il ristorante è tuo e te ne occupi con il cuore ci passi dentro tutta la tua vita. Io ci stavo dalle 13 alle 16 ore, da lavoratrice, figuriamoci fosse stato mio. Inoltre, il catering mi dà una dimensione di sperimentazione più ampia. Il mio catering è di nicchia, personalizziamo tutto, quindi è molto dinamico. Il ristorante ha i menù stagionali, noi invece ci mettiamo alla prova. Interessante per me è anche il contatto con gli altri, cioè voglio avere il tempo per conoscere i fornitori, passare giornate in campagna con il contadino che mi dà i pomodori, fare sopralluoghi e ovviamente confrontarmi con il cliente per personalizzare l’offerta. È difficile fare tutto questo se hai un ristorante. Il catering mi dà libertà.

Chi sono i tuoi clienti?

Lavoriamo prettamente con le aziende. Il servizio di private chef è di altissimo livello, faccio molta selezione sul cliente perché è un servizio davvero di lusso dato che non c’è solo lo chef ma anche il cameriere, ci occupiamo noi delle posate, della tavola, di tutto insomma. Questo servizio me lo chiede chi ci ha conosciuti con il servizio di catering o personaggi di spicco.

Sostenibilità, stagionalità, ricerca, eleganza: la tua cucina si basa su questi pilastri?

Sono i principali. La sostenibilità oggi è imprescindibile se no sei fuori dal mondo. Uso prodotti con impatto ambientale basso. Ho una lista nera di ingredienti da non usare: cerco di spiegare perché non li servirò mai e propongo alternative meno impattanti sull’ambiente. Per questo amo la cucina vegetale, fatta di verdure e legumi; uso poca carne e poco pesce, e sono super selezionati e scelti da me per motivi etici. L’eleganza mi contraddistingue ma tengo presente anche la comprensibilità. Mi piace mangiare e vado spesso in cerca di posti da provare: trovo ristoranti che cercano di stupire con i fuochi d’artificio. Secondo me partendo da prodotti di qualità e da una tecnica eccellente il lavoro del cuoco deve essere minimo e deve puntare ad accogliere chi deve mangiare: le persone non devono sentirsi respinte da forme e sapori che spiazzano. Per concludere, la ricerca è fondamentale se no rimani fermo. Chi fa un lavoro creativo trova benzina nel confronto con il mondo ma alle spalle deve avere consapevolezza tecnica e tanto studio.

Cos’è di moda oggi, dove sta andando il gusto delle persone?

Il gusto sta guardando tanto verso la cucina del Sud America, almeno il gusto un po’ più stellato. E poi, si sta tornano alla semplicità e all’alleggerimento di tutte le ricette. Sui social invece vedo due filoni: ci sono contenuti che propongono il cibo spazzatura più estremo, e un altro filone dedicato al vegetale e al naturale. Credo sia arrivata nelle coscienze la consapevolezza di dove va il mondo.

Qual è il tuo cavallo di battaglia?

Penso sia un argomento, cioè i fondi: di verdure, di carne e di pesce. Sono le cose che più mi diverte fare e le persone le apprezzano tantissimo. Studiando Escoffier, che aveva codificato le salse francesi, sono rimasta affascinata e ho iniziato a fare esperimenti. Aggiungo, faccio infusioni, filtro, mi metto a tostare: tutto questo mi rilassa moltissimo. Nelle salse sono i piccoli dettagli che fanno una differenza immensa. Un’altra cosa che mi piace delle salse – e che dico anche ai miei ragazzi in cucina – è che se sono buone i piatti mediocri diventano buoni, mentre un piatto buono con una salsa mediocre… diventa mediocre.

Per concludere, date un’occhiata su Instagram per scoprire cosa bolle sui fornelli di Mimosa Misasi: Craving for catering è la novità in arrivo.


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Francesca Binfarè

Giornalista e assaggiatrice curiosa, scrivo da sempre e parlo tanto, anche in radio dal 1989. Mi sono laureata in Scienze Politiche ascoltando gli Oasis, ho vissuto a Dublino accompagnata dagli U2 e dalla...