Saper comunicare la pizza napoletana, senza cadere negli stereotipi, cercando di darle un’identità ben precisa, non è un discorso semplice da affrontare, diciamolo. Per una buona comunicazione, secondo Enzo Coccia, ideatore e patron della Pizzaria La Notizia di Via Caravaggio, bisogna partire da una dettagliata conoscenza dei prodotti. Ed è ciò che lui ha fatto e che continua a fare nel suo lavoro di pizzaiolo, nel contatto diretto che ha quotidianamente con i suoi clienti, anche se lui non ama definirli in questo modo. Le persone che frequentano la sua pizzeria sono una vera e propria famiglia, sono amici con cui confrontarsi e a cui trasmettere tutto ciò che giorno per giorno egli stesso apprende attraverso tutti i canali possibili, dai master di formazione alla conoscenza diretta con i produttori. Proprio quest’anno La Notizia compie un quarto di secolo, l’occasione giusta per scoprire insieme ad Enzo Coccia il suo percorso ed anche cosa prevede il futuro.
Quali sono le caratteristiche principali che un pizzaiolo deve possedere per affrontare al meglio il suo lavoro?
Idea, creatività ed entusiasmo sono le tre parole chiave fondamentali nel mondo della pizza secondo me. Ho cominciato molto presto nel locale della mia famiglia alla Duchesca al centro della città, la pizzeria “Fortuna”, e da lì ho affrontato un lungo percorso che mi ha dato poi la possibilità di trasferire il mio bagaglio culturale e la mia esperienza a Via Caravaggio, prima al civico 53 e poi con la doppia sede a pochi passi, al numero 94. I due locali hanno la stessa matrice, è come se fossero la mano destra e la mano sinistra di un’unica persona.
La seconda pizzeria è nata dalla volontà di mettere un pizzico di fantasia in più nel proprio lavoro, gli altri le chiamano “pizze gourmet”, io non uso questo termine, si tratta solo di pizze che non si trovano nel classico menu.
Da dove è partito il tuo processo per comunicare la pizza napoletana?
Sono partito dai prodotti, ho affrontato un percorso che cominciava dall’interno della pizzeria e che procedeva in simbiosi con la pizza di qualità. Mi sono posto una domanda fondamentale: quanto costa la pizza di qualità e quanto quella realizzata con prodotti scadenti? Adesso il pomodoro San Marzano è conosciuto da tutti, anche all’estero, così come la mozzarella di bufala campana Dop, il fior di latte dei Monti Lattari, ma tanti anni fa non era così: poche persone conoscevano la ricchezza del nostro territorio, soprattutto per quanto riguarda gli ingredienti che servono a condire la pizza. Io in prima persona, insieme ad altri colleghi pizzaioli storici, abbiamo lottato per dare un’identità alla pizza napoletana, ho partecipato attivamente al disciplinare del 1997 della “verace pizza napoletana” perché la pizza napoletana non doveva essere confusa con altre tipologie di “pizza” realizzate altrove.
Chi ti ha ispirato nella ricerca dei prodotti di qualità?
I miei mentori sono due: Carlin Petrini ed il professore Marino Niola. Nel 1998 mi sono iscritto a Slow Food, da lì con Petrini abbiamo cominciato un lavoro per far emergere i prodotti campani in Italia e nel mondo, iniziando proprio con il pomodorino del piennolo. Il punto focale era far conoscere un prodotto tipico dal punto di vista non tecnico ma storico, portare in evidenza un’identità che raccontasse la storia del Mediterraneo, ed in Campania abbiamo una ricchezza inestimabile da questo punto di vista.
Per questo ho seguito il master del professor Niola in Tradizioni e culture dell’alimentazione mediterranea. Nell’800 Gioacchino Murat portò a Napoli i lieviti da Parigi, la cucina dei monsù ha fatto tutto il resto. La ‘mpustarella, questo prodotto che sto valorizzando e riportando in voga a La notizia 94, l’ho conosciuta grazie ad una canzone della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ne ha parlato Roberto De Simone e studiando sono arrivato a riferimenti storici che risalgono addirittura a Giambattista Basile.
Hai avviato una scuola di formazione per pizzaioli, la maggior parte provengono dall’estero…
Partendo dal presupposto che il pizzaiolo è un artigiano, perché il suo lavoro è fatto di precisione, tecnica e lunga esperienza, nel 2000 ho avviato questa scuola soprattutto per persone provenienti da altri paesi. C’è una grande curiosità sulla pizza napoletana, perché è uno dei prodotti più consumati in tutto il mondo. Paradossalmente San Paolo in Brasile è la città in cui si consuma più pizza napoletana, per questo vengono tutti qui a formarsi, perché sanno che c’è bisogno di una scuola napoletana, si deve risalire all’origine per imparare le basi fondamentali e realizzare un prodotto non dico uguale, ma molto simile e buono. E poi grazie a questa formazione, si dà la possibilità al nostro patrimonio enogastronomico di essere diffuso ovunque.
La comunicazione sulla pizza napoletana può considerarsi conclusa o c’è ancora da fare? Come vedi le pizzerie del futuro?
La pizza napoletana negli ultimi anni ha subito una vera e propria rivoluzione, anzi forse ha avuto fin troppo sviluppo e questo non deve farci cadere negli errori. Ora bisogna concentrarsi per fare in modo che questo prodotto rimanga eccellente. I social ci hanno aiutato a smuovere un po’ l’opinione pubblica, ma non bisogna diventare uomini digitali, non ci dobbiamo far condizionare troppo. È fondamentale avere un contatto umano con le persone, più che virtuale. In futuro vedo un format differente, ci sto lavorando, mi piacerebbe vedere che chi mangia la pizza possa godere del territorio circostante, partendo con i prodotti locali, a stretto contatto con l’orto.
C’è poco da dire: sei il numero 1