Un’interessante intervista a Mario Falcetti, direttore generale di Quadra.
Mario Falcetti, nato a Varese nel 1960, è agronomo ed enologo. Nel 2008 (agosto) entra in partnership ed assume la direzione di Quadra. Ne rivoluziona la visione enologica, abbandonando l’interpretazione classica attraverso un approccio minimale e introducendo innovazione di prodotto. E’ autore e co-autore di oltre 120 pubblicazioni a carattere scientifico inerenti la viticoltura e l’enologia e diversi libri d’argomento viticolo-enologico
Ciao Mario, come nasce questa passione che si è trasformata in lavoro?
A questa domanda ho cercato di rispondere nel primo capitolo del libro autobiografico “Terre” pubblicato nel 2008. L’interrogativo scaturiva dal desiderio di analizzare il mio percorso nel mondo del vino, concedendomi una pausa di riflessione, per riordinare alcuni aspetti che non quadravano. Il risultato di questa autoanalisi – che ha dato vita al libro autobiografico che racchiude vent’anni di esperienze, viaggi, incontri, progetti, idee intorno alla vite e al vino, – mi ha portato a condividere ed animare l’attuale esperienza di Quadra. Tuttavia, se volessi trovare l’innesco che ha dato vita a questa passione, credo di poter attribuire la sua genesi a mio nonno materno, uomo e agricoltore d’altri tempi, quasi “pre-fillosserico” come lo apostrofavo a riconoscenza della sua secolare esperienza. Mi ha preso per mano da piccolo mostrandomi le meraviglie della natura, facendomi assaporare i frutti appena raccolti, facendomi apprezzare le stagioni e insegnandomi ad interpretare le esposizioni dei versanti e le bizzarrie delle nuvole. Un maestro che ha posto un seme nella mia fertile mente di bambino. Da lì in poi i passi sono stati tutti compiuti in logica successione: liceo scientifico, laurea in Scienze Agrarie, titolo di enologo, esperienza decennale di ricercatore prima e poi l’inizio della carriera professionale nella produzione di vino e nell’impostare e dirigere aziende. Dopo il nonno ho avuto la fortuna di incontrare altri due maestri: un vecchio titolare di cattedra ambulante di agricoltura, attivo verso la metà del secolo scorso, che mi aveva “adottato”, ormai ottuagenario, insegnandomi i segreti della frutticoltura, e il professore con il quale ho sostenuto la mia tesi di laurea e con il quale ho collaborato negli anni in cui facevo ricerca. È stato proprio lui ad insegnarmi ad osare. A queste persone, fondamentali nella mia formazione, mi sento di aggiungere alcuni colleghi ricercatori, talvolta divenuti amici, con i quali il confronto di esperienze è stato spesso illuminate. Perciò, sintetizzando, mi sento di poter dire di non aver scelto ma di essere stato accompagnato in un percorso che è ancora in itinere. La controprova? Non mi sono mai immaginato a fare altro.
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Hai lavorato in diverse aziende vinicole, immagino che da ogni esperienza avrai tratto degli insegnamenti, quali sono e come ti sono serviti nel tuo lavoro?
Non mi sono mai adattato a lavorare in un’azienda perché le esperienze che ho scelto presupponevano che contribuissi a forgiarle, a configurarle, a darne un senso compiuto. In questo credo di essere riuscito a plasmare un’idea, a dare identità, a dotare le aziende di un progetto, di una missione. Perciò le realtà in cui ho lavorato, e in cui lavoro tuttora, sono cresciute con me e non riesco a distinguerle dalla mia personale esperienza. Ciò che mi piace di un’azienda sono gli aspetti immateriali: le idee, i progetti, le donne e gli uomini che ci lavorano per fare squadra, le emozioni… Questi sono gli elementi che antepongo sempre agli aspetti materiali, agli oggetti, alle strutture, ossia a quelle risorse che si possono acquistare.
La creatività, la stima, il rispetto, la collaborazione, la fiducia sono caratteristiche che bisogna coltivare e custodire gelosamente e rappresentano il vero propellente per fare impresa. L’insegnamento che ho tratto? Esattamente ciò che ho appena detto, che ci sono elementi che mi appartengono che non sono disposto a barattare, che sono parte di me, della mia persona. Un altro insegnamento, oggi più che mai attuale, è che ciò che conta è la qualità e non la quantità di ciò che si fa. Anzi, sono un fautore dell’ozio creativo dal quale scaturiscono idee e soluzioni originali, abbinato alla “meditazione dinamica” capace di sgombrare la mente da preconcetti lasciandola libera di spaziare senza vincoli precostituiti. Mi rendo conto di quanto sia importante astrarsi dal contingente quando incontro persone indaffarate a risolvere problemi, a rincorrere situazioni che tendono a sfuggire, quando sarebbe più proficuo concedersi delle pause per analizzare e riflettere a “freddo”. Prevenire piuttosto che curare. A tal proposito mi piacerebbe che nelle aziende ci fosse un “pensatoio”, un luogo-momento dove immaginare e sognare senza vincoli, senza impedimenti, concentrandosi solo sul binomio “qui-ora”. Una sorta di laboratorio di idee che in parte stimoliamo ogni anno in primavera in occasione della scelta delle quvée di Quadra. Un momento di incontro-confronto di esperienze e desiderata diverse intorno al vino.
Sei autore di diverse pubblicazioni relativi al settore viticolo-enologico, dove spesso l’amore per il vino si mescola con la cultura ed i viaggi, raccontaci qualcosa di più.
Mi ritengo fortunato perché ho potuto coltivare la mia passione per il vino facendone una professione che mi ha permesso di girare il mondo, conoscere persone, situazioni, luoghi senza soluzione di continuità con la mia vita privata, che tuttavia proteggo con grande attenzione. Per rispondere a questa domanda e chiarire il mio pensiero credo valga la pena di riprendere quanto ho scritto, nell’inverno 2015, per presentare Acchiappasogni, il Pinot Nero firmato Quadra.
ACCHIAPPASOGNI. PINOT NERO 2011.
IL VINO, IL VIAGGIO, IL SOGNO.
Il viaggio rappresenta, per me, il sogno, un obiettivo, un desiderio, una meta da raggiungere. E’ sempre stato così, sin da piccolo, quando, nei giochi, mi immaginavo indiano delle praterie. I luoghi e i nomi scaturiti dalla mia fantasia e dalle prime letture mi sarebbero diventati famigliari più tardi quando ho incontrato il “popolo” Navajo.
Gli indiani d’America e i Navajo, in particolare, hanno esercitato un fascino magnetico su di me, mi hanno ispirato, mi hanno contagiato con la loro cultura, la loro visione della Terra quale bene supremo da amare, rispettare, proteggere con l’obiettivo di tramandarla alle generazioni future. Al loro modo di ricercare e mantenere l’equilibrio della natura e con la natura ho sempre guardato con ammirazione, constatando quanto il loro essere, si direbbe oggi, “eco” fosse di fatto, non un proclama, un vessillo, bensì l’essenza del loro vivere.
Nel vino il mio “viaggio”, il mio “sogno”, è incarnato dal pinot nero, vitigno che ho conosciuto nelle sue espressioni più incredibili, perfette. Per questo ho sempre avuto il timore di cimentarmi per non profanarne l’idea. Ne ho assaporato le sfumature più delicate, le interpretazioni d’autore, ma sono incappato anche in tante presunzioni ed in tanti mezzi vini. Per queste ragioni ho sempre custodito il Pinot nero in una sorta di tabernacolo ideale, il viaggio per il quale ci si prepara una vita intera, godendo al pensiero di realizzarlo, affinando i dettagli, ma rimandandolo per non bruciarlo. Sono partito nel 1987 ma ho dovuto attendere ben undici anni, fino al 1998, per trovare la giusta direzione. Gli eventi, però, mi hanno costretto a sospendere il progetto. Ho dovuto poi attendere altri 13 lunghi anni prima che la vendemmia 2011 mi donasse un frutto sublime. Giorno dopo giorno ho percorso i filari, tastato i grappoli, assaporato gli acini, valutato la carica tannica. Ho preparato la vendemmia, ho curato i dettagli della vinificazione per gestire la potenza dell’annata, ho vegliato l’attesa di 28 lunghi mesi in barrique e poi ancora fino a marzo 2014 quando, finalmente, ha preso forma la bottiglia, anzi la magnum a cesellare il sogno.
Oggi il mio viaggio si realizza. Ho colto il mio sogno, l’ho acchiappato. E l’etichetta che ho pensato per accompagnare il vino riporta l’Acchiappa Sogni dei nativi americani. Un oggetto simbolico molto forte, regalato ai neonati e capace con la sua forma, secondo la tradizione, di allontanare le negatività e catturare e realizzare i sogni positivi. L’ho voluto di colore turchese, un colore potente in contrasto con la sua delicatezza, proprio come il mio Pinot nero. Il turchese, infatti, racchiude in sé l’energia del giallo e la serenità del blu. Aiuta a sciogliere le tensioni, rende tolleranti, suscita emozioni e armonia. E’ il colore della pietra sacra dei Navajo.
E’ il mio vino, il mio sogno, il mio viaggio. Il resto è terra, sole, uva, mani sapienti che hanno condiviso la realizzazione del sogno e tempo.
Il tempo che per il vino non trascorre mai invano.
A differenza dei classici vini Franciacorta dove lo Chardonnay predomina, Quadra utilizza percentuali maggiori di uve di Pinot bianco, dicono che sei quasi un eretico e sogni un Franciacorta senza Chardonnay, qual è la tua idea?
Sono Eretico perché dichiaro apertamente il mio “gioco”, perché i miei vini non nascondono segreti o misteri ma sono il frutto di una sedimentazione di esperienze, di suggestioni, di visioni. Mi concentro sulla messa a punto di un modello originale, quale risultante di anni di contaminazioni, piuttosto che cercare di imitarne altri. Il Pinot bianco, che proclamo e difendo quale cifra stilistica dei Franciacorta Quadra, è rigettato dai più perché ritenuto vetusto, una vestigia di un passato che si vuole dimenticare. Le mie esperienze in tal senso mi hanno indotto a “fare i conti” con questo vitigno sin dai tempi della mia tesi di laurea che mi ha portato, tra l’altro, a confrontare lo Chardonnay e il Pinot bianco. Da allora è passato qualche decennio e questa uva è capace di emozionarmi ad ogni vendemmia. Perciò il mio legame con il Pinot bianco è viscerale e non può essere compreso da chi nella viticoltura è un “parvenu” dell’ultima o penultima ora.
Sperimentazione e ricerca sono un binomio forte per Quadra, siete partiti con Brut Green Vegan, ora a cosa state pensando?
Il fronte della sperimentazione e dell’innovazione è sempre aperto e rappresenta l’avanguardia del processo produttivo di Quadra. È il momento in cui le mie idee prendono forma e si materializzano in un vino o nel suo prototipo. Nella scala dell’innovazione il primo posto spetta sicuramente ad Eretiq, il primo Franciacorta senza Chardonnay, tributo al Pinot bianco suffragato dal Pinot nero, in rigoroso dosaggio zero. Green Vegan rappresenta l’uovo di Colombo nell’ambito della gamma di Quadra. Il suo processo produttivo, senza l’impiego di chiarificanti di origine animale, è in tutto e per tutto identico a quello che caratterizza gli altri nostri Franciacorta, i miei Franciacorta da anni. Il nome e l’etichetta vogliono enfatizzarne il concetto, provocando spesso reazioni di chiusura. In questo serve da sparti-mercato, per farci capire chi è realmente curioso di vino e chi invece beve slogan e marchi. Ma la ricerca non si ferma qui: attualmente in fase di affinamento in bottiglia vi è in primis, “l’Antieretico”, uno Chardonnay da selezione massale di una vigna di 40 anni, vendemmia 2011, vinificato in botte da 30 hl e affinato, ad oggi, oltre 60 mesi ma destinato ad un periodo più lungo. Contestualmente prosegue la ricerca sul Pinot nero in purezza, nelle sue espressioni in bianco (vendemmie 2015 e 2016) e in rosato (vendemmie 2012 e 2015) destinazione Franciacorta, dopo averne appurato il potenziale in rosso, come ricordato in precedenza, con Acchiappasogni 2011. Proseguendo per l’utilizzo del mosto integrale quale fonte di zucchero per la presa di spuma. Senza dimenticare qualche migliaio di bottiglie di Saten della fantastica vendemmia 2011 accantonate, dopo un remuage a 5 anni di affinamento, per continuare la permanenza sui lieviti per altri 5 anni. Da ciascuna di queste esperienze, e da altre in atto, scaturiscono elementi di riflessione, di rottura, di dubbio da trasferire e implementare a beneficio della “produzione corrente”.
Come molte altre aziende vinicole anche voi avete un Agriturismo, che mira ad ottenere il giusto connubio tra i Franciacorta di Quadra ed il cibo di qualità, cosa proponete ai vs ospiti?
Il ristorante è nato con l’azienda e rappresenta una delle porte d’ingresso all’esperienza Quadra. Propone cucina del territorio e della tradizione dove qualità fa rima con semplicità. Un luogo a misura dove si è scelto di stare “dalla parte dell’arrosto e non del fumo”, fatto raro in questi tempi di cucina-spettacolo.