È il fenomeno che consiste nella commercializzazione di alimenti e bevande etichettati, o che graficamente riportano alla provenienza italiana, quando in realtà non sono prodotti in Italia.
I prodotti agroalimentari italiani sono tanto apprezzati nel mondo quanto minacciati dalle frodi alimentari.
La distribuzione dei prodotti contraffatti avviene, attraverso due canali differenti: il clandestino ed il commerciale normale. Il circuito clandestino avviene al di fuori del mercato regolare, per strada, nei mercati pubblici, per corrispondenza, su internet.
L’altro canale di distribuzione è il circuito commerciale “normale” dei prodotti originali, nel quale si trovano più facilmente alimenti contraffatti.
Questo mercato alternativo di prodotti contraffatti (spacciati per Made in Italy) il cui giro di affari stimato è di 60 miliardi di dollari, è soltanto una truffa ai danni delle casse dello Stato e della salute dei consumatori. I quali pur amando il prodotto nostrano non lo conoscono realmente e vengono ingannati facilmente.
Il fenomeno è noto anche come Italian Sounding, strategia utilizzata da molti Paesi esteri, per spacciare come italiano un prodotto contraffatto sfruttando le assonanze con i prodotti reali.
Cina, Germania Stati Uniti sono tra i Paesi più ‘impegnati’ nell’imitare gli alimenti italiani. Sugli scaffali statunitensi si trova di tutto: Parmesan (Parmesao in Brasile), Grana Parrano, San Daniele Ham, Salama Napoli, Asiago Cheese, Chianticella, Cambozola, Zottarella, Romanello, Kressecco.
E, ancora, Regianito (in Argentina), Fontiago (venduto nei Paesi anglosassoni), Jambon de Parme (in Francia).
In tutto questo marasma la legge non tutela efficacemente il made in Italy. Secondo la normativa vigente è consentito etichettare un prodotto importato con il marchio made in Italy dopo averlo processato in Italia.
Si stima che nel 2009, in Italia, si sono importate materie prime con un marchio “Made in, per un valore di circa 27 miliardi di euro, altre sono state trasformate sottoponendole ad almeno un processo dell’industria alimentare.
Circa il 33% della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati, cioè 51 miliardi di euro di fatturato, derivano da materie prime importate, trasformate e vendute con il marchio Made in Italy, mentre in realtà esse possono provenire da qualsiasi parte del mondo.
Di queste materie prime importate, solo una parte sono classificate come importazioni temporanee perché, dopo avere subito qualche trasformazione in Italia, vengono rivenduti sul mercato estero.
Sono perciò merci che, provenienti da uno Stato estero, vengono introdotte temporaneamente nel territorio nazionale e qui sono sottoposti a lavorazione e trasformazione. Questo percorso consente a derrate alimentari, contenenti prodotti agricoli non italiani, di essere vendute all’estero con il marchio Made in Italy. Dei 27 miliardi di euro di importazioni, almeno 9 miliardi di euro sono stati utilizzati per importare prodotti alimentari esteri perciò non italiani, che però possono essere venduti all’estero fregiandosi del Made in Italy.
Nonostante i crescenti controlli, la contraffazione continua a fare “vittime” tra i prodotti italiani con gravi danni ai nostri prodotti tipici a denominazione Dop, Igp, Doc, che qualificano il nostro made in Italy.
Ogni anno l’agricoltura italiana perde circa 3 miliardi di euro sui mercati internazionali, a causa dell’aumento dell’agropirateria: dai prosciutti all’olio di oliva, dai formaggi ai vini, dai salumi agli ortofrutticoli.
Una delle soluzioni per contrastare le contraffazioni è sensibilizzare i consumatori, rendendoli più consapevoli di ciò che portano a tavola. È fondamentale controllare etichette e certificazioni, sigle importanti in termini di origine e sicurezza dei prodotti, nonché controllare la lista dei prodotti contraffatti stilata dalla Coldiretti.