Ai vertici di settore la pluripremiata steak house “La Baita” – guidata da Pasquale Maravita – un angolo di paradiso per tutti gli amanti della carne alla brace.
Secondo Sigmund Freud, padre della moderna psicoanalisi, il controllo del fuoco è prassi talmente atavica ed ancestrale che si colloca nel momento in cui l’uomo riuscì a domare i propri impulsi, ovverosia quello di spegnere la fiamma.
Non so, francamente, quanto Pasquale Maravita, trentaquattrenne patron della “Baita” in Valle di Maddaloni, possa essere d’accordo con tale assunto, se è vero che per il medesimo il “controllo del fuoco” – mutuando la terminologia dello scrittore viennese – ha rappresentato invece una vera e propria propaggine della propria personalità, superando vicissitudini e problematiche familiari.
Siamo nel centro di una valle di un piccolo borgo in provincia di Caserta, con uno splendido panorama sull’antico acquedotto carolino – che, per inciso, provvede a rifornire l’imponente Reggia del capoluogo – e sull’affascinante Castello che ne domina il perimetro, da sempre luogo avito e della memoria della famiglia Maravita, circa ottantaquattro ettari di terreno per un luogo unico al mondo.
Incontriamo il titolare, affiancato dall’inseparabile sommelier e maitre Maurizio Coppolano, in una luminosa mattina di un inverno ormai inoltrato, al termine di una serie di ambiziosi lavori che ne hanno ridefinito la sala principale, e gli spazi esterni. Un luogo eterodosso, che conta complessivamente circa milleduecento coperti, dove non esiste mediazione sulla qualità, e che in pochi anni è divenuto un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati della carne alla brace, pluripremiata da manifestazioni di settore, come la prestigiosa “The Golden Steak”.
Indubbiamente, ne è passata – non solo metaforicamente – di acqua sotto i ponti, da quando l’amato padre Mario, al termine di esperienze lavorative al Settentrione, rientrava nei luoghi di nascita, gestendo un food truck nei pressi del ponte dell’acquedotto, prima dell’apertura, nel 1987, del ristorante originario, trenta coperti per una proposta gastronomica che ricalcava quella delle malghe valdostane, luogo di origine della moglie del fondatore.
Il resto è storia, l’evento luttuoso della morte del genitore, un percorso di resilienza e straordinaria qualificazione professionale, dalla ripartenza nel 2012 – dopo numerose esperienze all’estero del patron attuale – sino alla ridefinizione del nuovo concept sette anni dopo, alla ricerca delle migliori selezioni, in giro per il mondo, dalla Galizia all’Australia, passando per il Giappone, con la stella polare della riaffermazione della propria identità territoriale.
Potremmo definire Pasquale come un vero e proprio templare del gusto della carne, enucleando la sua filosofia, fondata “sulla scrupolosa ricerca degli allevatori più remoti incontrati personalmente, sino alla definizione della frollatura più compiuta, per esaltarne al meglio qualità organolettiche e gustativa, terminando con un sapiente impiego del fuoco, per esaltarne grasso e caramellizzazione”. L’iconica immagine con la spada è frutto di una vera e propria traslazione di significati, in quanto trattasi del medesimo strumento utilizzato per l’apertura delle bottiglie di champagne – cosiddetto “sabrage” – opportunamente affilato ed adattato per il taglio della carne, a rimarcare la pregiatezza della materia prima.
Preceduta dall’imponente cella frigorifero a vista, cui fa da contraltare il bancone, ove vengono esposte circa ottanta qualità di cane disponibili, accediamo alla sala principale, interessante ibridazione fra stili, con l’impiego di materiali di recupero facenti parte del nucleo originario – travi, camino, mattoni, legno – ed innesti dal gusto moderno, in evidenza le stupende lampade Frost.
Passando all’estesa degustazione, iniziamo dal tagliere degli appetizer, composto da salame d’oca, pastrami, tartare di fassona piementose, lingua di rubia Gallega – straordinaria la consistenza, quasi da aspic – ed infine bombette di cube-roll, terminando con dei formaggi, della selezione Beppino Ocelli. In pairing il Brut Nature di Casata Monfort “Blanc De Sers” 2019, acidità sostenuta per un blend di vitigni autoctoni, davvero interessante e duttile.
Si prosegue con il primo, lo “spaghettone al limone di Sorrento con battuto di Rubia Gallega”, bello il gioco degli equilibri, che ne evidenziano la sapidità e freschezza, in abbinamento il Nerello Mascalese Spumantizzato vendemmia 2019 Brut Rosato dell’azienda Murgo, fine e persistente, con aromi in evidenza di costa di pane e frutti rossi.
Sulla successiva carne, incrocio fra wagyu giapponese e black angus australiano ottenuta con cottura mediante l’utilizzo di legnami d’acero e quercia provenienti dalla tenuta, comprendiamo cosa significhi una marezzatura perfetta, che ne conferisce una stratificazione di sapori. Oltre a quanto Pasquale Maravita abbia appreso, in termini di gratitudine e riconoscenza nell’arte della selezione, dal suo Maestro – ed amico personale – Francesco Camassa, coach della nazionale italiana macellai, quarta generazione da Grottaglie, provincia di Taranto.
Molti i progetti in itinere per questi imprenditori vocati, tra cui la progettazione di un eco-resort nei medesimi possedimenti con possibilità di soggiorno, nonché l’apertura di nuovi sedi a Londra e negli Emirati Arabi, “ma sempre con l’obiettivo di un eterno ritorno nei luoghi che ci hanno visto nascere, soffrire ed affermarci, perché l’amore e la passione che abbiamo ci muove alla presenza e cura della materia prima e dei clienti”, chiosa Pasquale, commiatandosi per nuovi viaggi e nuovi apprendimenti.
Leave a comment