Veronica Forchielli, classe ’91 di Fano…trascorre la sua infanzia a Piagge in provincia di Pesaro e Urbino, all’età di 14 anni proprio in questo territorio inizia a lavorare nella ristorazione. Negli stessi anni frequenta l’istituto alberghiero a Pesaro, lo termina nel 2010.
Subito dopo parte per la Francia e lavora la per un anno, ritorna e intraprende la strada delle stagioni in montagna, termina la sua prima stagione invernale e all’età di 23 anni decide di iscriversi all’accademia Marchesi a Milano. Finita l’accademia inizia la sua prima stagione da Chef a Madonna di Campiglio all’hotel Chalet del Brenta dopo 2 anni decide di ampliare la sua cucina.
Inizia così a lavorare nella Tenuta santi Giacomo e Filippo a Urbino, in un anno il ristorante inizia ad essere segnalato nelle guide, non contenta di ciò sente il bisogno di essere guidata da grandi Chef.
Cosi insiste per un anno a farsi assumere dal suo Chef icona Niko Romito.
Con grandi soddisfazioni prosegue con lui il suo percorso per 2 anni, a lui deve la sua più grande crescita.
La sua filosofia è che per diventare grandi occorrono grandi maestri.
FoodMakers l’ha intervistata….
Ciao Veronica, ci racconti come ti sei avvicinata alla cucina?
E’ stato semplice avvicinarmi alla cucina, a casa mia cucinano tutti dai nonni ai nipoti.
La cucina è da sempre stato il mio mondo! Da piccola mi divertiva cucinare tutto quello che mio padre portava dalla fattoria o dal campo, era un momento di incontro con tutta la famiglia.
La mia fortuna infatti è stata proprio questo: essere cresciuta in un ambiente sano e genuino dove tutto era allevato e coltivato in casa. Quindi posso affermare con certezza che questo stile di vita, queste mie radici abbiano gettato delle solide basi su cui ho fatto crescere e coltivato la mia passione: la cucina.
Sono dislessica e disgrafica per questo ho sempre sentito il bisogno di dover dimostrare agli altri che potevo farcela.
Ad oggi posso dire che quello che vivevo come un limite è stato poi la leva che con sacrificio ha alimentato la mia tenacia, la mia caparbietà; qualità che tutt’oggi mi accompagnano nel mio lavoro.
Ci racconti le tue prime esperienze in cucina?
I primi passi nel mondo della ristorazione li ho mossi a 14 anni, ero troppo piccola per stare in cucina così mi sono avvicinata inizialmente alla sala. Ma appena si chiudevano le porte del ristorante ne approfittavo per intrufolarmi in cucina.
Ero diventate esperta nel pulire cozze, gamberetti e seppie.
L’anno successivo, finalmente cominciai a lavorare in cucina con il mio primo maestro, chef Alberto Melagrana, lui era molto severo, non perdonava nessun errore, ma oggi col senno di poi, lo ringrazio per tutto ciò che mi ha insegnato. Tutto quello che so sul tartufo, ad esempio, lo devo a lui.
Da lì sono passata in altri ristoranti in giro per le Marche, fino a che un giorno decisi di frequentare “l’Accademia Marchesi” e così a 23 anni, subito dopo l’accademia, inizia la mia prima esperienza da Chef.
Devo riconoscere che gli esordi in questa nuova figura non sono stati facili.
Non scorderò mai un cenone alla vigilia di Natale in cui ricevemmo molte critiche da parte dei clienti che si alzavano da tavola scontenti ,Inizialmente mi feci sopraffare dagli eventi, ero a terra, ma poi capì che non dovevo abbattermi, dovevo reagire io e la brigata non potevamo fallire. Così dopo il servizio tornai in cucina e chiamai tutta la squadra, ci rimboccammo le maniche, lavorammo tutta la notte per preparare il pranzo di Natale, Il ricordo di quel giorno mi accompagna ancora oggi, nei momenti di sconforto ripenso ai complimenti che ricevemmo da parte di tutti i clienti e in quei momenti ritrovo la forza, capì che non stavo più giocando, che dovevo fare sul serio, che in cucina tanto dai tanto raccogli. Sai il nostro è un lavoro molto stressante, siamo molte ore lontani dai nostri affetti e il consenso da parte dei nostri ospiti è un aspetto fondamentale, forse l’unica vera gratificazione.
Hai detto “Mi piace un sacco essere donna in un mondo quasi tutto maschile!”, che intendevi dire?
“La cucina è nata dalle donne quindi la cucina è femmina!” Questa è la frase che Gualtiero Marchesi mi ripeteva continuamente. Ma l’unica donna del mio corso ero io!
Forse i ritmi frenetici, gli sforzi fisici, forse i grandi sacrifici, la femmina spesso è mamma e questo rende sicuramente la vita più complicata, sono tutti fattori che portano il mondo della cucina ad essere prettamente maschile.
Come ho accennato prima il lavoro nel mondo della ristorazione richiede tanto sacrificio: giornate interminabili, ritmo estenuanti, lavori nei canonici giorni di festività. Ecco tutto questo può essere difficile da conciliare con la famiglia se pensi ad una donna, ad una madre.
Durante le mie precedenti esperienze mi sono confrontata con poche donne, ma una in particolare la ricordo con affetto: Michela.
Ad essere onesta, non amo molto avere altre donne in cucina oltre a me. Mi spiego, penso che la donna abbia una forza e una determinazione che non sempre ho riscontrato negli uomini, però purtroppo queste qualità vengono spesso offuscate dall’eccessiva competitività che a volte c’è tra noi donne.
Ti assicuro che è più facile gestire degli uomini che delle donne in cucina!!
Ora collabori con lo chef Niko Romito, ci racconti quali sono gli insegnamenti che ti sta dando?
Chef mi ha insegnato più di chiunque altro finora e non solo in cucina. Due mie grandi difetti sono l’irruenza e il voler andare sempre di fretta. Con lui ho imparato a moderarmi nelle reazioni, mi ha insegnato la calma e la pazienza.
Lo ringrazio per aver creduto in me affidandomi l’apertura di ALT, una responsabilità grande quanto pesante.
L’ho sempre stimato, ho sempre pensato che fosse il numero uno e lavorandoci a stretto contatto posso dire che si è veramente così. Un numero uno!
Casadonna Reale è uno dei pochi ristoranti 3 stelle Michelin in Italia, com’è lavorare li e quali sono le differenze rispetto ad altri ristoranti dove sei stata?
Lavorare al Reale è stata una grandissima emozione, la cucina è fatta di persone che lottano tutti con lo stesso obbiettivo.
Una figura molto importante per me lì è stato Dino Como, il sous chef. Ha qualche anno più di me ma è lui che insieme allo chef si occupa di coordinare tutto il mondo di Casadonna.
La brigata di cucina è composta da circa 20 persone.
Poi ci sono i ragazzi di sala, io li definisco dei danzatori sapientemente diretti da Cristiana Romito, la sorella dello chef, affiancata dal sommelier Gianni Sinesi.
La vera e propria differenza rispetto agli altri ristoranti è la grandezza e la forza del gruppo, non dimentichiamo realtà come Spazio Milano e Spazio Roma, realtà a cui danno il loro contributo persone come Gaia Giordano, Stefano Decesare, Claudio Catino.
Il tutto sotto l’attenta direzione dello Chef.
Ha lavorato anche da ALT, qual è il segreto del vostro pollo fritto?
Il segreto del pollo fritto ha detto bene è un segreto!
L’arma vincente di quel pollo è lo studio e la tecnologia, cuoce prima a vapore, poi si lascia maturare per una settimana e poi appena arriva in cucina la comanda si frigge a pressione in soli 7 minuti.
Si contraddistingue rispetto ad altri per l’umidità e la succulenza che ha all’interno, insolita per essere una carne bianca di pollo senza grassi aggiunti.
Qual è la tua filosofia in cucina?
La mia filosofia è legata alle mie origini, mi piacciono le cose semplici, vere. Non amo usare ingredienti inutili come fiori eduli ecc…
Le materie prime ricercate con cura e selezionate attentamente, Sicuramente la mia è una cucina semplice e vera. Una cucina fatta di piccoli allevamenti, fatta da pastori ,da contadini perché in fondo è proprio da lì che vengo. Forse è ancora presto per definire il mio stile di cucina ma è proprio lì che voglio arrivare e non ho scelto a caso Niko Romito.
Sei marchigiana, qual è il piatto della tradizione a cui se più legata e perché?
Il piatto al quale sono più legata sono i cappelletti in brodo di cappone. Perché a casa quando si mangiavano e si mangiano i cappelletti era ed è festa. Cappelletti in brodo significa tutte le donne della famiglia e del vicinato che si riuniscono, significa famiglia, significa Natale, festa!
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto… in realtà non lo so ancora o meglio non mi è mai piaciuto fantasticare troppo, con umiltà preferisco stare con i piedi per terra.
Ovvio però che il mio futuro lo vedo in cucina, lo vedo sui libri, a studiare, a ricercare per poi sperimentare, reinterpretare, lo vedo e lo spero sempre più in crescita, tenendo sempre i piedi ben saldi, ricordandomi sempre da dove vengo e quali sono i miei valori gastronomici.