I venti di guerra che soffiano sull’Europa in queste ultime settimane, hanno determinato, oltre all’orrore a cui quotidianamente stiamo assistendo, una situazione di grave difficoltà nel settore agroalimentare del vecchio continente, legata alle produzioni cerealicole di Russia e Ucraina.
Quella che da più fronti è stata interpretata come una “emergenza grano” va ad incrementare una situazione resa già in precedenza pesante dai forti rincari dell’energia elettrica e del gas che da prima della fine del 2021 stanno mettendo a dura prova aziende e consumatori.
Sotto gli occhi di tutti le file ai supermercati per accaparrarsi prodotti a base di grano, che sarebbe destinato a scarseggiare, e il conseguente aumento dei prezzi degli stessi.
Per cercare di orientarci in questo caos che sta coinvolgendo un po’ tutti, abbiamo sentito Antimo Caputo, del Molino Caputo di Napoli. Azienda leader nella produzione di farine destinate principalmente ai prodotti lievitati e di pasticceria.
Dott. Caputo ci aiuti a capire meglio cosa sta succedendo nel suo settore.
Stiamo vivendo un momento molto complesso che ha messo in luce le difficoltà del comparto.
Il settore molitorio si trova in una posizione di frontiera di fronte a questi grandi cambiamenti nel mercato dei cereali.
Veniamo da due anni molto difficili a causa del Covid, nei quali abbiamo già subito trasformazioni e aumenti. Questa guerra sta generando un amplificarsi di tutti questi fenomeni, determinando un aumento del costo della materia prima, nell’ordine del 60/70%.
Questo è un dato che mette a rischio la vita delle imprese stesse.
C’è davvero il rischio che il grano venga a mancare?
No, siamo tranquilli per le forniture di grano, perché per fortuna l’Europa è il più grande produttore di questo cereale al mondo.
Grano e farina ci sono, non corriamo rischi. La Guerra tra Russia e Ucraina ha causato il blocco del flusso del grano che proviene da quella zona. In particolare, dal Mar Nero e dal Mar D’Azov, dove ci sono porti dai quali passa più o meno il 30% del frumento che viene distribuito nel mondo.
Il nostro molino non compra da questi paesi. Ma il mondo del grano è talmente interconnesso, che la sottrazione a livello mondiale di questa percentuale di fornitura ha influenzato il suo costo a livello generale.
Altri due paesi europei, Ungheria e Bulgaria, grossi fornitori di grano soprattutto nel nord dell’Italia, hanno a loro volta bloccato le esportazioni per paura di restare senza scorte, in caso di un protrarsi eccessivo di questo conflitto.
Questa operazione ha fatto calare ancor di più la quantità di grano in circolazione e potrebbe aver generato delle difficoltà in qualche molino.
La situazione del Molino Caputo?
Noi ci stiamo riorganizzando per affrontare l’emergenza. Stiamo anche cercando fornitori alternativi, perché è saltato tutto il sistema contrattualistico che regolava il commercio del grano a causa dell’aumento sproporzionato dei costi.
Essendo noi la cerniera di filiera tra il mondo agricolo, che produce il grano, e l’artigianato che lo lavora, siamo quelli su cui gli aumenti impattano in maniera più violenta.
L’unica cosa positiva forse è che il settore molitorio, solitamente un po’ in ombra, in queste settimane è venuto un po’ più alla luce.
Dall’altro lato, il momento difficile ha portato a galla la debolezza del sistema Italia. Perché noi non abbiamo riserve strategiche di grano, abbiamo un sistema logistico poco efficiente, se non per quello marittimo.
Questo deve far riflettere e indurre a studiare come migliorare la nostra condizione. Ma soprattutto come potenziare il sistema dello stoccaggio in Italia, così da poter creare per il futuro, delle riserve importanti.
Quali saranno quindi le conseguenze maggiori per l’Italia, considerando che a quanto pare, non abbiamo realmente un problema di scorte?
L’Italia risentirà di questa situazione soprattutto dal punto di vista economico a causa dell’aumento dei prezzi. Perché il sistema molitorio italiano importa il 60% di quello che macina.
In Italia non si produce grano a sufficienza in quanto questo cereale necessita di una coltura estensiva mentre l’Italia è bloccata su colture intensive.
Abbiamo sempre importato grano tenero da nazioni come Germania, Polonia, Bulgaria, Romania, Serbia, Croazia.
Ma dietro a questi aumenti dei prezzi così elevati, c’è speculazione?
Purtroppo, il grano viene trattato anche sui mercati finanziari, i quali hanno più che raddoppiato il valore, dando vita ad una certa bolla speculativa. Ma guardando anche i mercati reali, ci rendiamo conto che purtroppo, l’aumento corrisponde allo stato delle cose. Perché effettivamente abbiamo le riserve più basse degli ultimi dieci anni, e l’attesa di semina più bassa per l’effetto guerra, dettata dall’incertezza sulle produzioni future dei due paesi coinvolti e sull’eventuale embargo della Russia.
È la paura determinata da tutti questi fattori ad aver causato i forti aumenti dai quali purtroppo difficilmente si tornerà indietro.
Quanto durerà secondo lei questa situazione?
Non è facile fare previsioni. Il grano è un elemento che segue anche l’andamento dei raccolti quindi possiamo solo sperare in un buon raccolto per la prossima stagione. Purtroppo, ci siamo trovati al centro della tempesta perfetta.
Noi come Molino non abbiamo solo il problema delle forniture ma anche quello dei trasporti, dell’aumento dell’energia elettrica e degli imballaggi. Tutti gli elementi fondamentali per un’azienda come la nostra sono stati travolti dagli aumenti. È davvero un momento particolare.
Se avessimo avuto delle buone scorte, avremmo potuto fronteggiare lo stato attuale senza subire già da subito i forti aumenti?
Questo è il tema più importante con cui dobbiamo fare i conti. L’Italia, come già precisato, non ha riserve strategiche di grano.
Purtroppo, sono cambiati gli scenari nel settore della vendita e della trattazione mondiale dei cereali. Questo perché, i valori in campo sono altamente alterati, tanto da mettere a rischio la vita stessa delle aziende coinvolte.
Non c’è più nessuna certezza nell’acquisto delle forniture, che potevamo avere fino ad un mese fa, e che era precedentemente garantita dai rapporti consolidati tra i contraenti.
Sappiamo che il conflitto coinvolge direttamente Russia e Ucraina, ma anche noi stiamo vivendo una sorta di economia di guerra. Può succedere di tutto, in questo momento, perché è stato messo in crisi il nostro modello occidentale di business.
L’Italia dovrà rivedere alcuni parametri, acquisire riserve strategiche, modernizzare i sistemi di stoccaggio.
Solo l’Italia sta vivendo queste difficoltà legate al commercio del grano?
No, le stanno vivendo un po’ tutti, e in alcuni paesi ci si è anche ribellati agli aumenti eccessivi. Noi forse subiamo un po’ di più il momento perché siamo il paese dell’arte bianca, della pizza, dei dolci, utilizziamo più farina.
Devo dire che fino allo scorso anno le quotazioni dei cereali erano bassissime e non rendevano economicamente sostenibile la nostra agricoltura. Quindi un riequilibrio dei prezzi è auspicabile soprattutto per favorire il settore agricolo. E se vogliamo trovare un lato positivo, da questa situazione potrebbe derivarne un maggiore stimolo per gli agricoltori a coltivare anche i terreni abbandonati.
D’altro canto, un aumento di poche decine di centesimi sul prezzo finale di un kg di farina, per esempio, sarebbe molto importante nel sostegno del settore agricolo, e non dovrebbe comportare un grosso spostamento nell’economia delle famiglie.
Siamo un paese che basa la sua tradizione culinaria sui cibi che derivano dai cereali e che restano tutto sommato abbastanza sostenibili, e possono aiutare ad alimentare la nostra economia interna.
Cosa ci può dire sulla polemica degli ultimi giorni sugli aumenti legati all’altro grande prodotto italiano che è la pasta? Alcuni produttori, che nonostante dichiarino in etichetta di usare grano italiano, si sono giustificati attribuendo la colpa della situazione alla guerra. Lei cosa pensa?
Innanzitutto, mi corre l’obbligo di sottolineare che noi come azienda trattiamo grano tenero mentre le aziende che producono pasta trattano grano duro.
La mia idea è che gli aumenti, per quanto riguarda i pastifici, più che alla mancanza di grano, siano legati allo sciopero dei trasportatori che per un periodo abbiamo subito e che ha spesso lasciato vuoti anche gli scaffali dei supermercati. Sciopero che è stato causato dall’aumento del prezzo gasolio.
Non ci sono stati però reali difficoltà di approvvigionamento legati al grano duro. Certo, i problemi legati al grano tenero, hanno potuto in lieve percentuale creare un po’ di confusione anche del settore di quello duro, ma non si tratta della stessa materia prima. E soprattutto bisogna precisare che Russia e Ucraina non producono grano duro.
Quindi possiamo tranquillamente affermare che l’aumento dei prezzi nella produzione della pasta è legato soprattutto al rincaro del gas di cui i pastifici fanno largo uso, tanto che qualcuno ha addirittura sospeso l’attività.
Quanto è complicato in questa specie di “economia di guerra” gestire un’azienda?
Oggi la questione costi per un’azienda è diventata davvero difficile. Ogni giorno si lotta con i fornitori per avere la merce, senza possibilità di trattare sul prezzo, e anche questo, genera ulteriori aumenti. Non eravamo preparati ad una cosa del genere e questo ci ha causato grosse difficoltà.
Però possiamo affermare che non c’è una vera crisi del grano?
Non c’è crisi del grano, perché l’Europa come già detto è il più grande produttore di questo cereale. Quello che ci crea difficoltà è il generale aumento dei prezzi che inevitabilmente si tramuta in un aumento del costo dei prodotti di cui non si può fare a meno, se non si vuole rischiare la vita delle aziende.
Il Molino Caputo sta scontando prezzi del mercato folli, pur di garantire qualità ai propri clienti così come ha sempre fatto.
Non ci resta che sperare che la guerra per ovvi motivi finisca presto. Oltre a porre fine alla tragedia umanitaria, questo determinerà un allentamento delle tensioni sui mercati.
Speriamo anche nell’abbondanza e nella qualità del prossimo raccolto per far si che tutte queste condizioni possano riequilibrare le future compravendite.