La città di Napoli è un crocevia culturale, traboccante di vitalità, un teatro infinito che va dalla scena alla strada e viceversa, in un processo di ininterrotta genesi creativa: la storia che stiamo per raccontare riguarda solo apparentemente un ristorante, ‘A FIGLIA D’’O MARENARO, e della titolare Assunta Pacifico, mentre è in realtà intessuta di tradizione identitaria locale, mai sconfinata nell’oleografia o nella celebrazione referenziale.
LA STORIA
Donna Assunta è, mutuando derivativamente il nome del proprio locale, “a figlia do marinar”, ovverosia di papà Raffaele, detto Papucc, figura ieratica ed alchimista gastronomico, originario di Porta Capuana, precursore dello street food, con il suo carretto itinerante, come in una guache d’epoca in bianco e nero, insieme alla inseparabile coniuge Maria, soprannominata “l’acquaiola”.
Raffaele era dunque capace con il suo “bror e purp” – brodo di polipo caldo – di guarire malanni e contemporaneamente di deliziare gli avventori, con sapori primordiali ed insieme stratificati, negli anni difficili e travagliati dell’immediato dopoguerra, in un quartiere in itinere, al centro di traffici e commerci, ma sempre pervicacemente ancorato al proprio retaggio antropologico.
Poi il passo coraggioso della coppia, l’apertura del locale originario negli anni sessanta, una piccola bottega alle spalle del luogo ove era solito posizionarsi con il proprio chiosco, sullo sfondo i viluppi commerciali di una città in fermento, i primi filobus che fendevano le arterie stradali, e le fermate che ne disegnavano il reticolo urbano.
L’apprendistato di Donna Assunta al bancone delle cozze, affianco alla madre, su di uno “scannettiello” (in dialetto partenopeo la panca di appoggio) per elevarsi e riuscire a collaborare nel lavaggio dei piatti e nell’apertura dei mitili, la volontà che tracimava nell’ingegno, la compassione che si evolveva nella solidarietà, quando si allontanava furtivamente, sfinita, per cibarsi di una pizza a lei offerta dal commerciante a un dipresso, il sentirsi accolta ed amata in un luogo avito.
IL PRESENTE
Il resto è storia recente, l’evoluzione commerciale consistente nell’apertura del locale a suo nome su Via Foria nei primi anni novanta, l’arte ed esperienza sviluppata nella selezione del pescato, l’avocazione a sé dell’intera gestione, i contratti di fornitura esclusivi con pescherecci per garantire la continuità di approvvigionamento – nel rispetto ovviamente del fermo biologico, e della stagionalità di provenienza – il consolidamento del brand, con la zuppa di cozze a costituire da trait d’union del proprio menù, variabile a cadenza quotidiana.
Fulcro del proprio successo ed affermazione, l’indispensabile sinergia con il marito Nunzio, alla cassa e gestione amministrativa, ed il coordinamento dei tre figli Giuseppe, Maria e Carmela.
il primo maitre e talentuoso sommelier, e le altre due responsabili dell’impegnativo settore dell’e-commerce del locale, con merchandise derivativo, e prodotti gastronomici brandizzati, spesso per il tramite di licenza d’utilizzo esclusiva, con un totale di dipendenti impiegati di circa 70 unità, fra cucina e sala.
LA SIGNORA ASSUNTA
Incontriamo la signora Assunta in una assolata mattina d’inizio Febbraio, alla presenza della propria addetta stampa e responsabile della comunicazione Annacarla Tredici.
il Museo Archeologico Nazionale e l’Orto Botanico cittadino costituiscono due coordinate logistiche di straordinaria qualificazione per Via Foria, un’arteria troppo spesso trascurata dalle Autorità amministrative.
Incredibile il colpo d’occhio delle vasche esterne accoglienti crostacei big-size come king crab norvegesi, granseole veraci, astici blu e canadesi, l’inconfutabile gioiosa fascinazione degli interni, un tripudio di colori, di foto celebrative, di allegorie familiari – superbo il presepe con i pastori personalizzati – e di suppellettili di stile marinaresco.
L’obiettivo futuro della gestione aziendale, è quello di elevare il brand ‘A figlia d’’o Marenaro a vero e proprio paradigma commerciale di qualità ed efficienza, con un grande risalto al profilo comunicativo. Da un lato, implementando i controlli sulla provenienza del prodotto, con un sistema di rilevazione elettronica che consenta di tracciarne la filiera di appartenenza e distributiva, dall’altro, attraverso l’avvento della “terza generazione” della famiglia, creando delle partnership con produttori d’eccellenza regionali, non trascurando il profilo della distribuzione, con contratti di collaborazione anche con colossi dell’e-commerce per garantire spedizioni sollecite, sulla scorta della consapevolezza che la cultura gastronomica possa veicolarsi nei modi più variegati.
LA DEGUSTAZIONE
Iniziamo la degustazione, grandissimo il risalto offerto, nella carta, ai crudi, con molluschi e crostacei vari, in assaggio una selezione di ostriche, delle selezioni gillardeau, belon, la divinè, prieur, e belo’n du belo’n, davvero sapide e freschissime, seguite da un plateau di scampi, adornati da alghe di mare, ghiaccio ed azoto liquido, davvero dalle dimensioni inusitate, di estrazione locale: si prosegue con il mitico signature dish, “a zuppa e cozzeche”, con gamberi, maruzzielli (lumache di mare), noci e tartufi, cannolicchi ed ovviamente taralli – anche questi da fornitura esclusiva – il tutto condito dal leggendario condimento brandizzato “o russ”, mix di olio d’oliva, pasta di peperoncino ed aglio, circonfuso da un’aura di mistero per quanto riguarda le modalità di preparazione.
Passando ai primi, in assaggio un gustoso risotto “riserva Carnaroli San Massimo alla pescatora”, perfetta la cottura, con chicchi amalgamati, e davvero abbondante e calibrata la guarnizione, con molluschi e crostacei prima scelta.
Maniacale la preparazione dei primi, come ad esempio nell’altra opzione, delle linguine Senatore Cappelli con scampi imperiali: per secondo assaggiamo del baccalà fritto con scarole, croccante, perfettamente dissalato, e con un contrappunto vegetale come tradizione esige, un connubio che è una vera goduria per il palato.
I pairing dei vini sono affidati alla versatilità ed intelligenza, come dicevamo, di Giuseppe Scicchitano, figlio di Donna Assunta, co-direttore di sala e responsabile dell’estesa cantina, oltre seicento le referenze disponibili.
Eterodosso e funzionale l’abbinamento, con la zuppa di cozze, del Lambrusco spumantizzato Brut Rose di Cantine della Volta annata 2015, insignito dei 3 Bicchieri Gambero Rosso, perlage fine e persistente per una grande duttilità di beva.
infine la Ribolla Gialla “Archetipi” dell’azienda friulana Puiatti del 2015, ideale sul risotto, note floreali di miele ed acacia in evidenza, una interessante acidità al palato che sostiene la struttura del piatto.