Laurel Evans è ben più di una ragazza americana arrivata in Italia per seguire il suo amore. Questo è accaduto nel 2004 e da allora ha fatto davvero tanta strada. Dopo aver lasciato il Texas, suo paese d’origine, nel quale ha conosciuto il regista e fotografo emilioscoti che è diventato suo marito e collaboratore, si è trasferita a Milano. Spinta dall’entusiasmo e dalla curiosità per il mondo enogastronomico, è diventata un’autrice di successo, un volto televisivo, una blogger professionale e una docente di cucina.

Negli ultimi anni, ha scritto ben quattro libri di ricette americane tradizionali. Dedicate ad un pubblico che spesso ha una visione non veritiera della cucina made in USA perché magari filtrata dagli schermi televisivi. Confrontandosi con la realtà locale, si è resa conto di quanto poco conosciuti e malamente imitati fossero i piatti identitari statunitensi che lei preparava fin da piccola, cucinando con sua madre nel ranch dove è cresciuta. Quando è arrivata a Milano, è stata conquistata dalla nostra cucina. Per questo ha deciso di approfondire le sue conoscenze in merito, sperimentando nuove ricette e facendosi coinvolgere sempre di più da questo mondo.

I suoi libri “Insolito muffin”, “Buon appetito America!”, “La cucina Tex-Mex” e “American Bakery”, sono dei veri e propri manuali, che dedicano un’attenzione particolare alla descrizione delle ricette, con dosi e procedimenti ben definiti, così che chiunque, anche coloro che non sono avvezzi a cucinare spesso, possano ottenere comunque ottimi risultati.

Nel 2009, Laurel Evans ha deciso di raccontare le sue esperienze in un seguitissimo blog. In unamericanaincucina.com e sul suo profilo Instagram, si resta incantanti dalle immagini delle ricette tipiche texane, dai classici Brownies con cioccolato al latte, ai Cinnamon rolls, dalle Ribes in pentola fino ai divertenti Corn Dogs, per arrivare anche ai piatti tradizionali italiani, come la Torta Pasqualina, o la focaccia genovese, che ben conosce essendo diventata Ligure d’adozione.

Ed è proprio di Liguria che parla nel suo nuovo libro, “Liguria: The Cookbook: Recipes from the Italian Riviera” che uscirà il 28 settembre. La prima cosa che colpisce il lettore è che, dalle pagine emerge un forte tratto emozionale. Laurel racconta di una famiglia avvolgente, importante, nella quale è cresciuta e che ha lasciato negli Stati Uniti. Trovandone un’altra qui in Italia, altrettanto affettuosa e presente. Traspare dalle prime righe che non si tratta di un semplice libro di ricette, ma di un vero e proprio racconto di vita vissuta. Che si intreccia alla preparazione dei piatti di un territorio che l’ha amorevolmente accolta e fatta sentire a casa.

Ho avuto il piacere di intervistarla.

Laurel, sei arrivata in Italia con tuo marito ben 17 anni fa. In questo tempo, hai svolto diverse attività, raggiungendo importanti e gratificanti successi. Sei una docente di cucina, una blogger, ti sei occupata di grafica per un’importante rivista italiana. Hai partecipato e presentato dei programmi televisivi, oltre ad essere una mamma e una moglie che ama cucinare. Oggi, quale di questi impegni ritieni sia più nelle tue corde? Qual è quello che in futuro vorresti sviluppare ancora di più e che pensi ti darà maggiori soddisfazioni?

Sicuramente ciò che mi permette di esprimermi al meglio, è scrivere libri di cucina. Amo scrivere, ma non limitandomi a dare delle semplici ricette. Ciò che in realtà mi gratifica è seguire tutto il processo che porta alla nascita di un libro. Quindi la ricerca, il poter andare in giro a parlare con le persone, a scoprire nuovi territori, nuovi sapori e solo dopo, provare e testare le preparazioni. Una, due, tre volte, così da arrivare a conoscerle alla perfezione e capire esattamente la chiave per ottenere un risultato ottimale. Non solo per me, ma soprattutto per coloro che devono rifarle a casa, ai quali voglio trasmettere l’amore per le ricette tipiche, ma anche per un territorio. I libri che ho scritto sulla cucina americana in Italia hanno rappresentato un modo di portare un pezzo di Texas qui con me.

Con le prime pubblicazioni, ho voluto condividere l’amore per la mia terra d’origine, gli Stati Uniti, con gli italiani, che sono diventati i miei nuovi compaesani. E oggi, con il mio libro sulla Liguria, cerco di fare la stessa cosa al contrario. Quei sentimenti e quei sapori di questo nuovo mondo che mi ha accolto, l’affetto della famiglia che è diventata mia, tutte le emozioni che ho vissuto in questi ultimi anni, le racconto in “Liguria: The Cookbook” attraverso le mie parole, le ricette e le foto di mio marito.

Tu dici chiaramente che questa nuova famiglia, la passione che hai trovato, e la cultura che c’è all’interno della loro cucina ti ha aiutato a mitigare la nostalgia e a sentirti così più a casa, nonostante fossi lontana migliaia di chilometri. Insomma, ha fatto da ponte tra la tua vita precedente negli Stati Uniti e quella nuova in Italia. Facendo diventare la Liguria il tuo nuovo nido. In generale, oltre a questa regione, quali sono il luogo e la ricetta che ti rispecchiano di più, e che ami preparare per te e per i tuoi cari?

Io abito a Milano e mi piace tanto vivere in questa città, anche se andiamo in Liguria tutti i weekend. Ormai sono qui da 17 anni, quindi mi sento anche profondamente Milanese. Per questo motivo, uno dei primi piatti che ho cercato di imparare e che ancora adesso faccio spessissimo è il risotto. Lo preparo in svariati modi, perché un po’ come la pasta è molto versatile e si possono abbinare tanti sapori diversi. Rappresenta una carta bianca, che alimenta la mia creatività. Che poi, richiede una tecnica apparentemente semplice, ma è facilissimo sbagliare. Ecco perché mi cimento spesso, e non sono quasi mai completamente soddisfatta del risultato. Ma mi piace la sfida e cerco di migliorarmi ogni volta.

Noi italiani abbiamo una visione contrastante della cucina americana. Da un lato molto romantica, legata ai film, alle ricette goduriose, specie quelle dei giorni di festa. Da un altro la guardiamo con un po’ di diffidenza, forse perché molto ricca di contaminazioni che la rendono giovane, aperta alle innovazioni, alle personalizzazioni, ma che ci danno un’immagine di poca tradizione. Il nostro approccio è molto diverso, e tendiamo a voler conservare e diffondere un’idea di cucina statica e poco innovativa.  La ricetta storica, che si ritiene sia la più giusta, va preservata e non va modificata. Tu come ti sei posta davanti a questi estremismi del nostro modo di pensare?

Gli americani sono abituati alle contaminazioni perché rappresentano un crogiuolo di popoli. La nostra è una terra che ha accolto persone arrivate da tutto il resto del mondo, che hanno portato con sé culture e usanze diverse, nuovi ingredienti e le loro ricette, andando a formare una commistione incredibile. Anche noi abbiamo un forte legame col passato e con la tradizione. Però c’è anche tanta voglia di creare cose nuove, di usare ciò che la natura ci offre, di sfruttare appieno tutte le ispirazioni. Nessuna ricetta è “sacra” o intoccabile, perché tutto può cambiare, tutto si può mescolare, tutto si può migliorare.

In Italia c’è un po’ questo mito della nonna, come cucinava lei, non cucina nessuno. Per questo si tende a cercare la perfezione nel passato idealizzandolo, e non ci si proietta nel futuro. In realtà questo mondo è in continuo movimento e in continua evoluzione. Negli ultimi anni ci sono stati tantissimi miglioramenti, non solo nel trattamento degli ingredienti, ma anche nelle tecniche di cottura. Si è arrivati a concepire delle preparazioni, tradizionali e non, in modo molto più efficace e ottenendo una qualità dei piatti di altissimo livello, impensabile in altri periodi. Anche noi americani abbiamo delle ricette che riproduciamo fedelmente da sempre, però siamo un po’ più malleabili e per questo riusciamo ad innovare più facilmente. Dobbiamo entrare nell’ottica che è importantissimo tutelare la tradizione. Ma si deve anche considerare che la cucina è legata alla vita quotidiana, e quindi soggetta ad ampi spazi di cambiamento e crescita.

In diverse occasioni, hai voluto a mettere l’accento sull’importanza “dell’arrangiarsi in cucina”. Puntando sulla stagionalità e sulla qualità dei prodotti che vengono acquistati, sull’utilizzo delle spezie e su quello delle erbe spontanee. Questo genere di educazione alimentare, ti è stata inculcata nel tuo paese d’origine, il Texas, oppure è un qualcosa che hai trovato qui in Italia? Tu abitualmente dove fai la spesa?

Questo è uno stile di vita che ho acquisito in Italia. L’idea dei prodotti legati alle stagioni, andare al mercato e non comprare le fragole a gennaio, è una delle cose che ho imparato subito. L’America, qualche anno fa, era il paese degli eccessi e della disponibilità di qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Finché ho vissuto li, andavo al supermercato e trovavo vegetali di ogni specie in ogni periodo dell’anno, ed essendo molto giovane e non consapevole, non mi ponevo il problema della stagionalità. In Italia invece, questa cosa la vivi in modo forte e diretto. Ci sono delle ricette invernali che utilizzano ingredienti prodotti in questa stagione, e così quelle estive. Ed è naturale per tutti seguire la tradizione adeguandosi alla disponibilità dei mercati.

La frutta e la verdura sono molto più buone quando di stagione, e cresciute senza forzature. Da quando sono in Italia, ho imparato tantissimo andando a fare la spesa al mercato. Io abito vicino a quello ortofrutticolo di Viale Papiniano a Milano. Ho un mio banco preferito e ho creato un rapporto cordiale con il fruttivendolo, affidandomi a lui per gli acquisti e ottenendo sempre ottimi consigli.

Anche in America, negli ultimi anni, c’è più attenzione nei confronti di questi temi. Ecco perché credo che il mio libro abbia un significato molto forte in questo momento. Perché, per assurdo, la cucina ligure, che è legata a tradizioni molto antiche, ha alcuni canoni decisamente contemporanei. Le sue parole chiave sono le stesse in voga tra i foodies. La stagionalità, gli sprechi alimentari, il riuso e il riciclo, il consumare pochi prodotti di derivazione animale. Nelle ricette tipiche, sono sempre molto presenti gli ortaggi, la carne appare in modo limitato e difficilmente è la protagonista assoluta di un piatto. Le sottili fettine si utilizzano per preparare degli involtini ripieni. Oppure dei piccoli pezzi, spesso di parti meno pregiate, vengono usati giusto per donare un po’ di sapore ad altre preparazioni. Ben lontana dall’immagine che abbiamo noi americani della gigantesca t-bone quando pensiamo a questo cibo.

Il mio intento è quello di trasmettere un messaggio legato alla cucina sana, all’utilizzo di pochi grassi e preferibilmente salutari come l’olio extravergine d’oliva, al preferire le erbe spontanee e le spezie per aromatizzare e soprattutto al mangiare con piacere ma con la giusta moderazione.

“Liguria: the Cookbook” è rivolto ai tuoi lettori statunitensi ma non solo. È un libro di ricette ma anche uno spunto per vivere meglio, lasciandosi catturare dai racconti di vita vissuta che ispirano a riprodurre quelle preparazioni per cercare di trovare in esse le tue stesse emozioni. Sono spiegate passo per passo, ma ritieni sarà semplice riuscire a rifarle nelle cucine americane? Perché ormai tutti ci cimentiamo ma mica tutti siamo dei grandi chef ed è di grande soddisfazione sfornare un piatto perfetto partendo da una ricetta presa da un libro.

Ho cercato di fornire delle spiegazioni molto dettagliate, partendo dalle basi, tanto che, per gli italiani, alcune cose potrebbero essere ridondanti. Ma a parte quello, può essere piacevolmente letto e usato senza confini. Per me è particolarmente importante, che diventi un libro per tutti, e per questo ho usato degli accorgimenti affinché le ricette possano essere facilmente riprodotte anche in America. Ho scritto il libro durante il lock-down e non potendo andare lì per testarle usando gli ingredienti locali, come ad esempio la farina, (che purtroppo non poteva arrivare in Italia), mi sono avvalsa della collaborazione di una “recipe tester” che ha fatto tutte le prove per me, con le dosi indicate precise e convertite, soprattutto dei prodotti da forno un po’ più impegnativi, compresa la focaccia genovese.

Ritengo sia essenziale fornire delle ricette che funzionino, che siano spiegate bene e soprattutto alla portata di tutti. Sembra una banalità dirlo così, perché è una cosa logica. Invece può capitare che si trovino dei bellissimi libri di cucina, con foto di grande effetto ma con ricette sbagliate. Poi purtroppo, soprattutto in Italia, nei manuali si trovano molti passaggi che si danno per scontati, e per capirli si devono avere già delle basi. Mentre ci può essere chi non ha idea di cosa significhi “montare a neve un albume” o quale strumento utilizzare per farlo. Ecco perché io, descrivo tutto in modo dettagliato.

La pandemia Covid ci ha cambiati e ha cambiato le nostre vite. Tu durante questo anno di transizione e di fermo, sei riuscita a creare qualcosa di bello scrivendo il tuo libro. Parlami di lui, cosa ti ha ispirata?

È da quasi 15 anni che penso di scrivere un libro per l’America per parlare della mia esperienza in Italia e della vostra cucina, ma ero bloccata dal non sentirmi ancora pronta e sufficientemente preparata su questo argomento. Ero più a mio agio a raccontare la cucina americana, perché l’ho vissuta e imparata sin da piccola, acquisendo maggiore competenza e una sorta di autorevolezza.

Raccontare la cucina italiana e non solo in America, è complicato anche perché c’è tantissima concorrenza, e non essendo italiana di nascita, non mi sentivo all’altezza. Ma il vivere qui, mi ha dato la giusta energia per fare questo passo. Le idee si sono schiarite e ho parlato esattamente di ciò che sapevo e che ho vissuto in prima persona. Questo mi ha permesso di fare il grande passo e di affrontare la sfida attesa tanti anni, firmando con la mia casa editrice. La mia famiglia italiana, con le zie, che in realtà sono delle nonne per i più giovani, mi ha accolta e loro, da buone matriarche mi hanno insegnato e muovermi nelle cucine, regalandomi conoscenza e infondendomi una grande passione.

Sono molto emozionata, esattamente come lo ero per il mio primo libro pubblicato in Italia. Questo è il mio esordio negli Stati Uniti, che rappresentano una sorta di terreno vergine, e sono molto curiosa di vedere come il mio lavoro sarà accolto.

Come abbiamo già evidenziato, sei una professionista molto impegnata, ma quando non cucini e non stai lavorando come ti piace passare il tuo tempo?

Non ho tanti Hobbies perché quelli che erano i miei passatempi, si sono trasformati in lavoro, quindi è tutto un po’ mescolato. Però diciamo che quando sono in vacanza sto con la mia famiglia e i miei bambini di 8 e 6 anni. In Liguria, se ho del tempo libero, mi piace fare delle lunghe passeggiate su per i monti e nei boschi. E poi, ogni tanto, suono la chitarra.

Sara Sanna

Ho 49 anni e abito in Sardegna. Ho lavorato come tecnico del restauro archeologico prima, poi, come guida turistica e operatrice museale presso la "Fondazione Barumini Sistema Cultura" che si occupa della...

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