Un post trovato in rete qualche giorno fa mi ha spinto ad una riflessione sul settore dei giornalisti enogastronomici,“foodwriter”, foodblogger o come si chiamano.
Antonio Lucifero, amministratore di un gruppo, nonché owner di Foodclub, poneva in un post una domanda lanciando una sorta di sondaggio tra i seguaci dei millemila siti, pagine e gruppi di food addicted.
La domanda posta ai lettori era quale fosse il loro autore di food preferito.
Da quel giorno non riesco a non pensare a questo quesito, indipendentemente dal risultato del sondaggio che, mea culpa, ammetto di non aver più seguito.
La risposta che a me è venuta subito in mente leggendo quella domanda è stata quanto meno singolare e per questo ho deciso di condividerla.
Si, perché mi sono resa conto di non avere un autore di food preferito e per un motivo molto semplice: li trovo noiosi.
Ora, voi mi direte, tu fai parte della redazione di un giornale che da anni parla di food, quindi di cosa stiamo parlando? Ok, non avete tutti i torti.
Per non essere fraintesa devo dire che non tutti mi annoiano mortalmente, ci sono cose che mi piace leggere, vuoi per curiosità vuoi per voglia di accrescimento culturale, vuoi perché sono effettivamente interessanti e meritevoli, ma c’è tanto, troppo che a mio parere ad oggi ha stancato.
Davvero qualcuno di noi trova ancora interessanti le classifiche?
La classifica del miglior panettone ha appena abbandonato questi schermi e già all’orizzonte si scorge quella delle migliori colombe che si preannuncia, in questa seconda Pasqua in pandemia, particolarmente agguerrita e improbabile.
Parliamo di pizze?
Si parte dalla classifica di quelle con la miglior foglia di basilico, per arrivare a quella delle pizze più menzionate su Topolino.
Qualcuno, oltre ai diretti interessati (leggasi pizzaioli) le legge o ne sente la necessità?
E chi le legge le ritiene davvero attendibili?
Per non parlare di quelle dei panini, della pasta e fagioli con le cotiche, e dei migliori ananas (da mettere sulla pizza, ca va sans dire).
I blog?
Tanti, tantissimi, troppi.
Alcuni fatti bene, anche interessanti, altri vetrine di personaggi che giocano a fare gli influencer. Tanti piccoli “Ferragni” in cerca di autore che cavalcando un’onda anomala rischiano piuttosto di spazzare via un settore.
Dopo un annus horribilis che ha segnato in modo indelebile le nostre vite, trovo terribilmente noioso, e un tantino fuori luogo, continuare a parlare sempre delle stesse cose.
E potremmo non soffermarci unicamente sulle “utilissime” classifiche ma andare a spulciare nelle recensioni/schede/consigli per gli acquisti per capire che anche lì la situazione, molto spesso, non cambia.
Il mondo del food, fatto di ristorazione, di produttori, distributori, così come tutto il settore dell’accoglienza è tra quelli ad aver sofferto maggiormente la crisi dettata dall’emergenza sanitaria mondiale ed effettivamente avrebbe bisogno di un sostegno, di una spinta per provare a rialzarsi quando, a dio piacendo, la pandemia allenterà la morsa e potremo riappropriarci delle nostre vite.
Il giornalismo enogastronomico è chiamato come non mai a fare da supporto, a offrire una spalla al settore ma probabilmente in un modo meno sterile, meno autoreferenziale e più costruttivo, attraverso il racconto, la narrazione, la valorizzazione dei prodotti e delle competenze, insomma parlando di contenuti, lasciando da parte tifoserie e trofei (che poi veramente esisteva il trofeo di una birra, tanto per restare in tema).
D’altra parte non si era detto che la pandemia ci avrebbe cambiati rendendoci migliori?
Invece la sensazione che rimane guardandosi intorno è che tutto sia rimasto immutato e che si è persa la grande occasione di resettare tutto.