Carlo Capuano custodisce, all’interno del proprio ristorante Sartù in Napoli, quartiere Vomero, una straordinaria biblioteca eno-gastronomica, aperta alla libera consultazione.
L’alimentazione è una storia di scambi culturali, ha sempre sostenuto Carlo Petrini, leggendario fondatore del manifesto programmatico Slow Food, poi evolutosi in un’associazione non profit di caratura internazionale.
Tale parafrasi è divenuta un vero e proprio viatico per l’attività di Carlo Capuano, titolare del ristorante “di territorio” Sartù, fortemente vincolato ai prodotti dei vari presidi slow food menzionati, anche luogo di allocazione di una straordinaria biblioteca di oltre millecinquecento volumi, dal medesimo personalmente curata e dedicata alla conservazione e valorizzazione dello straordinario retaggio culturale eno-gastronomico nazionale e mondiale.
Lo abbiamo incontrato per una chiacchierata informale, in attesa dell’agognata riapertura successiva al perdurare dei costringimenti Covid, distogliendolo dalla sistemazione e catalogazione di tale estesa propaggine del proprio locale, e delle nuove referenze della contigua – ed estesa – cantina, oltre duecento le referenze disponibili, selezionate dal proprietario.
- Carlo buonasera, e grazie della disponibilità e tempo che ci concedi, immagino sia un periodo difficile, ma mai demordere. Ci conosciamo già da qualche anno, anche se non immaginavo ti fossi dedicato con tale pervicacia e costanza all’ampliamento di questo aspetto della tua attività, che del resto è abbastanza inusuale.
Ti ringrazio Carlo, diciamo che la biblioteca è una mia idea primigenia, nel senso che è stata fondata contestualmente all’apertura del locale, e con il passare degli anni si è arricchita di conferimenti da parte di privati – amici e clienti – acquisti personali e donazioni.
Ovviamente l’argomento unificante è la cultura eno-gastronomica tout court, con uno scopo segnatamente divulgativo, essendo aperta alla libera consultazione da parte di privati ed operatori del settore.
Ne coordino la fruizione con l’attività del ristorante, che come sai bene è fortemente legato, nelle preparazioni in carta, alla riscoperta di ricette tradizionali ed all’utilizzo di prodotti di territorio, che ne esaltino la bio-diversità, nel contesto di un’agricoltura sana e sostenibile.
- Di quanti volumi si compone la biblioteca, e che tipologia di pubblicazioni annovera?
Siamo arrivati a circa millecinquecento tomi, fra monografie, libri fotografici, manuali di cucina, ricettari, e probabilmente quello che è il settore di cui vado più fiero, ovverosia i libri d’epoca, che spesso provengono da aggiudicazioni d’asta, a cui ho partecipato personalmente.
Non mancano ovviamente i periodici, magazine e riviste di settore, a cui sono abbonato, come ad esempio il “Gambero Rosso”, “La civiltà del bere”, Spirito diVino”, “Cucina a Sud”, di cui posseggo intere serie, oltre ad un’imponente raccolta di menu storici, stampe antiche e serigrafie, sempre a tema enogastronomico, enologico, con manuali delle più importanti sigle di settore.
- Se dovessi menzionare dei titoli a cui sei particolarmente legato, che tipologie di scelte faresti in tale novero così ampio e variegato?
Di sicuro quelli concernenti la scaturigine, e genesi creativa, della nostra cucina partenopea, stratificata e pregna di influenze come poche al mondo.
Dunque i tre volumi fondanti, cioè il “Cuoco galante” di Vincenzo Corrado, la “Cucina Teorico Pratica” del Cavalier Ippolito Cavalcanti, e “La cucina napoletana” di Jeanne Carola Francesconi, tre straordinari contributi che mi piace immaginare in lettura sinottica e cronologica, che hanno definito le coordinate “antropologiche” e culturali della nostra cucina.
Non posso non menzionare, infine, la stupenda e preziosa edizione de “I Vini d’Italia” di Luigi Veronelli, in un’edizione d’antan che include le riproduzioni litografiche delle etichette, delle aziende vinicole più importanti della nostra penisola, insomma la storia enologica.
Ovviamente, ci sono volumi che rappresentano dei doni unici di amici personali, come Toti Lange, presidente dell’Accademia Partenopea del Baccalà e grande intellettuale, e Sergio Brancato, docente universitario e sceneggiatore dell’adattamento a fumetti della serie del Commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni.
- Quale ritieni che sia il contributo, anche nelle implicazioni operative, che la lettura e conoscenza di tali opere può apportare agli chef moderni e personale di sala?
Ho sempre sostenuto, da un lato, che le più forti limitazioni all’impostazione professionale degli chef sono di natura logistica, nel senso che il perimetro delle mura della cucina può fungere da limite di accrescimento ideale, e sono consapevole che gli strumenti culturali fungono da chiavi di volta per superarlo. Dall’altro, che la riscoperta filologica di un piatto non può mai dirsi totale, nel senso che la metodologia di preparazione viene necessariamente influenzata dalla temperie del momento, il nome del mio ristorante è mutuato da un piatto storico, composto da riso, che una volta veniva guarnito con interiora e “quinto quarto”, difficile da riproporre oggi, attesa la modificazione dei gusti dei clienti.
Insomma, il gusto è sempre in qualche modo sincretico, frutto di più fattori convergenti, e la formazione è sempre orientata da opzioni culturali.
- Concludendo, quali sono i tuoi progetti futuri, ed attività promozionali di cui vorresti farti portatore con la tua biblioteca ed il tuo locale?
Anzitutto, spero che presto, contemperando ovviamente le esigenze della tutela della salute pubblica e del rispetto dei protocolli di sicurezza, possa procedersi alla riapertura dei ristoranti, e del mio Sartù.
Per ciò che concerne la biblioteca, sto organizzando la catalogazione dell’intero corpus, anche per aree tematiche, in modo da facilitarne la consultazione, e magari crearne dei percorsi di lettura interni, alla stregua di link iper-testuali.
Infine, ho una sala privata, che mi piacerebbe dedicare ad incontri magari con chef e produttori, serate tematiche – le ultime, prime della pausa del lockdown, sono state dedicate all’olio extravergine d’oliva ed alle tipologie di acqua da abbinare – anche coinvolgendo amici giornalisti, sulla scorta della consapevolezza che la divulgazione è condivisione, ed il prodromo di scelte consapevoli e ragionate, un mondo migliore può ottenersi solo attraverso dei consumatori maturi e qualificati.