Ciao Marco, come ti sei avvicinato alla cucina?
Fin da piccolo la trasformazione del cibo è sempre stato un processo che mi affascinava tantissimo. Quando mio nonno cucinava il pesce , mia nonna le polpette, l’altra nonna (Americana) che amava fare dolci di tutti i tipi ma soprattutto torte americane. Mi sono maturato dal liceo un anno in anticipo, avendo fatto la primina, e da subito sono partito da Roma per andare a studiare nelle marche, a Camerino, dove ho provato per 2 anni ad entrare nella facoltà di veterinaria a Matelica ma senza successo. Nel frattempo studiavo Biotecnologie ma senza passione ne’ voglia. Per guadagnare qualcosa durante questi due anni mi trovai subito un lavoro, in un piccolo ristorante locale. Mi innamorai subito della praticità e concretezza di questo lavoro. Da li a poco mi trovai al Gambero Rosso a Roma per fare la scuola professionale da cuoco dando l’inizio al mio percorso professionale.
Hai girato parecchi in Italia ed all’estero, quali esperienze hai fatto?
In Italia ho iniziato nelle Marche, sono tornato a Roma per la scuola al Gambero Rosso, fatto stage con Angelo Troiani al Convivio e poi lavorato con Luca Ogliotti che ai tempi era l’executive chef del Gambero Rosso. Dopo 2 anni a Roma sono tornato nelle Marche ,a Fabriano , al “Marchese del Grillo”. Otto mesi dopo andai a Milano in un grande catering (AFM banqueting) dove grazie allo chef Antonio Marangi ho passato degli anni di crescita professionale incredibile. Da catering enormi (fino a servire 35 mila persone a Monza durante il GP di formula1) a cene private per case di moda ( Miuccia Prada, Donatella Versace ecc…) fino a mandarmi nuovamente a Roma per fare un’apertura di un ristorante in centro.
Nel 2012 sei stato a New York ha fatto esperienze da Cipriani e con Sirio Maccioni, cosa ti hanno lasciato?
Nel 2012 sempre tramite conoscenze, dal catering a Milano ho avuto la possibilità di andare a fare l’apertura di un piccolo ristorante Siciliano a New York. Mi trovai subito malissimo con la proprietà assente e lunghe attese per ricevere stipendi. Approfittando della mia doppia cittadinanza lasciai dopo 3 mesi la posizione ma decisi di rimanere e fare un po di esperienza nella grande mela. Mi proposi a Cipriani perchè sapevo avesse un ottima nomea in citta’. Mi presero a lavorare il giorno stesso. Iniziai dal ristorante più “Upscale” su Wall Street ma mi dedicai molto anche ai loro voluminosi catering.
Qual è, secondo la tua esperienza, il piatto più rappresentativo del New York kitchen style?
Uno dei piatti piu richiesti in città era la famosa quanto infamata Alfredo sauce. Mi incaricai di mettere sul menu “the real Alfredo sauce”, uno spaghetto burro e parmigiano (senza panna ne’ proteine aggiunte) chiuso con una cialda di pepe e parmigiano. Molto apprezzato ma fin troppo spesso veniva chiesto di aggiungere pollo o gamberetti al piatto.
Solo sei mesi dopo, uno chef stellato Italiano mi contattò su Facebook dicendo letteralmente che avevo 2 settimane prima di andare con lui ad aprire Sirio Ristorante al Pierre Hotel. Mi rimboccai le maniche per la nuova avventura e rimasi un anno e mezzo in Albergo prima di spostarmi per aprire un nuovo progetto della famiglia Scotto a New York con 2 locali, uno a Grand central ed uno a Times square. Fu’ un esperienza molto divertente e faticosa ma di li’ a poco la mia storia si fuse con quella della mia compagna di vita e di lavoro Dalila Ercolani. La nostra storia parte dai nostri nonni, entrambi medici emigranti in America, sposano Americane e le rispettive figlie riemigrarono in Italia a 20 anni sposando Italiani e crescendo noi figli in Italia, a Roma. Le nostre famiglia sono rimaste sempre in contatto tra una cosa e l’altra ma il vero ricongiunginento ci fù tra me e Dalila nel 2014 quando dopo una sua vacanza nella grande mela ci siamo ricontattati su Facebook e di li a 4 mesi vivevamo insieme in un piccolo Studio nell’upper east side di New York.
Ogni domenica organizzavamo una cena a casa nostra che postavamo in vendita su siti online. In meno di due mesi abbiamo dovuto lasciare entrambi I nostri lavori per accontentare un’incredibile richiesta di cene. Siamo finiti su articoli del Wall street Journal, del New York times ed anche in televisione nazionale su ABC news e Good morning America. Abbiamo servito piu di 2000 persone nel nostro studio apartment, facendo partire il nostro Brand “Casa Maestoso“, e di conseguenza ricevendo varie offerte per aprire un vero e proprio ristorante.
Poi Casa Maestoso con la tua compagna Dalila Ercolani, come nasce l’’idea?
Nella volontà di riuscire ad aprire più da soli che con investitori abbiamo scelto di tornare in patria a Roma ed aprire lì Casa Maestoso. Dovevamo aprire a piazza Navona ma svariati problemi ci portarono a cambiare location per aprire a Ponte Milvio. Siamo rimasti 2 anni e mezzo. Le cose andavano bene, eravamo tra i top 50 ristoranti della capitale in poco tempo (N1 su trip advisor per oltre 6 mesi).
Ma la nostra voglia di avventura non sembra mai placarsi e Roma in questi anni tutto complesso non era il posto che ci rendeva felici. A gennaio 2017 decidiamo di lasciare in gestione il ristorante e partire per un “Casa Maestoso world tour”. Barbados, Nord America e poi California dove rimaniamo innamorati dello stile di vita di questa regione che in tanti versi ci ha ricordato L’Italia. Dopo 4 mesi a San Francisco e 4 a Los Angeles ci siamo fusi ad un gruppo di vecchi amici che già avevano un attività avviata a San Diego (Napizza) ed una storia molto simile alla nostra.
A febbraio avete inaugurato un nuovo locale a San Diego, come è stato concepito?
Da qui, a Marzo 2018 nasce “Maestoso”. Un ristorante italiano diverso nel concept e negli obiettivi. Il nostro scopo è di educare il palato locale a quello che sono gli sviluppi della cucina Italiana. Staccarsi un po’ dai soliti classici e coprire al meglio l’evoluzione culinaria della nostra penisola. Ad aiutarci in questa missione abbiamo introdotto un sistema chiamato “Passaggi”. I Passaggi, ispirati dallo stile Dim Sum Giapponese, sono tanti piccoli piatti che attraversano differenti culture fuse alla nostra Italiana e vengono serviti da uno dei nostri chef su un carrello che gira per la sala durante la serata.
Qual è il riscontro della città californiana?
La reazione del pubblico di San Diego è stata davvero molto positiva. Si legge nella gente la voglia di voler imparare ed educarsi sul buon cibo e sulla cultura Italiana. Con un occhio alle città più in voga come New York , Chicago e Los Angeles dove l’alta cucina è già fortemente affermata ed apprezzata, anche San Diego sta lentamente sbocciando in una città per foodies. Siamo molto contenti di far parte di questa evoluzione in atto.
Cosa consiglieresti a chi vuole trasferirsi in America?
Siamo in anni molto complicati riguardo l’emigrazione negli Stati Uniti. Le nuove leggi e le nuove istituzioni sono molto più restrittive e stanno rendendo sempre più difficile il famoso “American Dream”. Il mio consiglio è quello di trascorrere qualche mese come turista in una delle “Major cities ” e realizzare se davvero tutti i compromessi sono all’altezza di sorreggere gli sforzi ed i sacrifici di partire con una nuova vita in un nuovo continente. Più viaggio e più mi rendo conto che il mondo è piccolo e spesso le problematiche da cui vogliamo evadere sono simili ovunque.
La differenza è nella volontà e nel sacrificio che si vuole mettere negli obiettivi preposti. Il duro lavoro nella direzione giusta, porta risultati. In America o su Marte, sta a noi esaudire i propri sogni. Il mio consiglio è in 2 parole: “prendi e fai”
Quanto lasci “di te” quando sei ai fornelli?
Ho avuto la fortuna nella vita di fare degli eventi con i 2 maestri e padri della nuova cucina Italiana, Gualtiero Marchesi ed Ezio Santin. Entrambi mi hanno lasciato un importantissimo ideale nel quale si accetta di non essere mai arrivati, umili fino alla fine e consapevoli che c’e’ così tanto da imparare nel mondo della cucina che la parola pensione non sarà concepita neanche dopo il nostro passaggio a vita non terrena. Ogni giorno è un’esperienza, ogni giorno c’e’ da imparare e crescere se stessi.
Dopo tutte queste esperienze, qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto è di creare un grande Team che sotto il nostro Brand “Maestoso” possa essere conosciuto globalmente come sinonimo di qualità e di ricerca nel mondo culinario.