Intervista a Luigi Lionetti Executive Chef del Ristorante Le Monzù dell’Hotel Punta Tragara
6 novembre 2019. Una data qualsiasi per molti, una data stellare per Luigi Lionetti, classe 1984, il cui nome è per la prima volta nell’ambita Guida Michelin Italia 2020. Una stella per Capri, dove Lionetti è nato e da anni è Executive Chef del Ristorante Le Monzù dell’Hotel Punta Tragara che domina dall’alto i Faraglioni, tutta la baia di Marina Piccola e il mitico scoglio delle Sirene. Quiete e meraviglia fanno da cornice alla tradizione caprese e napoletana espressa magistralmente in cucina. Per i più curiosi, “Monzù” è una storpiatura dialettale del francese “Monsieur” con cui venivano chiamati i grandi cuochi che lavorano presso le corti delle più importanti famiglie aristocratiche napoletane tra il XIII e il XIX secolo. Allora, pronti a conoscere meglio Monsieur Luigi Lionetti? Ecco la nostra intervista.
Luigi, recentemente hai guadagnato la tua prima Stella Michelin. Te lo aspettavi, ci credevi che sarebbe arrivato questo prestigioso riconoscimento? Cosa hai provato il giorno del conferimento?
Non posso dire che non ci credessi nella Stella Michelin. Credo sia fondamentale credere in un sogno, in qualsiasi cosa che si fa. Ad esempio, il mio idolo è Roger Federer e nonostante fosse difficile poter stringere la mano a un personaggio del genere, ho avuto la fortuna di farlo, di stringergli la mano e di trascorrere un pó di tempo con lui. Questo perché? Perché ho sempre pensato che prima o poi mi si sarebbe presentata l’occasione nonostante lui venisse in Italia una volta all’anno per gli Internazionali di Roma. Ma Dio ha voluto che egli fosse a Capri dopo aver vinto gli US Open nel 2007. Voglio dire che alla stella ci credevamo ma oltre a crederci bisogna far qualcosa per far sì che avvenga. Sudore, sacrificio, costanza e rigore. Un team deve lavorare sodo per far sì che questo avvenga. Non smetterò mai di ringraziare chi con me ha lavorato per questo. Il giorno della presentazione lo ricordo tutto con grande intensità. Sono stati momenti emozionanti che faccio fatica anche a raccontare. Ma tutto ciò lo porto nel cuore e difficilmente dimenticherò quegli attimi. Auguro a qualsiasi cuoco o chef di provare la mia stessa emozione.
Da quante stagioni dirigi la cucina del Ristorante Le Monzù? Nel corso del tempo è variata la tua filosofia di cucina?
Sono tredici stagioni, compresa questa che andremo a fare, che sono a Le Monzù del Punta Tragara. Provo sempre la stessa emozione. La sento casa mia. La filosofia non è mai cambiata ma a volte ti accorgi che devi aggiustare il “tiro”. Un piatto per quanto possa essere bello, deve essere di gran lunga un piatto buono, equilibrato, con un gusto. Insomma, indimenticabile. Per farvi capire, poca forma e tanta sostanza se ci si riesce. Cuciniamo per le persone. Sono i clienti che determinano tutto. Un piatto caldo deve essere un piatto caldo. Il problema delle temperature ahimè sta prendendo sempre più possesso. Ci si concentra sull’estetica ma ci dimentichiamo che un piatto caldo va servito caldo.
Spesso i successi del presente sono frutto del passato. A quanti anni hai cominciato a coltivare la passione per la cucina? Quali sono state le tappe del tuo percorso prima di diventare Executive Chef a Le Monzù?
Devo essere sincero. Intorno ai dieci anni mi incantavo quando vedevo mio nonno cucinare. Era una cosa inusuale perché ovunque andassi, a casa di amici o parenti, c’era sempre la figura femminile ai fornelli. Da me era diverso. Dai nonni era il nonno al timone e a casa mia quasi sempre mio padre. Ma il nonno lo batteva. I pranzi di mio nonno sono quelli che ricordo come se fossero ieri. Qualsiasi cosa cucinava era sempre di gran livello, nel palazzo l’odore era sempre nell’aria. Non ho numerose esperienze alle mie spalle, mi sono sempre sentito a casa nei posti di lavoro dove sono stato, mi affeziono facilmente e devo ammettere con tutta umiltà che anche io ho un carattere a cui le persone si affezionano e con cui difficilmente si entra in contrasto. Questo per dire che non si creavano mai occasioni per cambiare e per lasciare. Sotto tanti aspetti mi ritengo maggiormente un autodidatta. Ho lavorato “Da Paolino a Capri”, famoso ristorante dell’isola fondamentale per me all’età di 15 anni per capire la vera fatica.
Tra i tuoi incontri, quello con il grande chef Gennaro Esposito. Quanto è stato proficuo collaborare con lui?
Con Gennaro Esposito iniziai a collaborare nel 2010 e ho capito fin da subito che sotto alcuni aspetti dovevo crescere e maturare. Ancora adesso quando c’è la possibilità non disdegno di chiedere consigli o capita di ricollaborare insieme. Inoltre ho capito che dovevo perfezionare e accentuare il gusto. Bilanciare un piatto stesso. Conoscere la materia prima e rispettare ogni singolo prodotto. Ho avuto la fortuna di viaggiare con lui in molte parti d’Italia e del mondo. Non mancavano tappe gourmet quindi ho appreso altri concetti, altre scuole di pensiero, tecniche diverse e tante altre sfaccettature. Non finirò mai di ringraziare lo chef stesso ma allo stesso tempo tutta e dico tutta la brigata della “Torre del Saracino”. Ognuno di loro, soprattutto Giuseppe di Martino, mi ha lasciato tanto. Ho la fortuna di avere molti amici che fanno il mio stesso lavoro. Ovviamente sono pochi quelli che comunque senti spesso ma con quei pochi e stretti il confronto è giornaliero e non vi nego che una piccola crescita è avvenuta anche confrontandomi proprio con loro.
Quando sei operativo in cucina, a cosa pensi mentre stai creando?
Un piatto nasce da pensieri, ricordi, viaggi, confronti. Un buon piatto nasce dalla serenità mentale che riesci a mantenere. Bisogna essere quanto più positivi possibile. Ma sono i ricordi, quelli belli, che evocano un grande piatto.
Sei nato e cresciuto a Capri. Quanto di quest’isola cerchi di portare nei tuoi piatti?
Capri è la mia isola, la amo con i suoi pregi e i suoi difetti. Nei piatti che predisponiamo di certo c’è tanto del pensiero caprese. Vogliamo essere diretti, spontanei, cercando di colpire col gusto il palato di ogni singolo cliente.
Proponi piatti di tradizione caprese e napoletana anche in chiave moderna. Dall’antipasto al dessert, ti va di consigliare delle portate ai lettori di Food Makers?
In carta abbiamo due menù degustazioni più uno vegetariano. Abbiamo sempre un occhio attento ai vegetariani e agli intolleranti al glutine. In carta non mancheranno mai i piatti che hanno dato comunque risalto al ristorante, ovvero bon bon di gamberi, zuppetta di olive verdi di nocellara, mandorla e limone candito; risotto con scampi, limone, capperi e burrata; cappelletti di parmigiano vacche rosse, astice e tartufo nero; puttanesca di tonno in crosta di pistacchi; infine il nido…un dessert tutto da scoprire!
Puoi anticiparci qualcosa sulle bontà servite nel 2020?
I piatti del 2020 sono ancora tutti da scoprire, da fine marzo saremo operativi. Non toglieremo dalla carta i piatti che hanno consacrato il fantastico 2019 ma ci saranno delle novità.
Come si riesce a conciliare armonia e rigore in un contesto lavorativo come il tuo?
Come vi dicevo, sono un ragazzo alla mano e mi piace che la brigata di cucina si senta a casa. Trascorriamo tante ore insieme in modo intenso quindi se riusciamo a trovare armonia abbinata al duro lavoro credo che sia perfetto. Il rigore serve e serve attuarlo ma quando hai a disposizione una brigata di persone brave e intelligenti, il lavoro viene reso meno pesante. Gestire il personale oggi non è semplice ma bisogna che si trovi il giusto equilibrio.