Marco Tinessa, quarantenne laureato in economia e produttore di vini naturali, originario di Montesarchio, Sannio Beneventano, non è sicuramente ricco, nonostante i suoi trascorsi da broker ed analista finanziario nella capitale meneghina, dove ha messo su famiglia, moglie e tre figli: è per lui arrivato il momento dell’epifania, quello della scelta, delle decisioni recise che non ammettono dietro-front né infingimenti, in un anno difficile che segna il ritorno nelle sue terre avite, con l’implementazione della propria attività di vigneron.

La storia personale – e professionale, inevitabilmente intrecciate come sempre nelle vocazioni divenute attività lavorative – è nota, raccontata da riviste di settore, ma anche da testate mainstream a tiratura nazionale come “Il Sole 24 Ore”: nessun retaggio familiare o attività ereditata, bensì una passione divorante come consumatore, che lo porta, in pochi anni, ad assidue frequentazioni con grandi produttori (dai quali trarrà una grande collezione di bottiglie, anche rare, per uso personale) ed a divenire allievo e protegè del grande Frank Cornelissen, leggendario produttore dell’Etna, dal quale compirà un duro e lungo apprendistato, attingendo ad una lavorazione che per lui è divenuta paradigma, e sotteso sostrato filosofico.

L’avventura è iniziata in un garage di Lorenteggio, estesa e grigia periferia di Milano, in una spola estenuante ed immutabile – modulata ritmicamente sui cicli della natura e della vigna – fra Montemarano, cinquanta chilometri dal suo paese, ove possedeva i primi tenimenti, ed il capoluogo lombardo: le coordinate produttive sono meticolose, piante da selezioni massali di vigne che vanno dai sessanta ai duecento anni, prese fra contrade del Taburno, Montemarano e Castelfranci, in vigna solo verderame e zolfo, vendemmia manuale, in cantina utilizzo minimo di solforosa a fermentazione completa, con l’utilizzo esclusivo di recipienti neutri, anche nell’affinamento, come cemento ed acciaio, forse il principale stilema caratterizzante la sua “mano”.

Conoscendo l’altra passione del vigneron, la musica rock, potremmo paragonare la produzione della propria linea “O Gnostro” – dal dialetto locale termine per designare l’inchiostro, Aglianico in purezza fermentato spontaneamente ed affinato in anfora di terracotta – ad una febbrile session di improvvisazione jam-rock, alla maniera, ad esempio dei mitici Grateful Dead o del coevo Dave Matthews: un groove pulsante e cangiante, con dei cicli di lavorazione che cambiano in ragione della singola annata, consentendo di avere un prodotto che varia in ragione della singola vendemmia, implicando modificazioni sostanziali sia sotto il profilo olfattivo che quello gustativo, e tuttavia una riconoscibilità di fondo conferita dalle note marcate e dal tannino evidente, della varietà autoctona Aglianico.

L’etichetta, dalle linee stilizzate e stratificate, è opera dei designer di rilevanza internazionale – ma con studio in Rotondi, Avellino – Perino e Vele, che contano esposizioni alla Biennale di Venezia, in musei di arte contemporanea come il Madre di Napoli: da qualche anno è stata estesa anche al bianco della medesima linea, originariamente realizzato nella cantina di Milano ed ottenuto dal vitigno Fiano in purezza, con uve provenienti dall’appezzamento in Lapio (Av), fermentazione spontanea e macerazione di tre giorni sulle bucce, a conferire spessore gustativo e densità di colorazione.

Molte le novità messe in cantiere – anzi in cantina – da Tinessa, a seguito dell’apertura della sua cantina nel suo paese originario, Montesarchio (Bn), in perenne bilico fra razionalità organizzativa e creatività contingente: un vivaista dalla regione Toscana nella qualità di consulente, l’affiancamento, ai prodotti summenzionati, di nuovi vitigni autoctoni, come la Falanghina, ma anche internazionali, come il Merlot, rifiutando in ogni caso l’idea, spesso abusata, di “cru” aziendale, ed infine, con l’amico sommelier ed owner del ristorante stella Michelin in Milano “Contraste”, Thomas Piras, la creazione di un proprio catalogo di distribuzione e selezione denominato “Abere!”.

Ci congediamo da Marco Tinessa, dopo una giornata intensa trascorsa insieme, in un luogo magico e atemporale come Bonea, originariamente frazione di Montesarchio, crocevia fra la Via Appia e la Via Francigena, sede di vigne secolari, probabilmente fra le più antiche d’Italia: è il sogno in itinere di Marco, quello di un ritorno ai vini di “montagna” e d’altitudine, perché, secondo le parole del medesimo produttore, “tutti sono scesi a valle per un discorso di rese più elevate, perdendo spesso cognizione dell’artigianalità dei cicli e della peculiarità del territorio”.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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