Nel quartiere Murat, in quello che viene definito il salotto e il cuore pulsante della città di Bari, nell’elegante via Nicolò Putignani, troviamo ad angolo con via Roberto da Bari, “Il Canto dei Bischeri”. Questo è un “angolo di casa” come lo definisce lo stesso proprietario: Massimo Lanini. Un toscano “doc” trapiantato per sua scelta nel capoluogo pugliese. Massimo è originario di Figline Valdarno un paese in provincia di Firenze. Vive a Bari dal 2006. Prima di diventare un protagonista nel mondo del food si occupava di altro; poi venuto a Bari ha deciso di dedicarsi all’accoglienza e ha aperto il ristorante “Le giare” in corso Alcide de Gasperi nel 2008.
Da lì poi si è spostato al centro di Bari con una tipologia diversa di ristorazione rispetto alla precedente. Il 14 dicembre del 2016 ha inaugurato un’osteria, Il Canto dei Bischeri. Questo è un luogo dove capisci appena entri, che il protagonista principale è il vino; la cucina che lo accompagna è sempre diversa e i piatti li scegli leggendo su una parete/lavagna della sala. La cucina è diretta dallo chef Gaetano. “Il Canto” è organizzato e condotto da Massimo e da Flora come capiremo più avanti, fondamentale figura in questa squadra. A cui si sono aggiunti recentemente due nuovi protagonisti-soci: i fratelli Davide e Marco Milone (fanno anche parte della vineria Organic).
Massimo veniva da un mondo di campagna, frutta e vino vissuto tra i 20 e i 35 anni; poi dopo arrivando da Firenze alla Puglia, ha fatto proprio, questo passaggio professionale. Per conoscerlo meglio ho fatto una lunga chiacchierata con lui. Si definisce sicuramente un oste, ed è uno spettacolo; è coinvolgente e il suo accento ti cattura. Nel suo “canto dei bischeri” ti senti accolto e ti diverti, come se stessi in famiglia, o a casa di amici. Ora vediamo di conoscerlo meglio…
Ciao Massimo, entrando al “Canto dei Bischeri” una frase che colpisce quando sei qui dentro, è “sciabolatevi la fava”! Ci sono anche delle magliette che spesso indossi con questa frase. Cosa significa?
È stata una risposta al “sabrage”, al fatto che si usa molto sciabolare le bottiglie di champagne e di spumante. Ho voluto scimmiottare così quella modalità francese, che serve per aprire le bottiglie usando una sciabola (sabre in francese). Questa tecnica ha anche una motivazione storica, ricordo che i francesi avendo vinto una battaglia, per festeggiare aprirono le bottiglie di champagne con le baionette. La mia è una provocazione “volgare” per sdrammatizzare il tutto, per togliere i riti.
Il vino è comunque l’elemento fondamentale sia dell’osteria che dei locali in generale di cui mi occupo. I miei sono tutti locali basati sul vino, e il “mangiare” è un complemento. La missione è quella di portare il vino al prodotto agricolo. Eliminando tutte quelle sovrastrutture, tutto quello che è stato costruito per rendere questa bevanda un prodotto più glamour. “SCIABOLATEVI LA FAVA” è proprio un inno a questo, tanto è vero che all’inizio di quest’anno è nata un’associazione intorno a questo nome.
Che cosa è per te il Canto dei Bischeri?
Il Canto dei Bischeri è una seconda chance. L’esperienza della ristorazione che ho fatto nella precedente location del ristorante “Le Giare” è stata tutto un percorso che andava verso una cucina più gourmet, più di impostazione.
Quindi la scelta del “Canto dei Bischeri” è stata quella di cambiare un po’ l’assetto, di evolvere all’indietro. Cercare quello che avevo vissuto in Toscana come frequentazioni, cioè le osterie, le taverne, i cibi tradizionali, di basso profilo, il servizio piuttosto casereccio. Aprire un’osteria è stato un bel cambio di tendenza, cavalcata in un momento in cui poi tutto il contesto ha portato verso questa direzione. Questo luogo non è solo lavoro ma è casa. La mia dimora non è grande quindi non ho posto per accogliere gli amici. Qui passo qui 15 ore ogni giorno. Quindi è come un numero civico per me, è proprio un’abitazione.
Al Canto dei Bischeri ciò che gioca un ruolo fondamentale sono i vini. Però vedo che anche la cucina è importante. Definiresti la tua cucina tosco-pugliese, visto che nel menù si incontrano piatti tipici sia toscani come la “pappa al pomodoro” e sia pugliesi come “orecchiette e cime de rapa”?
Tendenzialmente è una cucina pugliese, con infiltrazioni di piatti toscani. Si, un abbinamento ci sta, anche perché la mia figura, rientra un po’ nello stimolo di quello che è la proposta della cucina. Però avendo sempre avuto chef pugliesi (Gaetano c’è da sempre) proprio con la tradizione pugliese, si è preferito sempre pensare a Bari. Siamo in Puglia con il 70% di piatti e di prodotti che vengono da questa terra.
Che cucina preferisci tra le due?
Preferisco quella pugliese, che tra l’altro, non è nemmeno quella che viene fatta qui. Io adoro per esempio il pesce crudo in maniera smodata, dovendo scegliere mangerei solo quello. La cucina toscana gode di una quantità minore di piatti. Non ci sono le materie prime di questa regione, quindi tanti piatti ho imparato a mangiarli qui.
Potremmo dire che il menù è fatto dai vini, ma allo stesso tempo non c’è una vera e propria carta. Le bottiglie, i tappi di sughero e le cassette di vino che rivestono le pareti del locale, potrebbero essere definite una carta alternativa di questo prodotto. In base a cosa consigli gli abbinamenti al cliente? E con quale criterio lo associ al piatto?
La carta dei vini è un’altra struttura che ha una funzione necessaria e deontologicamente corretta. Però è di difficile gestione specialmente per un posto come il nostro.
Ti domanderai il perché. Primo perché non bisogna utilizzare sempre piccoli produttori, quindi le quantità di vino non sono facilmente reperibili per avere una proposta duratura. Secondo perché, anche la scelta del vino, purtroppo, è diventata un atto politico.
Negli ultimi 4 anni questa bevanda ha subito notevi aumenti di prezzo, risultando essere sempre meno accessibile. Servire a tavola bottiglie che costano 35-40 euro, è diventato proibitivo. Quindi la scelta dell’osteria si è orientata verso vini artigianali fatti da gente semisconosciuta o poco più, in maniera tale che sia ancora possibile bere bene, a prezzi contenuti.
Per l’abbinamento stessa cosa, nel senso non ci sono delle regole, ci sono delle tracce. L’abbinamento cibo-vino è una cosa istintiva; non condizionato dalla serata, dal clima, dalla scelta dei piatti, da come sono venuti, da che persona si ha davanti. Ho sempre preferito l’estemporaneità delle cose anche per la scelta dei vini.
In più ritengo che uno debba servire quello che conosce, e non avendo una esperienza illimitata preferisco servire meno prodotti, che ho avuto la possibilità di provare. Le birre non ci sono perché non sono in grado di proporle in maniera coerente.
Da qui la scelta di orientarmi sul concetto dei vini sfusi accessibili. Per avere delle bottiglie da 75 cl che possono andare a tavola da 12 a 15 euro. Questa è attualmente la mission dell’osteria.
Che vino preferisci?
Il gusto del vino varia anche in base agli anni. Vengo da un periodo in cui bevevo cose più strutturate, mi piacevano i vini del Piemonte, il Barolo, i barbareschi. Al momento ho cominciato a bere vini più sottratti, cioè più semplici come il Riesling e il Pinot nero. Tendenzialmente, all’80% mi piacciono tutti i vini bianchi; perché sono più facili e più freschi da bere. Sono abbastanza fanatico anche dei vini senza solforosa aggiunta e dei vini naturali, quindi questo mi limita nella scelta.
Sappiamo che oltre al Canto dei Bischeri hai aperto anche altri locali: l’Organic il 19 ottobre 2019, preceduto da La Staffa il 14 dicembre 2017 e in ultimo la Cave De La Presse l’8 settembre 2021. Hanno tutti un unico vero protagonista: il vino. Quindi ricollegandoci a quello che hai raccontato fino ad ora, per te cosa è il vino? E soprattutto oltre al vino, non esiste altro? Visto che nel tuo menù a parete leggiamo: “non si servono amari, bibite gassate e altri troiai simili”
Gli altri (miei) locali sono nati grazie allo slancio che ci ha dato il Canto dei Bischeri, non soltanto da un punto di vista imprenditoriale, ma anche spinti della voglia che ha la città di posti nuovi. Sono tutti rivolti verso l’idea di semplificare ancora di più il concetto di vino e di abbassarne il tono. Già l’osteria (il Canto dei Bischeri) è un posto certamente non impostato; però la Staffa (enoteca-vineria) secondo me rappresenta il futuro della ristorazione, il tempo libero.
Il barese esce tutti i giorni, quindi cerca anche una piccola sosta dove può bere un calice e mangiare una cosa semplice, anche solo un tarallo. La vineria è un posto dove si beve del vino ma non è un ristorante, non ci sono i menù e i piatti caldi. Già al Canto dei Bischeri pur rimanendo un’osteria questa bevanda non è l’elemento trainante, quello per cui, secondo me, i clienti decidono di fermarsi. Negli altri locali ho cercato di portarlo a diventare ancora più protagonista.
Per me il vino è innanzitutto un prodotto agricolo. E’ l’unico che ha memoria storica perché si possono bere bottiglie di 10, 15, 20 anni fa, ma soprattutto è un bene di prima necessità; io lo classifico come il pane, come il latte. Ecco perché nello sviluppo commerciale che ha avuto l’elemento-vino, la bottiglia-vino, non ci trovo sempre la corrispondenza con quello che era.
Io voglio tornare al vino che abbiamo tutti nelle case, come ancora in provincia hanno; come il cibo quotidiano che serviva proprio come alimento, non soltanto a fini edonistici come si fa adesso. Opto per vini fatti solo dai vignaioli.
Cosa fa il vignaiolo? Ha la vigna? Sì e allora è il vino che mi interessa. Ecco perché il sud è da difendere e la stessa Puglia. È necessario tornare indietro. Ormai l’80% dei vini sono “prodotti” da tenere lontano non tanto per la loro bontà e per il loro costo ma perché rispondono a logiche di mercato che sono ben diverse da quelle dell’agricoltura.
Cosa ti ha ispirato il nome di questa osteria? Perché l’hai chiamata Canto dei Bischeri?
Canto dei bischeri perché da noi canto, il cantuccio è l’angolo, questo è un locale di angolo. Ho vissuto e studiato a Firenze sempre a Piazza del Duomo, dove c’è il canto dei bischeri, nel palazzo dove abitavano i bischeri.
In più i bischeri mi sembra che non manchino in giro, ce né sempre di più, è un modo più “guascone” per indicare il luogo, infatti non tutti ancora ci riescono. “Il Canto dei Bischeri” è un nome che ancora non ha funzionato dal punto di vista dell’identificazione del posto, nel senso lo conoscono ma nessuno sa dov’è.
E’ difficile anche da dire. Questo nome di matrice fiorentina, è legato alle mie origini, anche se io sto benissimo qui. Sono venuto per scelta non per altro, però voglio che i miei figli che sono nati a Bari abbiano questo ricordo e allo stesso tempo i piedi piantati nella loro regione.
Quest’osteria la gestisci da solo?
No non è un locale da gestire da solo. Si può gestire in un’unica modalità possibile essendo veramente una roba di famiglia; ha bisogno di figure come marito e moglie a cui suoni il campanello ed entri in casa loro.
Questo luogo è ingestibile senza essere in due contemporaneamente. Se uno dei due manca, il posto non è lo stesso, e lo dico perché l’ho certificato con tutti i clienti, tutte le volte è la stessa cosa. È un mondo a parte, non è un ristorante, non si può dare in gestione, non si può fare diversamente se non starci, quando non ci siamo deve stare chiuso. È come casa tua, se tu non ci sei, non è che inviti gli ospiti.
Proprio l’ospitalità e il servizio di qui si basano su più figure, oltre alla cucina dove c’è lo chef Gaetano e i suoi secondi Gerardo e Gigi , ci siamo noi, io e Flora.
I piatti da presentare e servire: è una scelta a 50-50 tra te e lo chef o no?
No! Lo chef guida totalmente la cucina. Io gli dò degli stimoli, ad esempio l’ho spinto molto sul “quinto quarto” perché a me piace; però è tutto figlio di quello che lui crede possibile realizzare. Sono anche convinto che di fatto, Gaetano, che è con noi dall’inizio, possa fare molto di più da ogni punto di vista: dalla tipologia dei prodotti, all’impostazione dei piatti. Però per scelta sua e nostra si è tenuto sempre un profilo da osteria.
Allora per finire ma non meno importante, che progetti futuri bollono in pentola?
Fermo restando che il vino è il centro di tutto, io ho sempre ritenuto che la vera scommessa imprenditoriale, non solo quella nel mio settore, ma in generale è quella sulla risorsa umana. Adesso diventa ancora più fondamentale trovare un sistema, in cui tu ti possa inserire e integrare in maniera significativa e quindi legalmente riconosciuta. Le persone che lavorano nei locali, devono crescere e non si può crescere professionalmente se non si cresce anche economicamente. Quindi la risorsa umana è la chiave. È basato tutto su quello.
Questa città ha desiderio di tante proposte… Hanno aperto 10 vinerie negli ultimi 4 mesi. Bari ha voglia ed energia. Questo è un discorso che può valere per esempio per una pizzeria che ha delle pizze di livello e ha i vini in abbinamento, che non fa nessuno. Ci sono tanti progetti qui.
Tutto si giocherà sulla necessità di trovare le figure giuste, non solo in cucina, o in sala. Ma devi anche trovare piano piano chi entra nella tua attività e si occupa della parte amministrativa, comunicativa ecc.
Da soli non si fa niente. Questa è la base, che mi ha insegnato tutta la mia esperienza nella ristorazione, da solo non fai niente. Se non ho lo chef non apro, se non ho Flora non lavoro. Quindi per dare una continuità e una solidità a questa cosa, va strutturata.
Sicuramente gli investimenti futuri son tutti legati a questo. E se ne possono fare tanti, perché comunque stanno tornando tutti in Puglia. I pugliesi che sono andati fuori per esperienze e hanno fatto professionalmente dei percorsi importanti, cominciano a parlare le lingue e stanno tornando perché il mondo si sta un po’ accorciando, grazie a Dio. Però bisogna essere entrambi preparati; sia chi cerca lavoro e sia chi lo offre per dare un vestito coerente con quelle che sono le nuove esigenze diciamo del mercato. Quindi la missione è questa.
GRAZIE MASSIMO!