Matteo Zed, bartender di fama internazionale che proprio nel 2019 ha consacrato il suo successo con l’uscita della pubblicazione “Il grande libro dell’Amaro Italiano”, un appassionante itinerario made in Italy che ha riprodotto anche nella nuova drink list di The Court.
Ciao Matteo ci racconti come ti sei avvicinato al mondo della mixology?
Come tutti i ragazzi alla fine della scuola cercavo la mia strada. Mio padre ha sempre lavorato nell’hospitaly essendo Chief Concierge in diversi alberghi 5 stelle in giro per il mondo, Londra, Berlino per poi approdare a Roma dove ha lavorato per diversi anni all’Hotel Hassler a Villa Medici, inoltre i miei zii sono proprietari di un hotel 4 stelle lusso a Jesolo. Sono quindi nato nel mondo dell’ospitalità e ho quindi avuto modo di palpare con mano quest’ambiente, passando anche parecchie delle mie estati del periodo della mia gioventù a lavorare o dai miei zii oppure con mio padre.
Nel 1997 ho preso parte a un corso di Food&Beverage Management che mi ha dato modo di approfondire la materia e successivamente sono andato a lavorare a New York da un amico di mio padre, è così che nasce la mia passione per il bar e la mixology. Ho iniziato così a lavorare nei primi bar e locali, a partire da Fiesta, Festival Internazionale di Musica e Cultura Latino Americana. In quel periodo ho conosciuto Gigi Nardini che mi ha aperto la mente su questo mondo, siamo ancora all’inizio degli anni 2000 e ho iniziato a studiare e fare corsi per potermi affermare. Infatti ho contattato Hidetsugu Ueno uno dei bartender fra i più apprezzati al mondo e proprietario del Bar High Five, uno dei bar più importanti al mondo. In quel periodo sono riuscito a “rubare” con gli occhi il suo modo di lavorare e dopo questo stage sono tornato in Italia. Con il tempo ho creato una mia tecnica personale, partendo da quanto imparato in Giappone, così sono diventato in Italia il primo rappresentante del Japanese Bartending, iniziando a fare corsi su questa tecnica.
In quel periodo ho iniziato a lavorare per Settembrini, un bar ristorante in zona Prati a Roma, a quell’epoca c’era lo chef Gigi Nasti ed è stata una bellissima esperienza. Durante quest’esperienza ho conosciuto Joe Bastianich che mi ha fatto un’offerta di lavoro a New York, durante quest’esperienza mi hanno letteralmente demolito e ricostruito, mi hanno fatto fare tutta la trafila partendo dal bus boy, una sorta di assistente al cameriere. In questi 18 mesi sono cresciuto e sono diventato un professionista a 360 gradi.
Poi ho lavorato da Zuma, Death Rabbit per poi approdare al Giorgio Armani Restaurant come Beverage Director, a quel punto ero tornato in Italia per alcuni adempimenti burocratici e poiché dovevo restarci un mese, per alcuni intoppi mi sono fermato qui.
Cosa hai fatto in quei mesi?
Non mi sono fermato, ho iniziato a fare consulenza per alcuni bar e poi ho creato un sito www.amarobsession.com, il primo Portale al mondo che in Italiano e in inglese spiega gli amari e i bitters provenienti da ogni parte del mondo oltre che dall’Italia. Il tutto si è poi coronato con la pubblicazione del libro: IL GRANDE LIBRO DELL’AMARO ITALIANO. Questo libro in questi giorni è stato acquisito da un editore americano che lo distribuirà proprio in USA.
Inoltre in quel periodo ho fatto una consulenza per un bar che è stato il primo Amaro Bar Europeo con circa 500 etichette.
Come si è evoluta la mixology in Italia?
Direi esattamente come la cucina, siamo passati da una miscelazione molto cool, stupefacente, fatta di colori sgargianti attraverso l’utilizzo di ghiaccio secco, idrogeno liquido, con ingredienti introvabili, per poi passare ad un approccio più minimal, eliminando i colori e chiarificando i prodotti dove però c’è un’esplosione di sapori. Ora abbiamo miscelazioni che all’occhio ti danno poco ma dal punto di vista del gusto risultano molto più interessanti, con una grande attenzione ai flavor ai sapori, con meno ingredienti.
Come nasce il tuo libro ”IL GRANDE LIBRO DELL’AMARO ITALIANO”?
In America c’è questa grande passione per gli amari, è una tendenza che è ripartita proprio dal fatto che gli americani hanno saputo rivalutare l’amaro in chiave moderna, non più soltanto un digestivo post pasto, ma ingrediente centrale nella miscelazione. In Usa l’amaro viene considerato un ingrediente nobilissimo ed è proprio per questo che nascono diversi Amaro Bar. Quindi da tale passione nasce questo libro con l’intento anche di far conoscere in America altri amari italiani, il libro nasce un po’ per gioco recensendo alla fine più di 1000 amari tra l’italia e l’Europa. La mia paura più grande è che non venisse apprezzato ma ben presto ci siamo resi conto che la voglia di conoscere nuove etichette di amari non è solo americana ma anche italiana e il libro è andato a ruba ed è stato anche ristampato, ora attendo di pubblicarlo anche in USA.
Quale tecnica di miscelazione preferisci?
Diciamo che mi adatto anche alle mode del momento, attualmente molti cocktail vengono fatti al laboratorio, utilizzando delle tecniche che riprendono quelle della cucina, attraverso rotor evaporator, con il sottovuoto. Sviluppiamo i drink cercando di cambiare la materia, portandola dallo stato liquido a quello gassoso e viceversa. Trasformiamo il drink con tecniche moderne, eliminando per esempio il colore oppure anche il sapore. Ma come puoi immaginare la mia idea è anche quella di utilizzare gli amari nel mondo della miscelazione, cosa che era, sino a qualche anno fa, un po’ un tabù. Mentre credo che l’amaro, grazie ai suoi tantissimi flavor, si adatti benissimo alla miscelazione.
Ma quanto spazio ha la creatività nel tuo lavoro?
La creatività abbinata alla logica ha tantissimo spazio. Perché si può essere creativi ma non bisogna esasperare il concetto. Credo che nella miscelazione così come nella cucina, bisogna avere una dose di “concretezza”, i concetti di cucina liquida non avranno molto spazio nel futuro. Credo che bisogna essere easy ma allo stesso tempo cool, il drink deve essere assimilabile alla mente del cliente, quindi bisogna rimanere su quel limite di ragionevolezza, oltre il quale il cliente non apprezza il lavoro fatto dal barman.
E il distillato che preferisci miscelare, oltre l’amaro?
Attualmente mi incuriosisce la tequila che trovo un distillato fortemente aromatico che non è facile da miscelare, che non va ammazzato ma va moltiplicato nei suoi sapori. Mi piace perché si associa bene al sal, allo spicy, a tutti gusti che mi piacciono.
Qual è il cocktail che preferisci bere e quello che preferisci realizzare?
A dire il vero a me piace bere piuttosto semplice, quindi mi piace molto il Bloody Mary e il Negroni sbagliato, potrei dire che sono un loro fan. Per quanto riguarda quello che mi piace miscelare direi un bel Manhattan, all’americana, a New York assaggia il Perfect Manhattan che si riesce a bere come l’acqua ma ti lascia in bocca ti rimane morbido senza bruciarti in gola.
Esiste il cocktail perfetto?
Molti ritengono che sia il Martini, ma credo che ognuno di noi abbia il suo cocktail perfetto perchè si abbina al palato del singolo cliente. Potrei dire che esiste un cocktail perfetto per ogni momento della giornata e cambia da persona a persona.
Qual è la tua città preferita nel mondo per bere?
Oltre alle solite mete, quali Londra e New York, credo che sia divertente e interessante il modo di bere che possiamo trovare a Singapore e Beirut, dove c’è una crescita incredibile.
Poi il progetto The Court, qual è la vostra filosofia?
Stiamo cercando di superare il concetto e la tradizione italiana del bere in bar legati all’albergo, un concept che è divenuto po’ chiuso e riservato, quindi ci rifacciamo allo stile newyorkese e londinese del bar d’albergo aperto a tutti come Savoy o The Office, dove c’è una modernità nella miscelazione ma con un tratto più da street bar, in definitiva lo potrei definire un luxury casual. Abbiamo una clientela giovane anche molto locale, io mi occupo anche della direzione artistica, infatti invitiamo anche molti dj con un music program molto interessante e che rendono piacevoli le serate. In passato si beveva di più nel pre-cena, ora dopo il lockdown “scoppiamo” nel dopo cena, questo ci rende molto orgogliosi.
Quali sono i best seller di The Court?
Dire che il Rising Sun che è un omaggio al Giappone creato con Matcha Tea, miele e succo di yuzu per finire con lo Spicy Paloma, quest’ultimo un classico base tequila miscelato con il nuovo amaro al peperoncino di casa Caffo, il Vecchio Amaro del Capo Red Hot Edition, succo fresco di lime e pompelmo rosa e infine soda al medesimo flavor.
Ancora potrei dirti l’Expression Martini, un espresso Martini totalmente trasparente guarnito in modo minimale attraverso una foglia d’argento e un chicco di caffè. Ma anche l’Amaretto Colada, il famoso Amaretto di Saschiria, non del classico colore; la miscela viene accompagnata da un cordial all’ananas, rum invecchiato e una soda all’acqua di cocco.
Tra le novità del The Court ci piace ricordare “In Suite Liquid Experience”, che cos’è?
È un’esperienza unica e autentica che offre la possibilità di degustare magnifici cocktails (e non solo..) in un’altra location esclusiva, quale la terrazza della Grand View Gallery Suite di Palazzo Manfredi con servizio dedicato a due persone per 90 minuti di open bar a soli 120 euro. Il tutto accompagnato con del food di altissima qualità con la consulenza dello chef Giuseppe di Iorio che gestisce il Ristorante Aroma nello stesso palazzo.
Dopo il lockdown, qual è stata la risposta della clientela?
Con la proprietà abbiamo deciso di spingere sul marketing ed abbiamo affidato la comunicazione ad Eleonora (Eleonora Siddi, Ufficio Stampa n.d.r.), così abbiamo disposto di puntare sui romani, con un ufficio stampa locale e concentrando i nostri sforzi su Roma.
Dopo il lockdown non ci aspettavamo tutto questo successo, ci rende felice e orgogliosi del lavoro svolto, inoltre organizziamo anche serate con grandi nomi del bartender internazionale come Marian Beke, Luca Cinalli, a breve avremo Giacomo Giannotti e tanti altri.
Progetti per il futuro?
Il mio libro è entrato in breve tempo tra i migliori 10 libri di Spirits e Storia e per me è stato uno stupore incredibile. Spero inoltre che il The Court possa crescere ancora e ottenere alcuni riconoscimenti nel mondo del bar internazionale.
Leave a comment