Salvatore Maresca è il sommelier del ristorante – stella Michelin – Jose, ubicato all’interno della Tenuta Villa Guerra, in Torre del Greco.
La location è prestigiosa, all’interno di una villa d’epoca vesuviana appartenente al perimetro del Miglio D’Oro, eppure non vi è nessuna concessione alla ristorazione di accomodamento ed all’oleografia. La crew del Josè è affiatata, ad adiuvare la cucina del premiato chef Domenico Iavarone, in sala, l’esperienza ed il talento del maitre Pasquale Marzano e del sommelier Salvatore Maresca, che abbiamo incontrato, e che ci ha fornito, durante l’intervista, qualche utile consiglio per gli abbinamenti cibo-vino delle imminenti festività pasquali.
- Salvatore buonasera, anzitutto grazie della disponibilità che ci hai accordato, e complimenti per i traguardi che hai raggiunto con il resto della brigata del Josè Restaurant, ovviamente sotto l’egida dei proprietari della struttura, famiglia Confuorto. Presentati ai nostri lettori, anche se credo ti conoscano già sufficientemente, nonostante la tua età vanti già numerose esperienze, anche all’estero.
Ti ringrazio Carlo, diciamo che a trentasei anni ho accumulato dell’anzianità di servizio in differenti contesti professionali, molti dei quali hanno tuttavia raggiunto l’ambizioso traguardo della Stella Michelin. Devo menzionare il tempo trascorso al “Veritas” di Stefano Giancotti, al “Faro di Capo D’Orso” della famiglia Ferrara, e poi alla “Casa del Nonno 13”, tre ristoranti che reputo delle assolute eccellenze, nei rispettivi ambiti. Prima ancora, vi è stato l’indimenticabile, seppur breve, stage effettuato all’estero, a Parigi, presso il leggendario bi-stellato “L’atelier de Joel Robuchon”, dal quale ho realizzato l’importanza del servizio di sala.
- Come proveresti a definire la sinergia che avete implementato in questo lasso temporale, se non erro la prima stella Michelin è stata conseguita nell’anno 2020, e confermata per quello trascorso.
È esattamente così, riconoscimenti a parte, potrei dire sinteticamente che, nonostante l’eleganza e l’importanza storica della location, cerchiamo di prediligere la qualità senza alcuna tipo di ingessatura, tenendo tuttavia presenti i dovuti formalismi nel servizio. Con il maitre Pasquale Marzano, poi, siamo legati da un’amicizia ventennale, ci siamo quasi sempre ritrovati nelle precedenti esperienze insieme, mentre dello chef Iavarone posso solo dire che è un talento assoluto, incredibilmente legato alla tradizione territoriale, contaminata dal suo background professionale.
- A proposito della cucina, ho notato, all’ingresso, uno splendido orto che circoscrive lo spazio prospiciente l’ingresso del ristorante, immagino che i prodotti siano ampiamente utilizzati nelle preparazioni dello chef Iavarone.
L’orto è uno dei vanti della nostra struttura, la cucina dello chef Iavarone è imperniata, per una percentuale pari all’ottantacinque per cento, su prodotti di pescato fresco, i vegetali, le verdure e la frutta provengono quasi esclusivamente da tale “propaggine verde” che curiamo personalmente. Tra l’altro la nostra terra offre dei prodotti incredibili, inutile dire che ne rispettiamo rigorosamente la stagionalità, basti pensare ai carciofi, ai friarelli ed alle fave, ad esempio, utilizzati in alcuni piatti iconici dello chef Iavarone, mi diverte molto escogitare sempre degli abbinamenti nuovi ed eterodossi su questi sapori.
- Qual è la tipologia di clientela con cui vi confrontate, in che misura è influenzata dal contesto nel quale operate?
Diciamo che in questo biennio si è registrato un elevato grado di fidelizzazione, spesso abbiamo addirittura delle visite con cadenza settimanale, ed è naturale come tutto ciò faciliti il nostro operato. Il paradigma di accoglienza invalso è quello di cercare di intuire immediatamente i gusti dei clienti, per poi cercare di assecondarli. Un eventuale percorso di degustazione viene solo successivamente, ci tengo a precisare che personalmente non li imposto su di un discrimen territoriale, ma preferisco alternare provenienze geografiche più disparate nelle successioni, ogni sera abbiamo due bollicine – nazionali ed estere – da sbicchierare al calice. Addirittura per i clienti astemi sto proponendo, di recente, i prodotti della “Copenhagen Sparkling Tea Company”, blend di differenti tipologie di the assemblati, in biologico, e poi sottoposti a tecniche di spumantizzazione, comunque aggiungo che chi viene qui spesso ha un’idea predefinita di cosa bere, e quindi devo prestare attenzione a non soverchiare mai le predilezioni individuali.
- Se è concessa una notazione di carattere personale, quali sono le tue opzioni e preferenze enologiche, e secondo te quali le regioni nazionali più vocate attualmente?
Da sempre ho avuto un innamoramento per i vini naturali, biologici e bio-dinamici, spesso con i miei collaboratori di sala visitiamo dei produttori che scegliamo direttamente in azienda, spostandoci nella regione ed anche oltre. La cantina attualmente vanta circa novecento referenze, quasi tutte da me opzionate, di cui circa duecento da bollicine del mondo, ed un largo spazio concesso ai bianchi e macerati, aggiungo che molto dipende dall’evoluzione delle singole annate, nell’ambito dei prodotti biologici, è molto difficile ed improbabile la conversione dei terreni, insomma in determinate categorie produttive si nasce. Riguardo le regioni, dico Calabria e Liguria, menziono rispettivamente due realtà a cui sono molto legato, per la prima, nelle provincie del cosentino, segnalo “Spiriti Ebbri”, di cui abbiamo in carta il “Neostos” 2018, un macerato I.G.T. dal misconosciuto vitigno autoctono Pecorello. Per la seconda, l’incredibile azienda delle Cinqueterre “Prima Terra”, dell’ex marinaio Walter De Batté, viticoltura eroica su terrazzamenti degradanti a strapiombo sul mare, propongo “Altrove”, annata 2017, prodotto in sole milleseicento bottiglie, orange wine ottenuto da un’ancestrale unione fra vitigni a bacca bianca ed altri a bacca rossa.
- Concludendo, potresti dare due consigli ai nostri lettori sugli abbinamenti dei piatti tipici della tradizione, secondo la tua ottica?
Certamente, iniziando dal tradizionale “casatiello”, ci vedo bene una bollicina blanc de noirs “Cà del Vent Pas Operè” del 2012, fuoriuscente dal disciplinare della Franciacorta, in grado di contrastare, con la sua grande struttura, l’untuosità del piatto. Proseguendo, con un pizzico di campanilismo, il piatto dello chef Iavarone “fettuccelle con fave, cicoli pressati e ricotta salata” andrebbe abbinato ad un macerato come appunto il menzionato Altrove di De Battè, o anche Vigna del Vulcano dell’azienda Villa Dora, magari in qualche annata più risalente, a riprova della grande capacità di invecchiamento di vitigni considerati, a torto, minori. Infine, sull’agnello laticauda il cru di Piedirosso Campi Flegrei Doc “Vigna delle Volpi” dell’Azienda Agnanum di Raffaele Moccia, una stupenda vigna metropolitana a ridosso della collina degli Astroni, concludendo, sulla pastiera, con un vino da dessert aromatico – Moscato di Baselice, provincia di Benevento – dell’azienda Masseria Frattasi, a cui l’appassimento su fruttai all’aperto, ed il successivo affinamento in barriques, conferisce spessore e finezza.