Fermare l’espansione degli allevamenti intensivi e avviare unpiano nazionale di riconversione agro-ecologica del settore zootecnico. Sono alcune delle novità contenute nella proposta di legge dal titolo ‘Oltre gli allevamenti intensivi. Per una transizione agro-ecologica della zootecnia’, presentata alla Camera dei Deputati da Greenpeace Italia, Isde-Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e Wwf Italia e sostenuta da un gruppo trasversale di parlamentari. Tra questi, i deputati Michela Vittoria Brambilla (Noi Moderati), presidente dell’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente, Eleonora Evi (indipendente, ex Alleanza Verdi Sinistra), segretaria di presidenza dell’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali, e Carmen Di Lauro, deputata del Movimento 5 Stelle, Bonelli di Alleanza verdi sinistra.
Gli obiettivi della proposta di legge sono
1-avviare la transizione agroecologia degli allevamenti esistenti per ridurre impatto e consumo di risorse.
2-fermare espansione degli allevamenti e apertura di nuovi.
3-ridurre il numero degli animali allevati.
4-sostenre le aziende agricole virtuose e aiutare la conversione del settore con finanziamenti adeguati.
5- creare le condizioni per un sistema produttivo basato su piccola scala e con minori impatti, che garantisca ai consumatori cibo sano a prezzi accessibili e il giusto prezzo ai produttori.
Se tale proposta sarà accettata alla Camera costituirà una rivoluzione rispetto al sistema attuale che ha un forte impatto sulla salute umana e non solo. Come si ricostruisce nella relazione illustrativa della proposta di legge, infatti, oggi l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse del 20% dei beneficiari. Un sistema che penalizza le piccole aziende e favorisce quelle più grandi: secondo i dati Eurostat l’Italia ha perso oltre 320mila aziende in poco più di 10 anni (tra il 2004 e il 2016). La zootecnia intensiva è economicamente vantaggiosa per le aziende grandi, ma al tempo stesso più fragile, poiché dipende da input esterni (energia, mangimi, acqua), così come le condizioni di allevamento (tanti animali geneticamente simili rinchiusi in spazi ristretti) la rende vulnerabile alle sempre più frequenti epidemie”. Il grande numero di animali allevati in modo intensivo nella Penisola (più di 700 milioni in un anno) richiede un grande uso di risorse, spesso in competizione con quelle utilizzabili per il consumo diretto umano. Circa due terzi dei cereali commercializzati in Europa, di fatto, si trasformano in mangime, e circa il 70% dei terreni agricoli europei sono destinati all’alimentazione animale, basata principalmente su coltivazioni come il mais, che richiedono un grande uso di acqua, anche questa risorsa sempre più scarsa.
È ora di promuovere produzioni a più basso consumo di risorse e con minori impatti ambientali, sociali e sanitari.