Può un’intrapresa eno-gastronomica essere votata all’arte della crapula nell’evocazione nominale, seppure in un’accezione popolare ed ironica?
Michelasso, “colui che mangia, beve e va a spasso”, è un’espressione che affonda le sue radici nella notte dei tempi, eppure visitando l’omonimo ristorante, sito alla splendida Via S. Brigida, non si può fare a meno di subire il fascino della tradizione, quanto di più lontano esista dall’oleografia.
L’impagabile bellezza della Galleria Umberto I rifulge a un tiro di schioppo, meta immancabile dei turisti, ma anche dei napoletani, foss’altro per una breve sosta di shopping, in una zona per il resto ricca di uffici e banche, a temperarne la vocazione commerciale.
Il dehor esterno di Michelasso fa da viatico al rigore della sala principale, con toni caldi che fanno da padrone, inframezzati da suppellettili e decorazioni artistiche, grande passione del padrone di casa Lucio Sindaco. Bella anche la sala sottoposta, da adibire occasionalmente ad eventi privati, fungono da contraltare raffinati mobili d’antan e la cantina, con oltre trecentocinquanta referenze disponibili, regno del talentuoso maitre e sommelier Giorgio Zoccolella, trent’anni di dinamismo ed abnegazione, al servizio di sala e clientela.
A seguire, la cucina, governata dall’estro e tecnica dell’executive chef Angelo Gravino: classe 1971, di origine casertane, decorsi professionali illustri, con esperienze notabili nelle cucine di stelle Michelin come l’Oasis di Vallesaccarda ed i “I Quattro Passi” di Nerano. Studi all’Accademia di Belle Arti poi rifluiti nell’estro della creatività culinaria, con evidenti debiti ed influenze determinate da correnti quali futurismo, spazialismo, surrealismo, in perenne equilibrio fra tensioni di consistenze e giustapposizioni di sapori.
Una cucina napoletana tradizionale, dunque, finemente rivisitata e reinterpretata, paradigmi il rispetto della stagionalità dei prodotti e l’impiego di ingredienti da provenienza certificata, molti dei quali campani, con un pizzico di sano campanilismo regionale.
Due i menù degustazione disponibili da Michelasso, dedicati, significativamente, alla terra ed al mare, a rimarcare simbolicamente radici ed origini degli ingredienti, lontane da manierismi e soluzioni di accomodamento. Grande l’attenzione conferita ai pani ed agli olii, prescegliamo, tra questi ultimi, l’eccellente “Terra Aurunca” di Masseria Torricella – Enoz, da ulivi ultrasecolari in regime di conduzione biologica.
Iniziamo con la teoria degli amous-bouche, “polpettina di baccalà in pastella con soia e germogli, pomodoro ed alici del cantabrico, cannolo con crema pasticciera salata e nocciola, mini-bun al sesamo con capocollo di Venticano, alice fritta con ricotta di bufala”, sale in cattedra il sommelier con il sontuoso Champagne “Victor Mandois Blanc de Blancs Brut 2008”, assemblaggio di uve Chardonnay in purezza provenienti da vecchie vigne, arricchito dalla vinificazione in legno, cremoso ed intenso.
Si prosegue con “la crema di zucca napoletana, stracciatella, acciughe del Cantabrico e polvere di liquirizia”, davvero sapido e dal calibrato gioco di consistenze, di elevato profilo il pairing con il Riesling Trocken Win Win della maison Von Winning del 2020, distribuito da Cuzziol Vini, palato perfettamente sgrassato, ed una gradevole nota di idrocarburi, mai invasiva.
Si configura come signature dish dello chef Gravino il successivo “risotto acquerello con cremoso di mozzarella, gamberi rossi e limone”, tre bisque utilizzate per una stratificazione gustativa assoluta. Valorizzato dall’abbinamento con un provenzale eterodosso, il “Triennes Rosè 2018”, dalla marcata mineralità e dal colore sostenuto, blend di più vitigni dominato dal Cinsault, con l’impiego di Grenache, Syrah e Merlot.
Grande originalità nel successivo “pescato del giorno – trancio di spigola locale e gambero rosso”, servito su pietra rovente di Nerano portata a temperatura di duecento gradi, a sua volta accomodata in una cavità di radica d’ulivo, con mirto ed alloro. Il sommelier, in combine, propone un Greco di Roccamonfina I.G.T. Zambrotta 2020, ottenuto dalla vinificazione di Uve Greco in purezza, coltivate nella tenuta dei fratelli Telaro nel Comune di Galluccio, alle falde del vulcano spento di Roccamonfina.
Davvero squisita la successiva “guancia di maiale Duroc del Cilento con salsa all’aglianico, spuma di patate e composta di cipolla di Montoro”, succulenta e perfettamente resa morbida dalla cottura a bassa temperatura, in pairing il “Rosso di Montalcino D.O.C. 2017 Castello Romitorio”, colore rosso rubino per un profilo olfattivo caratterizzato da note di lampone, frutti rossi e noce moscata, trama tannica intensa e fine.
Si conclude con la leggerezza e gustosità del dessert “spuma al pistacchio, crumble al cacao, gelato e sale alla vaniglia”, in cui la tecnica dello chef Gravino è incentrata sulla necessità del bilanciamento dolce-salato. Sagace berci su il “Brand(y) New Orange” – liquore con brandy millesimato 1969 – della Distilleria campana Brown Spirit, prescelto dal sommelier, riflettendo opportunamente sulla necessità di considerare un ristorante di siffatta portata, uno straordinario volano per la promozione di realtà imprenditoriali eno-gastronomiche locali.