Abbiamo intervistato Stefano Baiocco alle prese con i lavori di ristrutturazione di Villa Feltrinelli che ha riaperto le porte il 13 aprile. Il connubbio tra lui e la struttura dura ormai da 15 anni…..”un matrimonio che dura”!!!
Ciao Stefano, la tua formazione in cucina è molto complessa, costellata da diverse esperienze in Italia ed all’estero, ci puoi delineare i passaggi più importanti?
La prima importante esperienza presso Enoteca Pinchiorri per 3 anni , poi altri 3 anni da Alain Ducasse e Pierre Gagnaire, per poi approdare nel 2001 a Palazzo Sasso come secondo di Pino Lavarra con il quale ho instaurato un bellissimo rapporto che si è sviluppato al di là della cucina, anche se in un primo momento temevo che due “galli in un pollaio” non avrebbero retto. Pino è stato capace di darmi spazio in quest’esperienza lasciandomi libero di sperimentare. Un affiatamento nato sin da subito, scambiandoci idee e cercando di far riconquistare a stretto giro la stella Michelin persa poco prima con la perdita di Anthony Genovese.
La stagione 2003 è stata una stagione importante in quanto ho avuto l’opportunità di fare un’esperienza importante al Bulli di Ferran Adrià dove ho avuto la possibilità di imparare la gastronomia molecolare. Una cucina basata sull’invenzione e sperimentazione di nuove modalità di preparazione, cottura, abbinamento e presentazione dei cibi: il congelamento attraverso l’azoto liquido, l’uso alimentare del tabacco, la “frittura” nello zucchero, l’uso del vuoto spinto per la preparazione di mousse e meringhe, le sferificazioni delle aree. Ricordo ancora molto bene un piatto immortalato sulla copertina del NY Times di una coppa con una crema di mandarino e un’area di carote. Alcune di queste preparazioni fanno ancora parte dei miei piatti.
Anche se non mi voglio fissare su una cucina tecnica, la tecnica per me deve servire per il raggiungimento di un risultato cioè è il gusto; se la tecnica resta fine a se stessa per darmi un risultato scenico, la tralascio.
In Spagna sono ritornato più volte in concomitanza della chiusura invernale della villa ed ho effettuato altre importanti e formative esperienze con Andoni Luis Aduriz, i fratelli Roca, Quique Dacosta.
Importante è stata la tua esperienza in Giappone suddivisa in due step, raccontaci il tua rapporto con la cucina di questo paese
Già in passato con Pinchiorri e Lavarra avevo avuto un rapporto con il Giappone dove però proponevamo la nostra cucina, ma sin da subito sono rimasto colpito dalla loro cucina che risulta essere molto elegante, delicata e quasi priva di grassi. Una cucina molto leggera ma non per questo priva di gusto.
Quello che mi piace del Giappone è la loro “maniacalità” nel perseguire la perfezione, provano pochi piatti che però sono talmente approfonditi sia nella tecnica che nell’accostamento dei sapori che rasentano il sublime. In Italia invece ritroviamo una tendenza diversa, proporre tutto per accontentare il cliente mentre spesso quest’obiettivo non viene per nulla raggiunto.
Sin da piccolo, guardando i cartoni animati giapponesi, sono rimasto affascinato dai loro tipici e tradizionali ristornati, dove il cuoco cucina al bancone esclusivamente per 8/10 persone, con unìattenzione massima per il cliente.
Ho avuto la fortuna di fare due esperienze una al Ryugin a Tokyo, ristorante con 3 stelle Michelin con lo chef Seiji Yamamoto e l’anno successivo al Kikunoi a Kyoto dello chef Murata. Da loro ho appreso non solo le ricette in sè ma le idee, appuntandole in un quaderno che mi segue da sempre in queste esperienze. Ho annotato tutto, dal modo di sistemare il cibo in un piatto al metodo di asciugatura di un pesce, così da poterlo portare nella mia vita di brigata. Questo approccio al mio lavoro, cioè osservare per imparare, lo estendo anche durante le mie vacanze. Cerco sempre di capire quali ingredienti poter portare nella mia cucina, che non siano freschi e di reperibilità solo locale, ma piuttosto degli ingredienti che posso poi realmente utilizzare, come spezie, erbe, alghe o salse.
Non descrivete il menù degustazione, come mai?
Abbiamo in questi anni imparato, rendendoci un po’ furbi, a non scrivere il menu degustazione perchè ci sono alcuni prodotti che posso trovare solo in alcuni periodi, spesso molto ristretti, e che utilizziamo per poter cercare di innalzare la qualità del nostro servizio.
C’è un piatto che ha un particolare processo, Tutto Pomodoro, ce lo racconti?
Per “Tutto Pomodoro” utilizzo per il 90% dei pomodori che mi rifornisce un maso in Alto Adige, dove l’estate arriva un pochino più tardi. E’ un piatto che normalmente presenta almeno 30 tipi di pomodori diversi con diverse lavorazioni – in polvere, in osmosi con aceto balsamico agli agrumi, in insalata, in chips, confit, in osmosi con salsa dolce piccante – il tutto accompagnato da un budino di acqua di conservazione della mozzarella di bufala e mascarpone con degli spuntoni di salsa, diversi tipi di erbe con del pane aromatizzato e granita di panzanella.
È un piatto che curo io direttamente e che di norma mi porta via l’intera mattinata, molto complicato non tanto per farlo ma per l’organizzazione, partendo dalla richiesta che viene fatta al maso con una specifica delle quantità da ordinare sino al confezionamento dei pomodori, che vengono imbustati per tipologia. Un piatto che ha avuto diverse evoluzioni per poi atterrare a quest’ultima versione che più mi soddisfa sia dal punto di vista visivo che gustativo. Il tutto viene accompagnato da un cartoncino illustrativo, dove sono elencate le varietà di pomodori utilizzate per permette al cliente di poter apprezzare appieno il piatto.
Mentre un dolce che presentate a cui sei particolarmente legato?
Un dolce che presentiamo nel menù dalla prima stagione, inizialmente si chiamava “Crespella di latte Gratinata”, per poi prendere il nome della nostra amata lavapiatti, che è stata con noi sin dall’inizio, ma che purtroppo si è dovuta assentare per problemi personali, “Amelia”. Anche qui la lavorazione è molto lunga: si parte dal far riscaldare del latte in un rondò e con una spatolina, staccandola dal bordo, preleviamo la parte superficiale, la classica pelle del latte, e la poniamo su un foglio di pellicola alimentare che poi spennelliamo delicatamente con un po’ di panna e ricopriamo con un altro foglio di pellicola alimentare, ponendo il tutto in frigo per almeno una giornata. Al momento del servizio tiriamo fuori la pelle di latte, pareggiamo i lati, la cospargiamo di zenzero marinato e con un sifone facciamo una spuma di yogurt. Il tutto viene arrotolato in modo da formare una sorta di cannellone sul quale viene spolverizzato dello zucchero, che poi gratiniamo leggermente. Il dolce è completato con dello sciroppo al rosmarino, con i suoi fiori (di colore viola) ed una chips di patata viola.
Com’è arrivata la seconda stella Michelin?
Il direttore della Michelin mi invitò a Parigi per il ritiro della seconda stella, mentre ero impegnato in uno uno stage presso Quique Dacosta a Valencia. La serata della premiazione, mi ricordo benissimo, si tenne il martedì ed il giorno successivo alle 08:00 ero di nuovo a Valencia. Come tutti i marchigiani sono poco avvezzo alle copertine, quindi il mio ritorno in Spagna scatenò lo stupore di tutta la brigata di Quique Dacosta.
La brigata di cucina è centrale nella tua concezione di cucina, cosi come la parte relativa alla pasticceria, come ti rapporti con loro?
Il rapporto con loro è molto stretto, la gestione e l’organizzazione è molto faticosa, credo che l’essere presente e stare con loro è centrale per far funzionare le cose come io ho nella mia mente. Quando qualcuno di loro va via la formazione del nuovo elemento mi costa tanta fatica che poi, spesso, viene ricompensata.
In pasticceria abbiamo sempre usato la collaborazione di un Chef, pasticcere, oggi Annalisa Borella che collabora con noi da alcuni anni e con la quale la sinergia per la creazione di nuovi dolci è molto elevata, una sorta di brainstorming volto alla ricerca del dolce perfetto e soprattutto della giusta assonanza tra pasticceria e cucina, in modo da ottenere un fil rouge con la filosofia che portiamo avanti.
Un grande successo è stato anche il tuo libro “Mise en Place “, come nasce?
Viene pubblicato nel 2007, l’idea nasce dalla lettura di un libro di cucina, di cui ho una discreta collezione, dove non c’erano ricette ma solo foto con una spiegazione del piatto, cioè il titolo del piatto ben descritto. Sono attratto dalle foto perchè si capisce come sono stati trattati i prodotti, quindi ho deciso di focalizzarmi sulla parte fotografica e il vero obiettivo del mio libro non è spiegare le tecniche di cottura o la preparazione del piatto ma far comprendere l’idea e la concezione del piatto. Il libro è stato presentato a Milano ed all’Istituto alberghiero dove ho studiato ad Ancona e proprio durante la sua presentazione ho ricevuto la notizia della prima stella, quindi una doppia gioia. A questo poi si è aggiunta il premio Gourmand World CookBook.