L’addio di Stefano Dassie al premio Tre Coni e alla guida del Gambero Rosso è un terremoto che scuote il mondo gastronomico italiano, ma anche uno specchio fedele delle contraddizioni che lo affliggono. La scelta di uno dei più grandi maestri gelatieri italiani di rinunciare al più alto riconoscimento della sua categoria non è solo un gesto controcorrente: è un grido di allarme contro un sistema che ha tradito l’essenza dell’artigianalità, sacrificandola sull’altare del marketing e della spettacolarizzazione.
Il culto dei Premi: Una gabbia dorata
Il panorama enogastronomico italiano è sempre più dominato da premi, guide e classifiche che, se da un lato offrono visibilità, dall’altro impongono regole e standard che rischiano di snaturare il lavoro artigianale. I riconoscimenti non sono più strumenti per valorizzare la qualità, ma meri simboli di status che i professionisti inseguono a suon di strategie commerciali. Dassie lo ha detto chiaramente: “Non è il premio che definisce la qualità del nostro lavoro, ma la soddisfazione del cliente.” Una frase che suona come un’accusa a un sistema sempre più autoreferenziale, dove la sostanza cede il passo all’immagine.
E non si tratta solo di gelati. Chef, pizzaioli, pasticceri e vignaioli si trovano sempre più spesso intrappolati in una gara infinita per ottenere stelle, cappelli, forchette e premi vari, dimenticando la vera missione dell’artigiano: creare qualcosa di autentico, che parli al cuore e al palato delle persone.
Marketing Vs Artigianalità: Un conflitto senza fine
Nel rifiutare il premio, Dassie ha puntato il dito contro la deriva commerciale del settore. Le guide, che un tempo erano baluardi di credibilità, sono ora sospettate di favorire dinamiche di sponsorizzazione e logiche di mercato. È un’accusa grave, ma che trova conferme nei numeri: secondo uno studio dell’Istituto Nazionale Gelateria Artigianale, il 60% degli artigiani ritiene che i premi influenzino le aspettative dei clienti, costringendoli a sacrificare autenticità e creatività per soddisfare standard imposti dall’alto.
Questa corsa al riconoscimento è tanto più paradossale quanto più danneggia il settore stesso. Il tempo e le risorse impiegati per inseguire premi potrebbero essere meglio investiti per innovare, migliorare i prodotti e coltivare un rapporto autentico con il pubblico. Dassie, con il suo gesto, ci ricorda che il vero successo non si misura con un trofeo, ma con la fedeltà e il rispetto dei propri clienti.
Un Sistema che si autosabota
La scelta di Dassie è anche una denuncia implicita contro il rischio che i premi diventino un fine anziché un mezzo. Non è forse ironico che un settore che si vanta di rappresentare la tradizione italiana, famosa per la sua autenticità, abbia creato un sistema che premia la standardizzazione e la performance, piuttosto che la creatività e il lavoro manuale? Il rischio, già visibile, è che il valore reale di un prodotto venga giudicato più dal numero di premi vinti che dal gusto o dalla qualità degli ingredienti.
E qui sorge una domanda fondamentale: chi beneficia davvero di tutto questo? Certamente non gli artigiani, schiacciati tra la pressione delle aspettative e la necessità di restare rilevanti. Nemmeno i consumatori, sempre più confusi da un sistema che premia più il marketing che la sostanza. La risposta, come spesso accade, è nel denaro: in un’industria dove i premi e le guide muovono pubblicità, sponsorizzazioni e flussi economici, il vero vincitore non è mai chi lavora, ma chi gestisce le regole del gioco.
Un Futuro diverso è possibile?
L’addio di Stefano Dassie è un invito a riflettere e cambiare. Non basta lodare il coraggio del maestro gelatiere: bisogna interrogarsi sul futuro del settore enogastronomico italiano e sulle sue priorità. La qualità, quella vera, deve tornare al centro, e non essere subordinata a logiche commerciali.
Forse è tempo che il mondo della gastronomia si liberi dalla dipendenza da premi e classifiche, riscoprendo il valore dell’artigianato puro, della passione e della dedizione. Un modello basato sulla relazione diretta con il pubblico, sulla trasparenza e sull’autenticità, come quello proposto da Dassie, non è solo auspicabile: è necessario per preservare l’essenza del Made in Italy.
La ribellione necessaria
L’addio di Stefano Dassie al Tre Coni è molto più di una notizia: è una dichiarazione di guerra contro un sistema che ha perso la bussola. È un monito per chiunque lavori nel settore enogastronomico: o si cambia rotta, o si rischia di distruggere ciò che rende unica l’Italia nel mondo. Dassie ha fatto la sua scelta, coraggiosa e controcorrente. Ora tocca agli altri decidere se seguirlo, o continuare a sacrificare l’autenticità sull’altare dell’apparenza.