La news della settimana arriva dalla startup biotecnologica “Onego Bio” che promette la produzione di uova senza galline.
Onego Bio ha annunciato la chiusura di un seed round che ha permesso di raccogliere 10 milioni di euro, grazie ai quali si darà il via alla realizzazione e allo sviluppo di questo processo alimentare basato sulla tecnologia “Trichoderma”, messa a punto grazie alla collaborazione con il Centro di ricerca tecnica VTT della Finlandia.
Il prodotto realizzato sarà un “equivalente” dell’albume dell’uovo, un bioalbume appunto, prodotto grazie ad un processo di fermentazione che l’azienda paragona a quello utilizzato per la produzione della birra.
Attraverso lo sfruttamento di una microflora (Trichoderma), in aggiunta a acqua, zucchero e alcuni minerali si otterrà una polvere di bioalbumina che contiene le stesse proteine dell’albume pur non avendo origine animale e potrà essere utilizzata in diversi settori nei quali le uova normalmente sono usate per le loro diverse proprietà, dalla cucina a quello degli integratori.
Il progetto si pone come obiettivo la riduzione degli allevamenti animali, posto che nei prossimi anni la domanda di alimenti proteici aumenterà notevolmente, mettendo ancor più a rischio il già compromesso ecosistema terrestre.
Dalla diminuzione degli allevamenti infatti deriverebbe un controllo dell’uso indiscriminato della terra e dell’acqua, nonché un calo delle emissioni di gas serra con le ovvie conseguenze benefiche sul problema del riscaldamento globale e sulla possibile diffusione di nuove pandemie.
Onego Bio però non è la prima a porsi questo obiettivo e a tentare di inserirsi nel settore della produzione di proteine.
È ormai del 2011 la startup dell’azienda californiana Eat JUST che commercializza in tutto il mondo sostituti vegetali per alimenti normalmente a base di uova di gallina.
Alla base del progetto Just, a differenza di quello finlandese, che ricorre all’agricoltura cellulare, c’è un fagiolo, precisamente il fagiolo mung coltivato prevalentemente nel sub continente indiano, nell’Asia orientale e nel sud-est asiatico.
Si tratta di un fagiolo verde ricco di proteine, presente nel sistema alimentare globale da molti anni. Ne deriva un prodotto con consistenza, sapore e colore simile a quello delle uova di gallina che si presta ai più svariati utilizzi.
I risultati, rispetto all’allevamento, sono completamente diversi sul piano ambientale in quanto per la realizzazione di questa alternativa vegetale all’uovo, vengono utilizzati il 98% di acqua in meno, una impronta di carbonio inferiore del 93% e l’86% in meno di terra.
Oltre ai benefici diretti sull’uomo quali l’assenza di colesterolo, meno grassi saturi e stessa quantità di proteine, secondo quanto si apprende sul sito di Eat JUST, ponendosi come una delle fonti proteiche più sostenibili sul mercato.
L’azienda americana ha avuto un enorme successo tanto da essere quotata in borsa nel giro di pochi anni, creare una filiale in Asia grazie ad una joint venture con una società asiatica e possedere Good Meat, principale produttore di pollo creato in laboratorio.
Nel 2021 ha annunciato di aver venduto l’equivalente di 100 milioni di uova di gallina.
Da tutto ciò emerge una ricerca sempre più attenta e serrata verso fonti di proteine alternative, che secondo studi del “Boston Consulting Group” entro il 2035 raggiungeranno la parità con le proteine animali in fatto di gusto, consistenza e prezzo, ponendo il consumatore davanti ad una libera scelta di consumo.
Su più versanti ormai si parla di sostenibilità ambientale ed è chiaro che non bastano i pochi, seppur utili, accorgimenti che il singolo può introdurre nella propria quotidianità per migliorare la situazione.
Come consumatori siamo davvero pronti a perorare la causa cambiando radicalmente le nostre abitudini alimentari?
L’attenzione sempre crescente per diete più sane e sostenibili è ormai tangibile.
A giudicare dai dati del consumo di proteine alternative nel mondo sembra che la strada sia segnata e il cammino sia iniziato.
Nella sola Italia nel 2021 il consumo di prodotti a base vegetale è aumentato dell’8% rispetto alla prima metà del 2020, con una spesa che si aggira intorno ai 10 miliardi di euro e quasi un quarto delle proteine consumate dagli italiani è di origine vegetale.
Da notare che questa scelta non è più solo prerogativa di vegetariani o vegani, in quanto circa 30 milioni di italiani hanno dichiarato di consumare prodotti a base di proteine alternative.
Non è ancora una rinuncia alle proteine animali, piuttosto c’è una maggiore attenzione verso la qualità e la quantità anche di queste ultime che vengono assunte con sempre crescente attenzione.
A tal proposito abbiamo sentito il Dott. Roberto Fadda, amministratore unico di Mytho, azienda leader nella produzione di integratori alimentari a base di aminoacidi, il quale afferma che, riguardo alla produzione di albumina alternativa, non siamo di fronte a una grande novità.
“Il problema è un altro”, afferma il dott. Fadda,” il cibo viene visto da diversi punti di osservazione, il primo è legato al piacere che si prova nell’alimentarsi il secondo invece è legato alla sua funzionalità e alle proprietà biologiche e biochimiche che lo caratterizzano.
La maggior parte delle persone vede il cibo sotto il primo aspetto, non pensando al beneficio per il proprio corpo, nutrendosi per soddisfare un’esigenza di gusto.”
“In realtà” continua Fadda “non si può ricreare in laboratorio un cibo succedaneo delle uova, con le medesime caratteristiche irripetibili che hanno quelle naturali”.
Quello che invece è ripetibile è il contenuto biochimico e funzionale, partendo da una base animale, anzi, in laboratorio, si possono eliminare degli elementi non strettamente utili e lasciare solo quelli ideali per la salute dell’uomo.”
Ricollegandosi al tema della produzione di fonti proteiche alternative il dott. Fadda afferma che “l’utilizzo di albumina in ambito sportivo, dietetico e anche clinico, in quanto fonte di aminoacidi essenziali, è effettivamente molto diffuso, anche come sostitutivo del cibo e che l’azienda di cui è amministratore produce invece aminoacidi già scissi, quindi senza bisogno di albumina, e più facilmente assimilabili dal corpo umano.”
Insomma siamo sicuri di essere pronti a scegliere il cibo solo in funzione della sua reale utilità per il nostro corpo?
E noi onnivori, in nome dell’etica e della sostenibilità ambientale, riusciremo davvero a preferire una carbonara “plant-based”?
Ad essere sinceri, forse ancora no!