William Pitzalis corre, corre sempre. Non in modo trafelato ma col sorriso di chi ha una meta, un obiettivo da raggiungere e crede in ciò che fa con passione e riconoscenza.

È arrivato a traguardi importanti ma è rimasto estremamente umile. Ringrazia in continuazione chi lo ha supportato e chi continua a farlo. Non parla da protagonista ma da parte di un gruppo vincente. E soprattutto dimostra di tenere tantissimo ai suoi ragazzi.

Mi ripete più di una volta che il suo obiettivo è quello di dar loro delle ali e di far sì che possano imparare a volare.

È per questo motivo che è nata L’Accademia del Buon Gusto, una scuola di cucina per gli abitanti del quartiere di Sant’Elia, nella periferia di Cagliari, dove è cresciuto.

Quello svolto finora è stato un lavoro di squadra, per usare un termine calcistico. L’idea è sua ma altre persone hanno messo a disposizione il loro tempo le loro competenze. Gli chef che sono stati coinvolti hanno risposto con entusiasmo, anche se molto impegnati e alcuni dei quali vivano lontano.

Tutti motivati dall’amicizia che li lega a William e dalla voglia di fare qualcosa per questo bel quartiere. I ragazzi che partecipano, formano un gruppo eterogeneo sia per età che per genere. Sono stati selezionati per ordine di iscrizione e scelti in base alle attitudini dimostrate. Si mostrano entusiasti e determinati nel cogliere questa occasione. Sanno di dover assorbire il più possibile dall’insegnamento degli chef così da poter entrare a pieno titolo nel bellissimo ma faticoso mondo della cucina.

Ci incontriamo nel Lazzaretto di Cagliari che contiene gli spazi dedicati all’Accademia del Gusto. Insieme a me, gli altri ospiti invitati ad assistere all’inizio delle lezioni.

L’Accademia nasce all’interno di un progetto più ampio di RigenerAzione Urbana. Cofinanziato dalla Fondazione Giulini e dalla Fondazione con il sud, si pone essenzialmente tre obiettivi.

Uno sociale, creando un rapporto capillare con i cittadini e le cittadine, per poi chiamarli a partecipare attivamente al soddisfacimento di quei bisogni che loro stessi hanno espresso.

Uno orientato allo sviluppo occupazionale, che mira alla creazione di future imprese e uno di carattere culturale che porti ad una crescita di competenze.

Diverse associazioni hanno collaborato per la buona riuscita del progetto. La Cooperativa Sant’Elia 2003 che gestisce gli spazi del Lazzaretto, La Fondazione di Sardegna, Il Dipartimento Solidarietà Emergenze della Federazione Italiana Cuochi e la Cooperativa sociale La Carovana.

Gli interventi dei relatori esprimono grande forza e fiducia. La missione di tutti è sovvertire la logica per cui si resta ad attendere che qualcosa cambi ma tentare di cambiare in prima persona.

L’Assessore al Lavoro della Regione Sardegna, Alessandra Zedda afferma:

“Non è solo un progetto di quartiere ma rendendolo istituzionale, può diventare un progetto di una intera isola. Valorizzando una delle principali arti della nostra regione, della nostra cultura, mettendo in primo piano le nostre produzioni e la nostra identità, si può scrivere un futuro per tanti giovani. Perché oggi la formazione delle competenze può essere la chiave di svolta per garantire uno sbocco professionale, e la loro certificazione per tutelare quelle in cui è richiesto ingegno e maestria.”

L’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Cagliari, Viviana Lantini, lo definisce in questo modo:

“Un progetto intelligente che ha un ritorno sul lato pratico sia lavorativo che educativo grazie ad uno scambio culturale e un confronto con i ragazzi, che si incontrano e ottengono competenze.”

La Fondazione Giulini è presente nella persona della Presidentessa Ilaria Nardi.

“La nostra è un’organizzazione che non si limita a finanziare ma monitora e da un contributo significativo perché crede fortemente nel progetto di RigenerAzione Urbana. Quando si fa rete e si lavora insieme, il risultato si ottiene. Noi abbiamo supportato William da subito e nel corso degli anni abbiamo coinvolto sempre più persone che sono convinte di questa opportunità.”

Approfitto dell’occasione di poter assistere ad una delle lezioni. Verterà sulla conoscenza e lavorazioni delle carni. I docenti sono lo chef Giuseppe Falanga e Gesuino Cabras, titolare di una nota macelleria di Cagliari.

La piccola ma ben attrezzata cucina, ospita i ragazzi che ascoltano attenti, e si cimentano nelle prove pratiche. William coordina e risponde alle mie domande.

Nell’Accademia, si insegnerà l’arte della cucina ma anche la disciplina e l’ordine per potersi rapportare al meglio a questo mondo affascinante ma anche complesso e faticoso. Tu hai augurato ai tuoi corsisti di innamorarsene così come è successo a te. Quando è nato questo sentimento? Cosa ti ha fatto capire che la cucina sarebbe stata il tuo futuro?

Quando ero piccolo stavo molto tempo da solo dopo la scuola, perché mia mamma lavorava tutto il giorno. La sera preparavo la cena per lei, e la felicità nel vedere la sua reazione davanti alla tavola imbandita mi riempiva di gioia e mi ripagava dell’impegno. È li che ho capito che avrei fatto il cuoco. In fondo generosità vuol dire offrire una parte di sé stessi agli altri. Io inconsapevolmente, facevo questo.

Hai 45 anni, da 6 hai coronato un sogno e sei diventato lo chef del Cagliari Calcio. Hai dimostrato che con la costanza, l’impegno e la fede in sé stessi, gli obiettivi si possono raggiungere. Quanta fatica hai dovuto fare per arrivare a questo traguardo?

Sono sempre stato un grande tifoso del Cagliari, e avendo intrapreso la carriera da chef, il mio obiettivo era ben chiaro, volevo lavorare per la squadra. Nel corso della precedente presidenza, ho avuto modo di collaborare ma solo in occasioni sporadiche. Più volte ho provato a rendere stabile la mia posizione purtroppo senza successo. Ma non mi sono arreso e ho continuato a fare extra senza abbandonare l’obiettivo. Poi finalmente la grande occasione, e per me è stato naturale iniziare questo percorso, anche perché, mi sono sempre immaginato dove sono ora. Se ci crediamo e lavoriamo con impegno, senza abbatterci davanti ai rifiuti e alle difficoltà, possiamo farcela.

In questi anni, di grandi soddisfazioni, non ho mai perso il senso della realtà, perché ho avuto occasione di vedere la vera sofferenza. Ho lavorato con i detenuti, con i disabili, con gli anziani. E per quanto in alto si possa essere, non si deve dimenticare che anche un semplice uovo, per chi non ha nulla, ha un valore immenso ed è il piatto migliore che qualsiasi chef possa mai preparare.

La mia motivazione si esprime perfettamente nelle parole che mi ha detto, Don Carlo Rotondo il segretario particolare del Vescovo di Cagliari.

“Il menù non sfama. Trasforma il menù in cibo”. Intendendo che l’amore non sfama se non diventa concreto con i gesti.

Ho notato che sei molto legato alla squadra come tifoso ma anche alla famiglia Giulini che ti ha offerto questa opportunità e ti sta supportando nel progetto dell’Accademia. Com’è il vostro rapporto?

È un rapporto di stima e rispetto, ho un forte senso di riconoscenza nei loro confronti. Mi hanno dato la possibilità di entrare nella famiglia del Cagliari Calcio ma non solo, la Fondazione Giulini supporta attivamente il mio progetto. L’Accademia del Gusto è nata grazie alla fiducia che hanno riposto in me. Anche per questo sono ancora più motivato nel far bene il mio lavoro e stare vicino alla squadra come professionista e come grande tifoso.

In questi ultimi anni sei stato fortemente impegnato nel sociale soprattutto nell’ambito giovanile, riuscendo sempre a coinvolgere amici e colleghi nel donare generosamente il proprio tempo e le proprie energie. So che non è una domanda facile e non voglio cadere nell’ovvio, ma vorrei capire come ti senti, che emozioni provi quando aiuti i meno fortunati.

Come mi sento? Bella domanda. Felice e innamorato di quello che faccio. Ma consapevole che sono solo un filo conduttore e da solo non avrei organizzato neppure una partita a carte!

L’Accademia del Buon Gusto non è una semplice scuola di formazione ma la sua creazione è un segno di risveglio e speranza. È nata per accogliere i ragazzi del quartiere che in questo modo possono scoprire e valorizzare le loro attitudini nei confronti della cucina. Gli allievi seguiranno un corso di 12 lezioni a tema, tenute da chef di grande prestigio. La collaborazione che tu sei riuscito a creare, dimostra che questo mondo sta crescendo, cambiando in positivo, e nonostante le molte difficoltà soprattutto di quest’ultimo anno, la solidarietà e la voglia di donare hanno vinto. Ritieni che il loro supporto andrà oltre questo progetto?

Noi ce lo auguriamo. Siamo tutti molto impegnati, abbiamo una famiglia, un lavoro, però siamo uniti nell’ obiettivo di formare questi ragazzi così che possano trovare una professione. Questo ci ripaga di tutti i sacrifici. E ai colleghi lancio sempre lo stesso appello, “Non lasciatemi da solo perché ho bisogno di voi”.

Nel tuo ruolo di chef del Cagliari calcio, hai ricevuto il supporto di altri colleghi che lavorano in questo ambito?

Si, uno in particolare, Gabriele Calvi, lo chef dell’Atalanta con il quale mi lega un bel rapporto di amicizia e la voglia di occuparci di cucina solidale. Insieme abbiamo già collaborato per sostenere la nascita dell’Accademia e contiamo di farlo nuovamente in futuro.

Oltre a quella attuale, quale altra esperienza lavorativa che hai vissuto in passato, porti nel cuore?

A Cala Sinzias, non lontano da Villasimius, nel ristorante Maklas. Che bello aprire il pass e vedere una cartolina in movimento. Un’immagine fantastica!

C’è un piatto della tradizione al quale sei particolarmente legato?

Veramente sono tre: i Culurgionis, su pani frattau, e sa burrida a sa casteddaia.

(ravioli di patate, pane carasau con salsa di pomodoro, pecorino e uovo pochè, gattuccio alla cagliaritana).

Di solito dopo che si è raggiunto un obiettivo, ne arriva subito un altro da perseguire. Il tuo prossimo quale sarà?

In fase di elaborazione ma sarà sempre nella mia bellissima Cagliari.

Parlando della tua esperienza televisiva, hai dimostrato di essere comunicativo e di impatto, arrivando alla semifinale di “Cuochi d’Italia”. Ti vedresti nuovamente impegnato in uno show di questo tipo?

Si certo, mi piace la sensazione che si prova prima di entrare in scena, l’adrenalina della gara. Non credevo di arrivare così in fondo in semifinale. Sono stato bravo, questo fatemelo dire. E quanto mi piacerebbe riprendermi la rivincita in finale.

L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia Covid-19 ha colpito duramente il settore della ristorazione. A distanza di un anno, purtroppo i segnali di ripresa sono ancora pochi ed è difficile portare avanti una programmazione efficace. In che direzione pensi andrà la cucina nei prossimi anni? Secondo te ci saranno dei cambiamenti sostanziali?

Credo che la pandemia come tutte le cose spiacevoli, ci abbia insegnato qualcosa. Una di queste è quella di rivalutare la cucina casalinga con la famiglia riunita attorno ad un tavolo che si dedica attenzioni e tempo. La ripartenza deve avvenire da questo, dai sapori di casa. Abbiamo ripreso le abitudini che erano delle nostre mamme e delle nostre nonne. Facciamo il pane, la pasta, i biscotti, la pizza. Si deve puntare su piatti non troppo complessi, semplici, rassicuranti che arrivano al cuore.

Cosa pensi dei puristi della cucina? Dei protocolli da seguire nel preparare certe ricette della tradizione?

Io sono un estroso, sono del segno dei gemelli, mi piace spaziare e mi faccio guidare dalla fantasia e dall’uso di ingredienti di qualità. Non esiste la ricetta perfetta, esiste la ricetta che ci piace. Se uno vuole mettere la panna nella carbonara che la metta, se uno vuole usare la pancetta anziché il guanciale ma perché no? Se si vuole mangiare il sushi con la forchetta, si deve essere liberi di farlo! Cucina è piacere, divertimento, evoluzione, mente aperta.

Tu hai sicuramente viaggiato tanto. Hai un piatto o una ricetta che ti ha conquistato?

Mi è rimasto il ricordo di un piatto semplice, che in Italia si dà quasi per scontato. Un kebab mangiato ad Istanbul. Uno chef turco mi ha mostrato quanto lavoro e precisione ci vuole per ottenere questa preparazione fatta ad arte, dal sapore eccezionale.

Vuoi darci una tua ricetta che parli di Sardegna e sia semplice da preparare anche fuori dai confini regionali?

Voglio studiarla a breve e dedicarla alla mia bambina che sta per nascere. Conterrà tutto l’amore che ho per la mia terra e il mio lavoro.

Sara Sanna

Ho 49 anni e abito in Sardegna. Ho lavorato come tecnico del restauro archeologico prima, poi, come guida turistica e operatrice museale presso la "Fondazione Barumini Sistema Cultura" che si occupa della...

Leave a comment

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.