Se ancora non la conoscete, vi invitiamo a leggere le righe che seguiranno. Abbiamo fatto una piacevole chiacchierata con Aurora Storari, (quasi!) 29enne, chef patissiere di origini romane.
Ciao Aurora, come va? Che inizio di 2021 è stato per te?
Abbastanza bene, ovviamente come tutti strappata via dalle mie abitudini (professionali e non), ma cerco di prenderla con ottimismo.
Da quando sei appassionata di pasticceria e come ti sei avvicinata a questo settore?
In realtà ho cominciato come cuoca, dopo cinque anni ho capito che il rigore della pasticceria mi si addiceva di più.
Hai studiato presso Alma – La scuola internazionale di cucina italiana e il Master della Cucina Italiana. Quali sono stati gli insegnamenti più importanti ricevuti?
L’Alma è stato il mio primo approccio al mondo della ristorazione, è stato il primo “assaggio” di cosa volesse dire far parte di questo mondo. A ogni modo la formazione che più mi ha “forgiata” è stata quella del Master della cucina Italiana, a cura della famiglia Alajmo; lì ho compreso la necessità di elevarmi in primis come persona, poi come professionista. Pensare che il mestiere del cuoco e del pasticciere sia solo scaldare una padella è sbagliato. Lo spessore umano è fondamentale e trovo sia una qualità imprescindibile di un grande chef.
Giusto per citarne alcuni, sei stata al Mirazur da Mauro Colagreco, all’Hedone a Londra con Mikael Jonsson e al ristorante milanese Trussardi alla Scala, nella cucina guidata da Roberto Conti. Quanto sei cresciuta personalmente e professionalmente?
Ci tengo a precisare: lo stage non è un’esperienza lavorativa. Si impara, si spala parecchio fango, se si è abbastanza intelligenti si prendono parecchi spunti, tutto ciò non significa assolutamente essere un dipendente. Voglio specificarlo perché sempre più spesso vedo cuochi inventarsi curricula e sparare esperienze lavorative vere per metà o vere affatto (sui social lo faccio spesso presente, lo trovo davvero incomprensibile!). Il Mirazur é stato il mio debutto in cucina, la primissima esperienza ed ero stagista. Tutte le altre esperienze sono state un crescendo dove man mano acquisivo capacità e responsabilità, ad ogni modo ogni esperienza mi ha lasciato qualcosa, forse quelle che più mi hanno formata sono state le ultime due, al Ratanà di Milano sotto la guida di Cesare Battisti e Luca De Santi, e a Chambre Séparée, in Belgio, a mio parere un posto incredibile.
Secondo te, come si fa a ottenere nei dolci un equilibrio tra appagamento e leggerezza?
Studiando, studiando e studiando. Allenare il palato e assaggiare ogni propria creazione, Una volta fatto questo a volte credo sia giusto affidarsi anche al proprio istinto.
Al momento sei operativa in Francia. C’è qualche creazione recente che vuoi raccontarci? Quanto l’emergenza epidemiologica sta incidendo sulla ristorazione francese?
Purtroppo qui il Covid é stato meno clemente, siamo chiusi da ottobre. A ogni modo lo scorso settembre é stato pubblicato un articolo su una rivista francese, Yam Magazine, dedicato al Ristorante in cui lavoravo. Tra le mie ultime creazioni che più hanno riscosso successo c’è il riso/latte/liquirizia, latte e acetosa, una rivisitazione della classica mimosa con umeboshi e fava tonka.
C’è un dolce non italiano che ti piace particolarmente?
La cheesecake basca!
Progetti nel cassetto da presentare prossimamente?
Sicuramente lavorare assieme al mio compagno Flavio Lucarini, sous chef (decisamente più bravo di me) a Parigi in un ristorante due stelle. Stiamo lavorando su un po’ di progetti che, Covid-19 permettendo, dovrebbero presto prendere vita. Avremo sì un ristorante, ma anche la boulangerie, con un blend tra Italia e Francia più le nostre varie esperienze. Abbiamo una visione ampia di cucina e pasticceria e non vogliamo essere etichettati come “italiani in Francia”.