La toponomastica, anzitutto, icastica come forse solo a Napoli è consentito: Via Vicinale Abbandonata agli Astroni, quartiere Agnano, sede dell’Azienda viti-vinicola Agnanum della famiglia Moccia, una zona apparentemente scabra, in prossimità del cratere degli Astroni. Pochi indovinerebbero dietro quei terrazzamenti, a conoscerne la genesi, percepibili a vista d’occhio nei pressi del corrispondente ingresso della Tangenziale, un’azienda agricola e viti-vinicola, vero e proprio avamposto della “memoria contadina” e della “biodiversità” in un territorio davvero unico, la città di Napoli. I vigneti sono infatti ubicati su circa cinque ettari di estensione, sulle storiche colline vulcaniche del Parco Naturale degli Astroni (ora Oasi del WWF), confinanti ulteriormente con l’antico cratere di Agnano ed il territorio di Pozzuoli, estendendosi impervie, indomite e tuttavia rigogliose e prolifiche, se curate dalle mani giuste.
L’avventura è iniziata nel 1990, anno in cui l’attuale proprietario Raffaele Moccia, da sempre appassionato di viticoltura, implementa accuratamente un piano di recupero dell’antico vigneto, abbandonando la professione di agrotecnico, spinto da una vocazione con una forte componente etica e solidale, i riconoscimenti istituzionali erano di là da venire, meno che mai le sovvenzioni: la qualificazione di “eroica” della pratiche di viticoltura è logico corollario, il sacrificio profuso quotidianamente nella continuità delle sfibranti accessi sulla impervie vigne è presto ripagato dai primi riconoscimenti delle guide di settore, e dalla collocazione della propria azienda ai vertici delle realtà produttive regionali.
Al vertice della gamma due straordinari cru rappresentativi di Agnanum, denominati Vigna del Pino, ovvero Falanghina in purezza allevata a spalliera puteolana, e Vigna delle Volpi, per quanto riguarda il Piedirosso, sui quali ci soffermeremo oggi. Due vini che sono prodotti in quantità davvero limitate (seicento bottiglie), destinate principalmente al circuito della ristorazione di profilo elevato, e per questo divenute oggetto di culto fra gli appassionati, sebbene sia praticamente impossibile reperire annate risalenti.
Partendo da Vigna del Pino –– derivazione nominativa dall’albero secolare che ingentilisce il profilo del vigneto corrispondente – trattasi di falanghina caratterizzata da una vendemmia tardiva, riposo sulle fecce vini, un anno di affinamento in acciaio seguito da un veloce passaggio in tonneau, visivamente dorato con riflessi verdolini, al naso cangiante e dal bouquet floreale, profumi di resina e camomilla in bell’evidenza, sorso teso ed avvolgente, acidità e mineralità in equilibrio: passando al Vigna delle Volpi – nome dedicato all’omonimo animale che scorrazza per la vigna, ammansita da Moccia – Piedirosso che riposa in cantina in botti di rovere per circa otto mesi, colore rosso rubino con riflessi granati, note di frutta matura, e poi di ginepro in risalto, con nuances di liquirizia e balsamiche, irriverente e dalle lunghe capacità di invecchiamento come solo i vini di stoffa possono essere.