I coniugi Pasquale Mitrano e Elisabetta Iuorio gestiscono l’azienda Casebianche, in Torchiara, a pochi chilometri di distanza dalla costa cilentana.

Due territori di provenienza differenti, l’Irpinia di Torella dei Lombardi lei, l’agro – aversano lui, il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano luogo d’elezione ove esercitare il mestiere di vigneron, in un casolare avito: coppia di coniugi nella vita, siamo andati a trovare Elisabetta Iuorio e Pasquale Mitrano all’interno della loro azienda Casebianche, per due chiacchiere ed un’estesa degustazione.

Lontani da ogni “integralismo colturale”, marito e moglie non nascondono, tuttavia, le loro propensioni in relazione alla filosofia che informa il proprio operato: con l’enologo Fortunato Sebastiano si sono mossi nel solco della tradizione con vitigni autoctoni, per poi dedicarsi alla messa a punto di tre “petillant nature”, ovverosia bollicine da metodo ancestrale, che hanno segnato un punto di svolta per l’enologia regionale nazionale, pluripremiati dalle guide di settore.

L’azienda agricola Casebianche si estende su circa quattordici ettari vitati, tra ulivi, agrumi e fichi, nel comune di Torchiara, in provincia di Salerno, in un territorio compreso tra il monte della Stella, il torrente Acquasanta ed il mare del Cilento: l’anno di fondazione è il duemila, sino all’abbandono delle rispettive professione per l’implementazione a tempo pieno del progetto imprenditoriale ed agronomico.

Per Pasquale Mitrano, architetto di professione – al suo studio ed estro si deve il progetto della riqualificazione e ristrutturazione dell’edificio della “Casa del Balilla” in Succivo, ora Casa delle Arti per progetti di utilità sociale – le parole paradigmatiche sono due, alla stregua di una pianta fondativa di un edificio. In primis la biodiversità, sulla scorta del rifiuto netto delle concezioni monoculturali, in secundis, un’attenzione maniacale profusa per la vitalità dei suoli mediante l’utilizzo di concimazioni naturali costituite dai sovesci, dando per scontato l’assunto che più trattamenti implicano inevitabilmente l’esposizione ad agenti patogeni invasivi e dannosi per la vite.

Un sorriso incornicia il volto del titolare quando ci confida, con un puntiglio tuttavia rigoroso, che gli architetti del suolo sono i lombrichi, i veri nemici delle lavorazioni meccaniche, la cui vitalità è cartina di tornasole del perfetto humus del terreno: qui viene chiamato flysch cilentano, contrassegnato dall’alternanza fra argilla e marne calcaree, ricco di materia organica anche perché di formazione alluvionale.

Doveroso menzionare, nella gamma aziendale, anzitutto la Matta, il Fric ed il Pashkà, ovverosia i vini rifermentati “sur lie”, il primo spumante, gli altri due frizzanti, tutti elaborati con il metodo della seconda fermentazione in bottiglia, ottenuta con l’aggiunta dello stesso mosto che ha generato il vino base. Rispettivamente, il primo ottenuto da Fiano in purezza, il secondo da Aglianico vinificato in rosato, ed infine il terzo, sapiente blend, in proporzioni paritarie, di Aglianico e Barbera piemontese.

Nessuna aggiunta di zuccheri, lieviti e solforosa, inoltre, per questi vini iconici, dalle etichette immaginifiche e con rimandi alla tradizione culturale  e simbolica partenopea: la fermentazione si innesca spontaneamente con il solstizio di primavera – Steiner è dietro l’angolo – e la sboccatura non viene mai eseguita, proponendo i vini con i sedimenti in bottiglia prodotti dalla rifermentazione.

La produzione aziendale, di circa quarantamila bottiglie annuali, comprende anche altre etichette, che assaggeremo nel corso della partecipata ed appassionante degustazione, insieme ai proprietari: il base Cumalè Fiano Cilento D.O.P. 2019, Fiano in purezza della costa, fresco, con un timbro leggermente salmastro, seguito dal notabile – ad avviso dello scrivente – Iscadoro Bianco Paestum I.G.P. 2018, blend di Fiano, Malvasia e Trebbiano, con macerazione delle uve per poco meno di una settimana, e affinamento sui lieviti di otto mesi in acciaio e legno, di grande profondità e eterodossia di bevuta.

Passando infine ai rossi, l’eleganza beverina del “Dellemore” Rosso Cilento D.O.P., con note dominanti di frutta rosse e fiori primaverili, al palato sapido e succoso: concludendo con la complessità e lo spessore del “Cupersito Aglianico del Cilento DOP”, prodotto esclusivamente con le migliori uve selezionate “cru” nei vigneti aziendali, affinamento in botti di rovere grande con ulteriore almeno sei mesi in bottiglia, tannino vibrante al palato e sottofondo speziato di menta e liquirizia.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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