Davide Sagliocco è un docente di cucina ma è anche è diventato, grazie alla sua abilità e la sua simpatia, un volto televisivo molto noto sulla Rai, inoltre molte delle sue ricette si possono trovare sulle riviste di Food in edicola.
Grazie al suo impegno nel sociale e nella formazione, è stato nominato nel Gennaio 2022 Ambasciatore per le eccellenze italiane nel Mondo, rappresentando la cucina italiana.
Lo abbiamo intervistato:
Ciao Davide, come ti sei avvicinato alla cucina?
È una passione davvero innata e che ho sempre avuto fin da piccolo. La prima persona che mi ha trasmesso questo amore è stata mia mamma. A casa si cucinava tanto, essendo noi una famiglia numerosa, e si cucinavano soprattutto piatti tradizionali. Ho appreso molto anche da mia nonna, spesso mi mettevo vicino a lei. E quindi già da piccolo ho iniziato a cucinare e sperimentare. Pian piano da una passione, nel corso del tempo, si è trasformato in un percorso di studi e poi, acquisendo attestati professionistici e diventando uno chef, in un vero e proprio lavoro.
Diverse sono state le tue esperienze in ristoranti e alberghi, ci racconti il tuo percorso?
Ho iniziato a viaggiare molto presto, collezionando diverse esperienze di vita fondamentali per il successo della mia professione attuale.
Ho maturato importanti esperienze sia in Italia che all’estero e preziosi sono stati gli incontri con alcuni chef, per una riflessione profonda sulla cucina tradizionale, il mio principale nucleo di interesse, accostato all’arte del ricevere e al savoir-vivre contemporaneo e innovativo che trasmetto attraverso la mia cucina.
Hai vinto il Premio Chef d’Autore “Tradizione e innovazione” 2009 consegnatoti da Carlo Cracco, ci racconti qualcosa in più?
E’ stato un premio molto importante per me, non tanto perché il premio mi è stato consegnato da uno chef famoso come Carlo Cracco, ma per essermi avvicinato alla cucina gourmet, senza tralasciare le basi della cucina tradizionale. Ricordo che porterò sempre costudito nel mio cuore.
Qual è il rapporto di Milano con il cibo?
Credo stia diventando sempre più internazionale, subisce tante contaminazioni, è una città che si evolve verso nuove visioni di cucina.
Hai collaborato nell’ambito del progetto World Recipes per Expo 2015, che esperienza è stata?
È stata una grandissima opportunità per me e per tutto il mondo del food.
Quando mi hanno proposto di collaborare con Expo 2015 e rappresentare la cucina italiana nel mondo, ho respirato un’energia incredibile, credo che tutti gli italiani dovrebbero provare una sensazione del genere.
Mi ha emozionato camminare nei viali dei padiglioni, si ha la sensazione di abbracciare tutte queste culture diverse, davvero una cosa forte.
In più sono stato premiato per la rivisitazione salata della tradizionale tarte tatin di frutta, torta dolce, tipica della cucina francese.
Le “patate alla papalina”, ti hanno reso celebre, com’è nata la ricetta?
La prima volta è stata nell’aprile del 2008, al palazzo Apostolico di Roma, nel corso di una cena molto importante, Papa Ratzinger Benedetto XVI, ha ripercorso con noi quella serata importante, «volle accertarsi prima che il menu fosse di suo gradimento.
Ricordo di aver preparato le patate alla papalina composte proprio per lui e una cacio e pere.
Gli piaceva molto la pasta fresca ma anche le patate da buon tedesco. Rammento anche che alla fine gli preparammo un Apfelstrudel, lo strudel di mele viennese, molto diffuso anche in Baviera, la regione che gli ha dato i natali. Ma lo volle espressamente senza cannella, perché non gli piace.
Di li a poco il passo e stato breve e le patate alla papalina sono state pubblicate in diversi siti e guide di Food.
Sei Chef e Docente di Tecnica di Cucina Professionale presso i Centri di Formazione Alberghiero di Roma, come riesci a coniugare tutte queste attività?
È una domanda molto difficile. Per trovare il proprio stile in cucina, soprattutto nella figura di Docente ci vuole tempo, molto studio, sacrificio e umiltà. Per il resto, mi piace lavorare con i miei alunni a stretto contatto, quasi come un’esecuzione di una ricetta a quattro mani, con attenzione, amore e condivisione. Il risultato può anche essere un piatto semplice, ma ugualmente pieno di qualità e gusto e tradizione.
La capacità di insegnare è una grande qualità. Non è detto che un bravo chef sappia anche trasmettere il suo sapere insegnando qualcosa che hai dentro. Ho compreso questa mia capacità nel corso degli anni e questo mi ha portato a capire delle dinamiche fondamentali e come dire ciò che sapevo ai miei allievi. Ho seguito un progetto della regione Lazio e mi sono speso per insegnare ai ragazzi più fragili con problemi sociali e fisici. È stata un’esperienza bellissima, all’inizio anche molto dura, ma poi un vero ed intenso scambio; io ho insegnato loro e loro hanno insegnato a me. E’ stata una grande soddisfazione e grande felicità vedere la gioia nei loro occhi al termine del percorso mentre gli venivano consegnati gli attestati.
Insegnando da 15 anni posso dire che quando esco da scuola sono esausto, nel corso delle lezioni do tutto me stesso, ma nello stesso tempo sono soddisfatto perché diversi dei ragazzi che hanno frequentato le mie lezioni si sono poi affermati ed inseriti nel settore, trovando lavoro anche all’estero. Questo è straordinario pensando da dove erano partiti. Con molti di loro il rapporto va oltre l’essere il loro docente e formatore, rimane con alcuni un legame umano, trovo sia questo qualcosa di fondamentale.
Un aggettivo per definire il tuo stile in cucina e la tua filosofia?
La mia idea di cucina è fluida, nasce da un’emozione o da un ricordo.
Mi piace definire la mia cucina liquida perché cambia continuamente, così come io stesso cambio. Ecco perché non smetto mai di sperimentare.
Innovazione, saperi e tecniche della cucina contemporanea creano forme, consistenze e colori dei ricordi della tradizione.
In cucina ci sono alcune ricette che possiamo considerare sacre. Magari perché ce le hanno sempre preparate persone speciali (come la nonna o la mamma), ma anche perché sono buonissime nella loro semplicità, al limite della goduria. Da buon romano la cacio e pepe rientra di diritto in questa categoria.
È il modo migliore che ci sia per rendere ancora più buono qualcosa di già buonissimo.
Il 20 Gennaio 2022 sei stato incaricato e premiato come Ambasciatore Doc Italy 2022 per la consulenza e formazione del food nel mondo per valorizzare le eccellenze italiane, cosa significa per te?
Essere nominato ambasciatore per me è un onore e una responsabilità, con molta umiltà ho accolto la nomina da parte di Doc Italy nel rispetto dell’impegno che quotidianamente cerco di mantenere ciò nel quale credo, quello di far conosce e tutelare tutte quelle eccellenze italiane fatte di persone che giorno dopo giorno anche a fatica non smettono di crederci anche dopo questo lungo periodo che ci sta mettendo a dura prova. Continuerò in modo silenzioso e umile a fare il mio lavoro di ambasciatore mettendo al primo posto gli altri e la mia italianità.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Sicuramente quello di insegnare, ma anche il desiderio di aprire un nuovo concept di ristorazione con pochi posti con una cucina innovativa, di livello, ma con dei prezzi accessibili. Dare la possibilità di riscoprire piatti gustosi e belli. Dare emozione attraverso i miei piatti. Questo lo indico anche quando faccio consulenze per le start-up di ristoranti ed è quello che facevo quando avevo il ristorante Borgo Antico in centro a Roma, fra l’altro dove ho conosciuto Papa Ratzinger.
Un altro progetto a me caro è un libro, ma non il solito libro di cucina con le classiche ricette, ma un libro che abbia sempre quel qualcosa di emozionale.