in questi giorni è ripartito il delivery in Campania, bene anzi male perchè noi italiani siamo davvero bravi, bravissimi in tante cose buone ma spesso anche in cose che non ci fanno onore.

Siamo maestri nell’arrangiarci, nel creare, nel costruire, nell’inventare.Talmente bravi che a volte ci inventiamo anche situazioni che non trovano supporto nella legge. Nel marasma normativo che ci circonda in questa situazione di lockdown, che cambia alla velocità della luce e che ha, come unica costante, continue lacune che non fanno altro che prestarsi a interpretazioni spinte ai limiti del possibile, già avevamo segnalato quanto le ordinanze locali e nazionali non aiutassero certo a dipanare l’incertezza del periodo.

Dichiarazioni, correzioni, precisazioni ormai sono all’ordine del giorno. È della scorsa settimana la notizia che, nonostante lo spiraglio concesso con la consegna in delivery al mondo della ristorazione campana, tante attività per loro natura non adatte a questa modalità, avevano deciso di non riaprire le saracinesche.

Avevamo dato voce a molti di questi operatori del settore che per varie ragioni sono ancora fermi.Opinione comune a molti di loro era che la decisione di riaprire solo alle consegne a domicilio era discriminante in quanto non teneva conto delle peculiarità delle loro attività, adattandosi quasi esclusivamente a locali per definizione portati a questo tipo di vendita quali pizzerie, gastronomie, rosticcerie e simili.Ovviamente la consegna a domicilio, per una semplice questione numerica, meglio si adatta alle attività situate all’interno di grandi città rispetto a quelle dei piccoli centri, obbligate però a sostenere comunque le stesse spese per adeguarsi a tutte le prescrizioni richieste.

Ad aggravare ancora (ebbene sì) la situazione delle attività di provincia il divieto di effettuare consegne al di fuori del comune di appartenenza, cosa comprensibile in una città con un territorio molto esteso e un numero di abitanti elevato, molto meno in un piccolo centro.Probabilmente non si è tenuto conto di una peculiarità della nostra regione e soprattutto delle province di Napoli e Caserta, uno dei motivi che ha determinato la linea dura della regione durante l’emergenza Covid, e cioè la contiguità territoriale dei comuni dell’hinterland.Viviamo in aree caratterizzate da una densità abitativa che non ha uguali in Europa, con comuni separati tra loro solo da un lembo di marciapiede, quindi capirete bene come sia molto difficile lavorare solo in base al “codice di avviamento postale”.

Sarebbe quasi come dire che se la tua pizzeria è al confine tra Vomero e Arenella tu devi consegnare solo in uno dei due quartieri.I più rispettosi si sono adeguati a questa disposizione, c’è chi ha aperto e effettua consegne solo nel suo comune e c’è chi facendo le sue valutazioni e i suoi calcoli ha pensato che è meglio aspettare la prossima settimana continuando ad attrezzarsi al meglio per la ripresa e, soprattutto, sperando che la regione non cambi idea rispetto alle disposizioni nazionali.Però dicevamo, siamo in Italia, siamo furbi e qualcosa sempre ci inventiamo.Ieri sono arrivate da più parti segnalazioni di attività di ristorazione che effettuano tranquillamente consegne fuori dai propri comuni, con tanto di locandine social che elencano i comuni raggiunti dai loro “servizi”.

Fatta la legge, trovato l’inganno? In realtà qui la legge non c’è, perché si sta forzando, come al solito, una lacuna normativa che riguarda il settore “food delivery”. Pur di aggirare la norma si sta facendo leva sui contratti che regolano l’attività di consegna di spedizionieri, corrieri e tutto quello stuolo di fattorini a cui ormai, soprattutto negli ultimi due mese, tutti abbiamo fatto ricorso superando ogni timore di contagio.Il corriere, per contratto, consegna ovunque, da una parte all’altra d’Italia o al limite entro un raggio di azione solitamente chilometrico. Quindi che si fa?

Si equipara il corriere al fattorino della piattaforma di food delivery, approfittando del fatto che la categoria non è ancora ben regolamentata dal legislatore, e lo si manda in giro per intere provincie a infrangere un divieto imposto con ordinanza regionale, tanto se dovesse essere fermato per un controllo, ha le autorizzazioni da “corriere” e quelli, si sa, possono andare ovunque, con buona pace di chi, essendo fornito di fattorini privati aspetta nuove disposizioni.Ancora una volta si pecca in buon senso, si approfitta di una situazione di difficoltà generale per provare a trarne un poco di profitto in più.

E la cosa si sta estendendo anche oltre il settore food visto che arrivano sempre più segnalazioni di “parrucchieri a domicilio” solo per fare un esempio rivolto ad un’altra categoria totalmente ferma e che già da che non potrà tornare a lavorare prima di giugno.

Ne emerge una guerra tra poveri, una mancanza di coesione (e qui nessuna novità) all’interno delle categorie che non fa presagire niente di buono per il futuro, quando ci sarà da lavorare per ricostruire i cocci che questa situazione ha lasciato per strada.Ma poi, diciamoci la verità, chi se la mangia questa pizza che consegnate in 15 comuni sparsi per la provincia? Io non me la faccio portare nemmeno dalla pizzeria a 200 metri da casa.

Anna Orlando

Maturità classica, laurea in giurisprudenza, avvocato da oltre 15 anni. L'interesse per la cucina e per il cibo nasce dall'aver osservato in silenzio prima una nonna e poi una mamma ai fornelli. L'essere...

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