Federica Fina è giovane, brillante ed entusiasta del suo lavoro. Gestisce la comunicazione e il marketing delle Cantine Fina fondate da papà Bruno nel 2005. Insieme ai suoi fratelli, Marco e Sergio, coadiuva il padre in questa attività vitivinicola che è un unicum nel panorama siciliano in quanto, oltre ai grandi vini classici dell’isola, produce varietà internazionali come il Traminer e il Sauvignon Blanc.
Ciao Federica, ci racconti un po’ la storia delle Cantine Fina?
Cantine Fina venne fondata nel 2005 da mio padre Bruno, enologo ormai da più di 40 anni, che riuscì a coronare il suo sogno. La grande fortuna di mio padre fu quella di incontrare Giacomo Tachis, uno degli enologi italiani più famosi al mondo con il quale ha lavorato per più di 20 anni. All’epoca, mio padre era un giovane enologo e si “fece spugna” affianco a una figura così importante nel mondo dell’enologia. Proprio in quel periodo iniziò a maturare l’idea di fondare una sua cantina.
Mia madre ha costantemente spronato papà a fare questo grande passo. Io e i miei fratelli abbiamo vissuto tutto il percorso e ci siamo sentiti coinvolti in questo progetto sin da subito. La grande bravura di mio padre è stata proprio quella di trasferirci questa sua grande passione.
La cantina nasce in una zona meravigliosa su una collinetta a Marsala a 150m dal livello del mare. Si affaccia sulle Egadi e sulla riserva dello Stagnone, cosa che è anche molto apprezzata da chi ci viene a trovare in cantina. Da qui, infatti, si riesce ad ammirare uno splendido tramonto.
Oggi io e i miei fratelli lavoriamo al fianco di nostro padre. Marco, il maggiore, si occupa della parte amministrativa e commerciale e della gestione dell’azienda. Sergio è enologo ed è il braccio destro di papà nell’area tecnica. Io mi occupo di marketing e comunicazione oltre a occuparmi dell’enoturismo. Trovo che quest’ultima sia la parte più bella del mio lavoro in quanto consente di incontrare gli appassionati del vino e accogliergli in cantina per raccontare la nostra storia, cosa di cui non mi stancherò mai.
Federica, come è avvenuto il tuo ingresso in azienda?
Quando nacque la cantina, dissi sin da subito che avrei voluto dare il mio contributo alla sua crescita. Finito il liceo, decisi di studiare Marketing e Comunicazione a Roma. Nel 2014, dopo la laurea, tornai a Marsala e iniziai a compiere i primi passi in cantina. Non riuscivo a ritagliarmi uno spazio ben definito, quindi decisi di fare un’esperienza fuori dalla mia realtà. Feci un intership a Londra presso una società di telecomunicazioni. La scelta cadde su Londra anche per avere la possibilità di potenziare la mia conoscenza della lingua inglese. Dopo l’esperienza londinese, sono ritornata a casa e ho cominciato a occuparmi della comunicazione attraverso i social e gli eventi. Nel 2015 abbiamo aperto una nuova struttura, accanto alla cantina, completamente dedicata all’enoturismo.
Sicuramente l’attività di enoturismo è il metodo più efficace di avvicinamento al vino, vale per gli appassionati, ma anche per chi si avvicina al vino per la prima volta. È un modo per istruire la gente su questo mondo. È un modo per scoprire le emozioni dentro un calice di vino.
Attualmente le nuove realtà della zona stanno puntando sempre di più sui vitigni autoctoni, come Grillo e Nero d’Avola. Voi avete deciso di puntare anche sui vitigni internazionali, come nasce quest’idea?
Intanto, non possono mancare nella nostra offerta vini autoctoni come il Nero d’Avola, il Grillo, il Perricone e lo Zibibbo. Possiamo definirci un’azienda “paradosso” perché lavoriamo diversi vitigni internazionali.
Alle spalle c’è tanta sperimentazione iniziata verso la fine degli anni ’80 quando mio padre era l’enologo responsabile della cantina sperimentale dell’Istituto Regionale della vite e del vino. In quegli anni, il vino siciliano era ancora considerato vino da taglio. L’allora presidente dell’Istituto organizzò questo studio sperimentale per capire quale fosse la vocazione della Sicilia. Furono impiantate varietà internazionali su tutto il territorio siciliano per poi studiarne i risultati in cantina sperimentale. Quello studio segnò la svolta epocale della Sicilia enoica, perché i risultati parlavano chiaro. Si potè iniziare a parlare di Sicilia continente vitivinicolo, una terra dove poter trovare piccoli terroir per ogni tipo di varietà. Mio padre, durante la cantina sperimentale dell’Istituto Regionale della vite e del vino, ebbe il suo “incontro fortunato” con Giacomo Tachis, che era consulente esterno.
Mio padre ha portato quest’esperienza e gli studi di quegli anni all’interno di Cantine Fina. Siamo quei folli che nel 2009 presentarono il primo Traminer siciliano, impiantato a Erice a 550m sul livello del mare, dove c’è un monte che si trova accanto a Trapani sul versante nord, una terra che riceve solo i venti che provengono da nord. Così, nasce il nostro Kikè.
Il Traminer è la vostra punta di diamante, così come il Sauvignon Blanc o il Caro Maestro, un omaggio di tuo padre al suo maestro del vino Giacomo Tachis, un taglio bordolese di Cabernet, Merlot e Petit Verdot. Ci puoi dire qualcosa in più?
La nostra etichetta icona è il “Kikè” fatto per il 90% Traminer e 10% Sauvignon Blanc. È una dedica fatta a me da mio padre. Dovete sapere che da piccola mi chiamavano Kiketta e per abbreviarlo mi chiamavano appunto Kikè.
Il Caro Maestro è il primo vino prodotto dalle Cantine Fina, una dedica che mio padre ha fatto al suo maestro Tachis, un taglio bordolese 70% Cabernet Sauvignon, 25% Merlot e 5% Petit Verdot.
Poi, abbiamo il Mammarì, un Sauvignon Blanc al 100%, dedicato a mamma Mariella, che ha sognato e realizzato con mio padre questo progetto.
Il Kebrilla è il nostro Grillo, vino che per la città di Marsala è una bandiera perché storicamente questa varietà viene utilizzata per fare il vino Marsala. Lo produciamo facendo una piccola percentuale di fermentazione in legno, circa il 15% del mosto, e la restante parte in acciaio. La scelta di mio padre fu quella di produrre le uve in due zone molto diverse: il 50% delle uve si trova sul livello del mare di fronte alle saline; il restante 50% si trova in collina. Al calice si può sentire un vino molto minerale, ma al contempo molto equilibrato tra sapidità, acidità e freschezza, è anche molto versatile.
Ultimamente, un nuovo prestigioso riconoscimento per le Cantine Fina di Marsala. La bottiglia Mammarì, Sauvignon Blanc 100%, si è aggiudicata la Gran Medaglia d’Oro al Concorso Internazionale Città del Vino.
Siamo molto orgogliosi di questo riconoscimento. Mio padre punta molto sul Sauvignon Blanc che è sicuramente uno dei vini più difficili da produrre in quanto ha un alto rischio di ossidazione già in pianta e quindi la tempistica di raccolta è cruciale. In Nuova Zelanda c’è una leggenda che dice che per fare un buon Sauvignon Blanc bisogna dormire in vigna per non sbagliare il giorno di raccolta.
In Europa, l’azienda è un po’ ovunque, con un’ottima copertura in Germania e in Svizzera, senza dimenticare la crescita negli USA. Come sono distribuite le vostre vendite e cosa apprezzano maggiormente i clienti esteri?
Noi ci rivolgiamo al mercato Horeca, il nostro core business è sicuramente l’Italia con un direttore commerciale che gestisce una serie di agenti distribuiti sul territorio nazionale. Negli anni ci siamo fatti affiancare da un export manager che ha segnato realmente la svolta della cantina all’estero. Sicuramente i mercati più importanti sono il Giappone e gli Stati Uniti. Negli Usa vado due volte all’anno nel periodo di marzo/aprile e poi verso ottobre, mi occupo di fare affiancamento ai venditori e formazione ai nostri importatori. Con loro giriamo ristoranti e clienti o potenziali clienti per far conoscere il nostro brand.
Perché avete scelto la palma come vostro logo?
Rappresenta un estratto che si trova nella stanza di Re Ruggero nella Cappella Palatina a Palermo. I miei genitori, durante un viaggio, si innamorarono di questo dettaglio e così scelsero di rivisitarlo e utilizzarlo come logo delle Cantine Fina.
Organizzate anche visite in cantina con una serie di degustazioni. Quant’è divenuto importante l’enoturismo per il vostro settore?
Tantissimo, è una parte essenziale della nostra attività. Una cosa è bere del vino, un’altra è quando conosci la storia che sta alle spalle di una cantina come la nostra. Una volta che la conosci, il vino acquisisce un valore agli occhi del cliente e diventa tutto più magico. Quest’attività ti permette di interagire con il consumatore finale e di stabilire dei rapporti di fidelizzazione che, altrimenti, sarebbero impossibili. Noi dobbiamo ringraziare molto il consumatore finale in quanto ha contribuito tantissimo al nostro sviluppo. Ci ha regalato il successo che abbiamo oggi. Ci dà il “premio” più importante.
Molti sono i giovani che si avvicinano al mondo e alla cultura del vino, come ti spieghi questa tendenza?
Credo che un ruolo centrale lo abbiano svolto i social che hanno permesso di comunicare il vino in maniera più diretta, riuscendo quindi a incuriosire anche i giovani. Non credo che sia una moda del momento. Penso che si stiano diffondendo di più la consapevolezza e la conoscenza del vino.
Sei stata insignita da Confcommercio Sicilia come “Giovane donna imprenditrice dell’anno”. È un grande riconoscimento, te l’aspettavi?
A dire il vero, no! È stata una selezione molto lunga basata su due interviste. Lo step finale fu quello di fare un video di presentazione alle 15 finaliste. Alla premiazione ho ricevuto due premi: uno come Prima Classificata “Giovane donna imprenditrice dell’anno” e l’altro come seconda classificata per “Impresa è donna – Imprenditrice dell’anno”. Ho condiviso il podio con Annalisa Pompeo di GoEatSicily (primo posto) e Arianna Campione di Kymia (terzo posto).
Ci racconti di cosa ti occupi per delegazione delle Donne del Vino Sicilia?
È un lavoro di squadra molto motivante. Collabo con le colleghe anche se, tutt’oggi, ho difficoltà a chiamarle così perché rappresentano la storia del vino in Sicilia. Dopo le riunioni che facciamo, torno a casa arricchita in quanto riesco sempre a portarmi dietro un insegnamento.
Nello specifico, mi occupo della comunicazione e dei social. Siamo in tre a gestirli: io, Maria Elena Leta e Maria Antonietta Pioppo. Sono molto felice di dire che siamo in 40 a far parte della delegazione Sicilia e 800 in tutt’Italia.
La pandemia ha colpito duramente la nostra economia: il settore vino siciliano come ha reagito?
Ci riferiamo al mercato Horeca e con il lockdown abbiamo avuto un po’ di problemi. Però, ci ha stupito positivamente il riscontro che abbiamo avuto dall’e-commerce che, durante il periodo pandemico, è cresciuto enormemente. Lavoriamo con alcuni shop on-line come Vivino, Vino75 e Calmewine.
Questo periodo ci ha fatto capire che siamo di fronte a un consumatore consapevole che sa cosa vuole e che va alla ricerca di un’etichetta specifica.