Stasera, durante il programma di inchiesta Report, verrà trasmesso un documentario che promette di svelare uno dei lati più oscuri dell’industria alimentare europea: Food for Profit. Questo  documentario, condotto da Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, si propone di gettare luce sul connubio tra industria della carne, lobby e potere politico, evidenziando i miliardi di euro destinati agli allevamenti intensivi, che rappresentano una minaccia per gli animali, l’ambiente e la salute pubblica.

Attraverso un approccio cinematografico e un’indagine accurata, Innocenzi e D’Ambrosi ci condurranno in un viaggio sconcertante attraverso l’Europa, confrontandosi con allevatori, multinazionali e politici. Una squadra di investigatori, operanti sotto copertura negli allevamenti di vari paesi europei, ha scoperto la realtà nascosta dietro le produzioni di carne e formaggio, rivelando la crudeltà degli allevamenti intensivi.

Uno degli episodi più scioccanti del documentario avviene a Bruxelles, dove un lobbista riesce a introdurre una telecamera nascosta nei luoghi dove vengono prese le decisioni politiche, raccogliendo prove sconvolgenti sulle connivenze tra industria e politica.

Food for Profit non si limita a mostrare l’orrore degli allevamenti intensivi e la protezione politica di cui godono, ma affronta anche le principali problematiche legate a questo tipo di produzione industriale. Tra queste, l’inquinamento delle acque, lo sfruttamento dei migranti impiegati negli allevamenti, la perdita di biodiversità e la resistenza agli antibiotici.

Questo documentario si preannuncia come un’opera illuminante che promette di scuotere le coscienze e mettere sotto i riflettori un settore dell’industria alimentare troppo spesso ignorato. “Food for Profit” invita il pubblico a riflettere sulle proprie scelte alimentari e a chiedere conto alle istituzioni sulle politiche che regolano questo settore cruciale per la nostra salute e per l’ambiente.

Il tema è quanto mai valido ed è importante che se ne parli ma non solo demonizzando ma soprattutto facendo proposte concrete.Noi a tal proposito  abbiamo voluto chiedere il parere ad un esperto, Vincenzo PerettiProfessore di zootecnica generale e miglioramento genetico all’Università Federico II di Napoli

Ecco il suo punto di vista:
“…………. più che una proposta di legge, che certo sempre a qualcosa serve, senza dimenticare che esistono già molti regolamenti UE e leggi in tal senso, ma poco applicati, serve una nuova e sostenibile scelta alimentare di ognuno di noi e soprattutto produzione vera del cibo. Dalle persone deve nascere la consapevolezza di quello che mangiamo, attenti ad evitare scelte integraliste, lontane dall’ambiente e a volte pilotate da fanatiche convinzioni. La dieta mediterranea esiste da tempo e ancora oggi se ben seguita potrebbe riportarci su una corretta strada, che tiene conto della salute dell’ambiente, degli animali e delle persone. L’allevamento “conservativo”, come proponiamo da sempre e abbiamo già sperimentato in diversi territori campani, con prodotti locali e di qualità, deve prendere il posto dell’allevamento industriale intensivo e della sua economica produzione. Bene questo documentario per sensibilizzare le persone, ma non diventi la verità di un settore (la maggior parte) che per fortuna è ben lontano da queste “ignobili” condizioni mandate in onda”.

Allevamento conservativo

Il Prof. Peretti ci spiega cosa si intende:

Ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti salvaguardando il benessere animale è possibile. La soluzione esiste e si chiama “allevamento conservativo”. Si tratta di un sistema di produzione animale tradizionale, innovativo e sostenibile che integra aspetti genetici, nutrizionali, economici e che mira alla salvaguardia dell’autoctono, al benessere animale e alla tutela dell’ambiente. L’obiettivo finale è quello di rendere gli animali più robusti e longevi tramite un Dna meno specializzato, per ritornare alla duplice attitudine, latte e carne.
Gli allevamenti intensivi, nati per sfamare una popolazione sempre più in crescita con l’attenuante di produrre cibo a prezzi convenienti, hanno creato stress e patologie negli animali coinvolti. Contemporaneamente l’utilizzo massivo degli animali ha visto crescere in modo proporzionale il fabbisogno fisiologico alimentare degli stessi, contribuendo al consumo eccessivo di proteine vegetali, togliendole alla disponibilità dell’uomo, e nell’uso di antibiotici. Inoltre, il suolo è stato sottoposto a forti pressioni con conseguenze gravi per la sostenibilità dell’ecosistema, vittima di desertificazione, inquinamento idrico e atmosferico. Ok
Il consumatore sta cambiando il criterio di scelta dei prodotti da acquistare. Impatto ambientale e benessere animale stanno assumendo una posizione sempre più importante ecco perché è arrivato il momento di offrire valide alternative ai prodotti provenienti da allevamenti intensivi. Nel nostro centro sud Italia esiste ancora un ambiente agrosilvopastorale vero e incontaminato. Una risorsa che può essere sfruttata al meglio al patto di utilizzare una genetica animale non troppo selezionata con buona capacità di pascolamento, massima robustezza e grande adattabilità. L’allevamento conservativo può essere, quindi, la soluzione giusta per realizzare una valida alternativa alla zootecnia intensiva.
In Italia e in Europa l’allevamento conservativo è stato frenato dalla politica agraria dell’Unione europea (Pac) che per anni ha erogato sussidi rivolti all’allevamento convenzionale (quindi alla produzione intensiva), trascurando il rapporto con l’ambiente. Buone notizie arrivano dal Green Deal: sono stati rimossi gli incentivi controproducenti per l’ambiente, sostituendoli con altri rivolti a una gestione sostenibile dell’agrosistema che farà da trampolino di lancio per gli allevatori che vogliono cambiare rotta e dirigersi verso la sostenibilità.

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