Il Faro di Capo d’Orso, storico locale della famiglia Ferrara, cambia veste, affidando la direzione della cucina allo chef Salvatore Pacifico in interplay con il talento della sala e sommellerie Bonny Ferrara.
Da un lato, la fissità di uno dei panorami più stupefacenti della nostra penisola, un tratto di costa che spazia da Amalfi e Positano sino ad arrivare a Vietri sul Mare, con l’arcipelago delle Isole Li Galli a rappresentarne propaggine ed estensione marina.
Dall’altro, il dinamismo e l’ambizione di una famiglia, quella dei Ferrara, che da anni con il proprio ristorante Il Faro di Capo D’Orso rappresenta l’eccellenza della tradizione d’accoglienza e gastronomica regionale, non a caso pluripremiati dalle guide di settore, Michelin inclusa, con il conferimento dell’agognata stella.
Il nuovo corso del locale, ebbene, è rappresentato dalla collaborazione con lo chef pluristellato Andrea Aprea – che del resto ha sempre rappresentato ai vertici le proprie origini, in una capitale complicata come quella meneghina, sino a raggiungere le due stelle, per inciso primo cuoco a portare la stella Michelin in un ristorante d’Hotel, al Park Hyatt – con un progetto di adattamento della propria concezione di fine-dining alla tradizione identitaria locale.
La direzione della cucina è stata dunque affidata a un suo valido collaboratore, il pugliese Salvatore “Totò” Pacifico, appena trentenne, con trascorsi professionali in contesti disparati e altrettanto prestigiosi, Felix Lo Basso, Massimiliano Alajmo ed i fratelli Cerea in primis.
Vento esclusivi coperti in una sala abbarbicata su di uno sperone roccioso, il verde delle maioliche vietresi dipinte a mano rifulge nell’elegante sala, un’accoglienza informale e tuttavia inappuntabile, che fanno della personalizzazione del servizio il proprio fiore all’occhiello, a cavallo fra rigore e rifiniture di stile.
Tre i menù degustazione disponibili, “tradizione in progresso” da cinque portate, “sapori d’a-mare” da sei, ed infine “contemporaneità”, da sette, con preparazioni composite che spaziano da variazioni di classici ad altre con marcate influenze internazionali, ed altrettanti pairing di vini disponibili, spesso improvvisati “a braccio” dall’estroso sommelier Bonaventura “Bonny” Ferrara.
Una proposta gastronomica flessibile e poliedrica, dunque, sorretta da un lavoro di sperimentazione “temperata” e di revisione ragionata dei canoni della cucina mediterranea, alla quale la supervisione di Aprea ha conferito lucidità espressiva, lontana da interpretazioni oleografiche o, ancora peggio, di maniera.
Passando alla degustazione, si inizia dalla teoria di amous-bouche, da mangiare rigorosamente con le mani, con l’imprimatur territoriale in risalto: “alicetta indorata e fritta di Cetara con gel all’aceto, cannoncino di parmigiana di melenzane, lemon-spritz”, a seguire la “cozza ripiena di friggitelli”, riuscito l’intento di creare una tensione gustativa che stimoli il palato dei commensali senza requie, costituendo una vera e propria avanguardia di sapore. In pairing, la duttilità dello Champagne Valentin Leflaive extra Brut Blanc de Blancs CV 17/50, Chardonnay in purezza, davvero fine e persistente, dalla spiccata acidità.
Ecco, dunque, i pani artigianali, pagnotta di pane tipo 1 lievitata ventiquattr’ore, focaccia pugliese – evidente omaggio alle radici dello chef – accompagnata da olio evo monocultivar Pisciottana prodotto dalla famiglia Ferrara nel Cilento, sapido e dalla deliziosa spinta vegetale.
Proseguendo, sulla “seppia nera alla luciana”, ecco sovvenire in abbinamento un grande classico enologico della Costa D’Amalfi dell’azienda Marisa Cuomo, il Furore Bianco Fiorduva D.O.C. 2017, blend di cru di vitigni autoctoni, di grande struttura e complessità, che ben sorregge la preparazione.
Nessun cedimento sul successivo “riso Carnaroli riserva San Massimo con ostrica, aglio orsino e limone candito”, una giustapposizione perfetta di sapori ed equilibri, in pairing per sottrazione e rigore il Solosole Vermentino Bolgheri D.O.C. dell’azienda Poggio al Tesoro, che, forte della vinificazione in acciaio e dell’annata alquanto risalente – 2012 – fa emergere note evolutive, senza alcun accesso ossidativo.
Interessante la nota vegetale e la spinta sapida nella “linguina di Gragnano del pastificio Gentile con estratto di peperone, alici, mozzarella di bufala e portulaca”, in pairing la rivelazione “Le Gessaie D.O.C. Maremma Toscana Vementino” dell’azienda “Le sode di Sant’Angelo”, cinquemila bottiglie per un raffinato blend di Vermentino e Viognier, con un leggero passaggio in botti di rovere francese.
Ancora un debito di riconoscenza con il proprio territorio d’appartenenza nella successiva preparazione, “ricordo di una domenica napoletana, tortello di pasta fresca, ripieno con ricotta dei Monti Lattari e doppia intensità di ragù”. Davvero sbalorditivo l’abbinamento con l’eterodosso e raro “1200 Metri I.G.P. Terre siciliane Rosso 2018” dell’Azienda Agricola Sciara, agricoltura biologica da terreni vulcanico-sabbiosi per un Cannonau macerato, affinato per circa due anni in anfora alle pendici dell’Etna.
Spiazza, come d’abitudine, il sommelier Ferrara, che sul conclusivo “baccalà in olio cottura, pizzaiola, scamorza affumicata e olive nere” propone un rosso d’antan, segnatamente il Merlot Toscana I.G.T. 1997 dell’Azienda La Braccesca, paradigma di un vitigno internazionale adattato alle caratteristiche di un territorio unico al mondo.
Prima del congedo, l’ennesima riprova del talento iconoclasta e “convenzionalmente eversivo” del maitre-sommelier, il quale, sul dessert “diverse consistenze di limone sfusato con Yogurt di bufala”, osa, in una sorta di “grado zero” del pairing, proporre la Peroni Nastro Azzurro al limone, omaggio alla birra premium più diffusa e commerciale d’Italia, che si carica di inaspettate valenze di gusto, conferite dallo sfusato Amalfitano.