C’è formaggio e formaggio. E poi c’è lui, il re dei formaggi italiani, il più premiato e imitato: il Parmigiano Reggiano. Tra i 46 formaggi DOP del nostro Paese, è l’unico ad essere andato persino nello spazio, nelle missioni con gli astronauti, perché nemmeno l’assenza di gravità modifica il suo sapore. “E pensare che è un prodotto che ha una storia di nove secoli!”, racconta divertito Ermes Denti, classe 1948, presidente della Latteria Due Madonne, un angolo di eccellenza nelle campagne di Reggio Emilia. “Lo facciamo esattamente come una volta, con lo stesso procedimento dei padri Benedettini che lo hanno inventato nel 1100. Senza additivi o schifezze varie: nel vero Parmigiano Reggiano c’è solo latte crudo, sale e caglio”.
Un’oasi di genuinità nell’entroterra reggiano
Oggi, con Amazon, il Parmigiano Reggiano della Latteria Due Madonne, un puntino minuscolo sulla mappa, raggiunge clienti in tutta Europa. “Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna: non ce ne facciamo scappare uno”, scherza Ermes, con quell’inflessione inconfondibile che trasforma le “s” e le “z” in un appuntamento galante. La Latteria, fondata nel 1939, conta una decina di dipendenti e nelle sue stalle ‘lavorano’ circa 250 mucche da mungitura. “Sono il nostro tesoro, le trattiamo con i guanti”, continua Ermes. “Perché dietro un grande formaggio c’è un latte di serie A”. Il che si traduce in un’estrema cura per l’alimentazione degli animali. “Per il nostro bestiame non utilizziamo mangimi OGM, ma foraggi locali da noi prodotti e stagionali: un miscuglio di erbe perenni, alternate a erba medica e cereali”. Insomma: il caviale della categoria. Così come prevedono le rigide regole del Consorzio del Parmigiano Reggiano, organo che vigila sulla bontà e sulla genuinità del prodotto.
Questo latte di qualità superiore è il punto di partenza per Mauro Caiti, il capo casaro delle Due Madonne, il custode della magia di questo prodotto artigianale, il cui procedimento si tramanda, intatto, nei secoli. “Il mio lavoro consiste nel trasformare il latte in Parmigiano Reggiano”, racconta con i suoi modi asciutti, di chi è abituato alla fatica e al silenzio delle albe. “Tutto comincia dalla mungitura del latte serale, che viene lasciato fino al mattino in speciali vasche, nelle quali affiora la parte grassa, destinata alla produzione di burro. Il latte scremato della sera viene aggiunto al latte intero della mungitura del mattino e versato in delle caldaie di rame, con l’aggiunta di caglio. A questo punto si forma la cagliata, che viene rotta in piccoli pezzi con l’antico strumento dello spino. Lo facciamo ancora a mano, come una volta, per ottenere quella granulosità tipica della pasta. Poi si passa alla cottura, a 55 gradi, che produce la pasta cotta. Da qui le forme vengono immerse in una soluzione di acqua e sale e rigirate manualmente per 20 giorni nella sala di salatura. Dopo viene la stagionatura, che da noi dura almeno 24 mesi. Ma arriviamo anche fino a 36 o a 48 mesi, il nostro orgoglio.” Le forme vanno controllate quotidianamente. “È come crescere un figlio: ci vogliono attenzione e amore”. E sacrifici: il lavoro inizia alle cinque è già in caseificio e la giornata finisce alle 21, sette giorni su sette, per 365 giorni all’anno. “È un lavoro che si fa per passione. Io ho cominciato a 20 anni per una scommessa con mio cognato”.